IL DECLINO DEMOCRATICO EUROPEO

da criticasociale

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Vi sono due possibilità”, spiega Zygmunt Bauman durante un’intervista a Lettera43: “O l’umanità cambia rotta e per sopravvivere imbocca una strada alternativa alla crescita (oppure) sarà la guerra di tutti contro tutti per la redistribuzione delle risorse». In entrambi i casi, il processo sarà “doloroso”, soprattutto nei Paesi occidentali, dove “lo Stato sociale è in via di demolizione”. Le insidie non mancano, a partire dal capitalismo al tramonto, che “riserva sempre sorprese imprevedibili”, e dall’impotenza della politica che, se non riacquisterà il potere di agire, non potrà traghettare i paesi verso modelli più sostenibili.
Altrettanto cupa è l’analisi Hans Magnus Enzensberger, che osserva come ai cittadini europei, oltre alle risorse, venga ormai sottratta anche la capacità decisionale. “L’indifferenza con cui gli abitanti del nostro piccolo continente accettano di essere privati del loro potere politico fa rabbrividire … Al contrario delle rivoluzioni, dei colpi di stato e dei golpe militari, questa spoliazione si compie nella massima discrezione. Ma invece di riconoscere e correggere le malformazioni congenite della loro creazione, il ‘regime dei salvatori’ insiste sulla necessità di seguire a ogni costo la tabella di marcia prestabilita, (negando) il rischio di esplosione provocato dall’accentuarsi delle disparità fra gli Stati membri. Già da diversi anni le conseguenze di questa situazione si stanno profilando all’orizzonte: la divisione al posto dell’integrazione, il risentimento, l’animosità e i rimproveri reciproci invece della concertazione”.
Jacek Żakowski (Gazeta Wyborcza) guarda oltre la democrazia rappresentativa: “La crisi economica ha radici politiche. È una conseguenza della crisi della democrazia rappresentativa. Una crisi di matrice culturale, prodotto dell’erosione della cittadinanza attiva e della solidarietà. I rimedi efficaci dovranno tener conto della natura socioculturale delle attuali tensioni, senza prendere di mira esclusivamente la gestione a breve termine di questa strana creatura che è oggi l’Unione europea”.
A livello politico, un’azione concertata tra i partiti della tradizione riformista e i nuovi movimenti sociali potrebbe rispondere alla diffusa esigenza di giustizia sociale. Lo sostengono i socialdemocratici tedeschi, Oliver Schmolke e Cilia Ebert-Libeskind, in un appello ripreso da Policy Network.
Dopo la crisi greca e la primavera araba, il bacino mediterraneo è ormai considerato una fonte inesauribile di problemi. Invece è proprio lì che la Ue può trovare nuove prospettive. Questa l’interessante suggestione apparsa sull’edizione tedesca delFinancial Times, quasi a ricordare  ai rigoristi di Berlino il ruolo economico e culturale che il meridione d’Europa può giocare per raccordare l’Europa continentale e il Medio Oriente. I cosiddetti Pigs (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna) non possono essere abbandonati a se stessi, pena la definitiva disgregazione del progetto europeo o la sua irrilevanza.
Una irrilevanza confermata dallo scarso peso riservato all’Europa dai due candidati alla presidenza Usa. A due settimane dal voto americano, un paper del Nato Defense College illustra le posizioni di Obama e Romney e tenta di immaginare gli scenari internazionali in caso di affermazione dell’uno o dell’altro candidato. Sin d’ora appare chiaro che la situazione economica interna limiterà le opzioni del prossimo presidente. Sotto questo profilo, è sintomatico che sia il timore per il futuro, piuttosto che la consapevolezza di interessi condivisi, ad accomunare oggi le due sponde dell’Atlantico.

Critica Sociale – Anno 2012, numero 5/6
 

 

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