L’opinione del sociologo – La mancata realizzazione dello scalo è un’occasione mancata per lo sviluppo della Tuscia

Aeroporto, sbagliano quelli che si fregano le mani…

di Francesco Mattioli

 

 

 

 

Francesco Mattioli

Francesco Mattioli

 

– Un aeroporto internazionale a Viterbo è volato via; forse, in futuro, potremo pensare a un executive (anche e c’é già l’Urbe, per questo).

Ma sbagliano quelli che si stanno fregando le mani perché l’aeroporto a Viterbo non si farà più.

Sbagliano, quelli che si fregano le mani, in omaggio a un’idea estremista di sviluppo sostenibile (e farebbero bene a rileggersi i principi di Rio e di Johannesburg), perché nel contesto globale un aeroporto svolge una funzione di grande rilievo economico, porta occupazione, razionalizzazione e valorizzazione del territorio;purché ovviamente tutto ciò sia fatto con intelligenza e nel rispetto proprio dei succitati principi.

Sbagliano i contenti, perché credo che non abbiano colto il vero significato della questione, che si legge nelle motivazioni dell’esclusione: eccessivi costi legati ai collegamenti infrastrutturali tra Viterbo e Roma. Giuseppe Fioroni, che aveva annusato il vento, si era precipitato ad offrire l’alternativa di Tarquinia, collegata a Fiumicino da un’autostrada, ma in tal caso saltavano quei parametri tecnici che avevano fatto preferire Viterbo a tanti altri siti regionali.

Dunque, il vero problema di Viterbo sono le infrastrutture di raccordo con Roma: un collegamento su gomma non propriamente diretto, se si prendono in considerazione la superstrada per Orte e l’autostrada A1, non all’altezza se si considera la Cassia, che non a caso diventa a due corsie appena tocca la nostra provincia.

Ma i collegamenti su gomma non fanno al caso degli aeroporti, e quindi si dovrebbe passare a quelli su ferro. E qui, per decenza ci limitiamo a dire che sono indecenti.

Sbagliano i contenti, perché non si rendono conto che, se c’era una possibilità remota di muovere soldi per migliorare le infrastrutture viterbesi di raccordo con Roma, queste oggi sono perdute assieme all’aeroporto, perché gli interessi nazionali si sono trasformati in interessi locali, che oggi hanno valori prossimi allo zero.

Lo si vede nel mondo in cui viene regolarmente trattata la Tuscia: discarica, luogo di servitù di vario genere, riserva indiana ai cui confini termina la civilizzazione, territorio di mezzo (dice Fioroni) in prospettiva trasversale, ma che allo stato attuale significa solo territorio di passaggio.

Che fare, allora?

Tutta la faccenda conferma che la direttrice nord/sud, per la nostra provincia, non funziona. Viterbo è stretta nella tenaglia fra la metropoli Roma a sud e la Toscana a nord, due entità socioeconomiche con cui non possiamo essere né competitivi, né partner.

Non con Roma, troppo grande e troppo centripeta per noi, tanto che la sua vicinanza, invece di essere – come dovrebbe – un’opportunità, si sta sempre più rivelando un abbraccio mortale (e la futura città metropolitana non farà che acuire questo pericolo). Ma neppure con la Toscana, che possiede una specificità internazionale del tutto autoreferenziale che la porterebbe semmai a strumentalizzare qualsiasi rapporto con Viterbo.

Sta accadendo con la Maremma laziale, con Vulci, persino con Acquapendente (vero, Piero Labate?).

Se sono le infrastrutture innanzitutto a decidere, allora l’unica via d’uscita sta nel rigirare la frittata e battere la via della logica trasversale est/ovest. Allora sì, la Tuscia potrebbe diventare una terra di mezzo (alla Fioroni), ma in termini di “perno” piuttosto che di “passaggio”: occorrerà forse praticare la logica della connessione trasversale, adriatico-tirrenica, che non è né nella storia, né nella cultura della Tuscia (San Francesco nemmeno si sognò di venire da queste parti), ma che oggi appare come la sola via d’uscita.

Qui le infrastrutture possono funzionare: è in questa logica che opera già l’interporto di Orte, la superstrada, specie se si realizzerà l’ultimo tratto low cost, collegando Marche, Umbria e autostrada A1 all’asse tirrenico e al grande porto di Civitavecchia; è in questa logica che si possono concepire la ferrovia Orte-Ancona, la Orte-Montefiascone-Viterbo e la Orte-Ronciglione-Capranica-Civitavecchia.

Inoltre, il rapporto si verificherebbe con altri centri urbani laziali, umbri, marchigiani (da Civitavecchia ad Ancona) similari a Viterbo, che non rischierebbero di soffocare la nostra città. Se il destino futuro prima o poi ci legherà amministrativamente a Rieti, è quanto meno necessario prepararci a far diventare questa iattura territoriale una risorsa e un opportunità. Chi lo potrà fare? Temo che – viste le esperienze pregresse – i rappresentanti regionali viterbesi non saranno in grado di smuovere la granitica autoreferenzialità di Roma.

E che la sparuta rappresentanza viterbese in Parlamento non potrà praticare alcuna logica localistica. Starà quindi alle forze politiche locali, alle risorse sociali viterbesi, a quelle del mondo del lavoro, dell’imprenditoria, della cultura, della scienza, compiere pressoché da soli l’impresa, attraendo possibilmente risorse esterne, da ovunque provengano, senza remore. E possibilmente facendo meno ideologia, meno misoneismo e meno provincialismo.

Francesco Mattioli

 

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