Alberto Benzoni – Una Repubblica fondata sulla rottamazione martedì 23 ottobre 2012

N.38 del 28 ottobre 2012 martedì 23 ottobre 2012 Alberto Benzoni

Il 1992-1993 è stato pura rottamazione: di partiti, persone, idee, Istituzioni, regole

“Rottamazione eguale rozzo squadrismo fascista”. Almeno così dice l’Unità, con la voce del Grande Intellettuale di turno.

Personalmente non abbiamo niente contro gli intellettuali o, Dio ce ne scampi, contro l’Unità e a scanso di equivoci, non abbiamo particolari simpatie per il progetto politico di Renzi. Ciò detto, l’accusa ci lascia francamente trasecolati. Specie se viene da un partito che della seconda repubblica è stato socio fondatore, ben sapendo (a meno di essere tornato dalla montagna del sapone) che il regime, nato da Tangentopoli è fondato non più sul lavoro (nel contempo sparito dall’orizzonte) ma, appunto, sulla rottamazione. E aggiungiamolo subito, solo sulla rottamazione.
Il 1992-93 è stato infatti pura rottamazione – di partiti, di personale politico, di tradizioni, idee-forza, Istituzioni, regole- e nient’altro. Con la Resistenza e la Costituzione l’Italia democratica aveva fatto i conti con il fascismo non solo distruggendolo, ma anche ricostruendo un paese su principi e ordinamenti opposti a quelli che il fascismo aveva rappresentato. 
Vent’anni fa, invece, c’è stato solo il principio di distruzione, con il nome più vacuo e rassicurante di nuovismo. E questo principio ha continuato ad operare, inesorabilmente, nel corso del tempo. In un contesto in cui l’incapacità totale di costruire il nuovo faceva tutt’uno con la necessità pressante di continuare a demolire il vecchio. Il tutto in una logica da Far west in cui vinceva chi estraeva prima la pistola o, fuor di metafora, in cui i candidati alla rottamazione si mettevano alla testa dei rottamatori.
Una logica rappresentata alla perfezione da Silvio Berlusconi, in questo come in tante altre cose, simbolo vivente della Seconda repubblica. Il Nostro vede con chiarezza, negli anni di Tangentopoli, la folla degli insorti che si avvicina inesorabile alla sua porta e a quella di Mediaset e allora si mette prontamente alla loro testa. Era stato entro certi limiti uno dei grandi beneficiari della prima repubblica e riuscirà nella disattenzione generale a rappresentare lo spirito della demolizione del vecchio. 
E procederà in questo senso in tutte le direzioni: tradizioni, regole, ricordi, idee, partiti, istituzioni, leggi, il tutto seguendo il proprio interesse personale e un egocentrismo senza limiti temperato dai sondaggi. E senza essere davvero contrastato su questo terreno, né da un paese che non ha né amore né rispetto per il passato, né da un partito, come il Pd il cui unico principio fondante è, appunto, la cancellazione del suo particolare passato.
Non a caso allora il Cavaliere e i leader Pds-Ds concorderanno pienamente su uno dei principi base della costituzione materiale della seconda repubblica: il diritto del vertice di rottamare la base. Un diritto che verrà codificato sia dal mattarellum che dal porcellum , con l’annessa delega a pochissime persone del diritto di stabilire chi sarà eletto e chi no. E, ancora, con il potere incontrollato dell’uomo solo al comando: sarà Berlusconi a partorire il Pdl e a farlo magari morire, ma sarà, anche, il “mite Veltroni”, con una decisione solitario, a scegliere, nel 2008, Di Pietro come suo unico compagno d’avventura. Con la speranza di rottamare gli altri.
Oggi, questo processo sta giungendo al suo termine. Se la rottamazione è il principio ispiratore della seconda repubblica e se viviamo in democrazia, ne deriva che il diritto – dovere di esercitarla spetta a tutti e vale nei confronti di tutti: gruppo dirigente del Pd compreso.
Perché allora dipingere Renzi, ieri come un ragazzaccio impertinente (“ma come ti permetti”?), oggi come berlusconiano, fascista, strumento dei “poteri forti” (“sei un agente del nemico”)? Perché queste reazioni isteriche?
Il fatto è che il sindaco di Firenze ha osato violare il “sancta sanctorum”. Rivelando così, a chi non l’avesse ancora capito, la contraddizione clamorosa di un partito che ha gettato a mare tutto – passato, futuro, ideologia, referenti sociali, nome e cognome – salvo il proprio gruppo dirigente e, diciamo così, le proprie abitudini. E l’ulteriore contraddizione di un gruppo dirigente che, da più di vent’anni a questa parte, è sopravvissuto a tutto, anche alle proprie sconfitte. (Sconfitte, per inciso, definitive. 
Così il nostro D’Alema si proporrà, nel corso degli anni novanta: nelle vesti di presidente della Bicamerale, di costruire una riforma istituzionale condivisa, nelle vesti di dirigente di partito, di costruire una grande formazione socialdemocratica, nelle vesti di Presidente del Consiglio di realizzare una riforma economico-sociale condivisa. Ma fallirà in tutti e tre i tentativi, anche per un misto di sciatteria e di furbizia).
E allora almeno sul piano del metodo, il Pd e il suo gruppo dirigente non possono chiedere alcuna solidarietà. Possono, anzi debbono, chiederla sul terreno politico. Ma a condizione di opporre al berlusconismo di sinistra di Renzi una qualche proposta. Per adesso abbiamo solo Bettola e le sue pompe di benzina, e, con tutto il rispetto, non bastano.

 

benzoni.a@libero.it

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