Lunedì 7 ottobre 2019, presso la Sala stampa “G. Marconi” della Radio Vaticana , si è svolta la presentazione del libro“ Frontiera Amazzonia. Viaggio nel cuore della terra ferita” di Lucia Capuzzi e Stefania Falasca

All’incontro oltre alle due autrici hanno preso parte:

Victoria Lucia Tauli-Corpuz,  relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Diritti delle popolazioni indigene, Marcia Maria De Oliveira, docente di Società e culture amazzoniche dell’Università federale di Roraima (Brasile), Marcivana Rodrigues  Paiva, leader dell’etnia Saterè Mawè del Copime- Coordenação dos povos Indigenas Manaus (Brasile), Alessandra Smerilli, docente di economia politica presso la Pontificia Facoltà di scienze dell’ educazione” “Auxilium” di Roma, Antonella Litta, medico di medicina generale, specialista in Reumatologia  e referente dell’Associazione medici per l’ambiente – Isde (International Society of Doctors for the Environment).

L’incontro è stato moderato da Valentina Alazraki, corrispondente in Vaticano di Televisa Messico.

Di seguito una sinossi dell’intervento della dottoressa Litta.

Introduzione

Ho letto il libro  di  Lucia Capuzzi e  Stefania Falasca “ Frontiera Amazzonia. Viaggio nel cuore della terra ferita” ( Emi, 2019) che porge ascolto e dà parola al dolore e all’ingiustizia per tanti aspetti ancora volutamente muti o sottaciuti dell’Amazzonia.

Un reportage che tenta di scuoterci dall’indifferenza, una tra le malattie  più gravi da contrastare e sempre più diffusa e globalizzata.

Un reportage che ben documenta lo stretto legame tra la devastazione dell’ambiente amazzonico, la negazione della dignità dei suoi popoli e la loro sofferenza  anche in termini di salute.

Il libro ci parla di un’Amazzonia ferita, un’Amazzonia dal volto di donna.

Volto di donna  perché madre della vita; una vita  che esiste  e può esistere solo attraverso  l’equilibrio  e la salubrità dei suoi elementi  fondamentali: l’acqua dei fiumi, l’aria delle foreste, la ricchezza e generosità della terra  e del sottosuolo ma soprattutto attraverso  la custodia  che di questi elementi ne fanno le popolazioni indigene che in essa  e con essa da sempre vivono in reciproco e sano rapporto simbiotico ma ogni giorno sempre più compromesso e messo a rischio da interventi  di espropriazione non solo territoriale ma anche culturale.

Guardare oggi  all’Amazzonia e alla crisi ecologica, culturale, sociale ed economica di cui soffre ed è vittima significa allora anche guardare con occhi diversi  e senza veli  alla crisi dei  nostri paesi  e  popoli  dell’Occidente e del Nord del mondo, a quella che è stata la colonizzazione del recente  passato ma anche alla nuova colonizzazione che impone  sempre più lo sfruttamento cieco delle risorse e delle persone per il profitto di pochi e delle multinazionali con conseguenze devastanti per l’ambiente, la salute e la dignità delle persone; conseguenze figlie di una economia che uccide, come ha più volte ha  denunciato Papa Francesco.

Biodiversità ambientale e culturale come identità e unicità

Ogni nuova colonizzazione si attua attraverso violenti processi di omogeneizzazione culturale, con l’imposizione di nuovi valori e modi di vita, prima di tutto di una monocultura che esalta e si nutre dello sfruttamento e del dominio sulle risorse, sugli individui e i popoli, che in nome di una costante massimizzazione del profitto persegue  la distruzione di quella unica realtà vivente e interdipendente che chiamiamo biosfera con la sua biodiversità.

Biodiversità del mondo vegetale, animale ma  anche biodiversità umana ovvero l’unicità delle persone, la loro specifica identità e quella dei popoli e  delle loro culture.

Una biodiversità  che si è sviluppata e coevoluta nei 4 miliardi e mezzo di vita del nostro pianeta  e che  ancora  lo rende vivente, bello e in evoluzione. Una biodiversità, che come la pluralità delle idee in democrazia, fa paura e viene  quindi  sabotata, repressa e distrutta.

Oggi uno degli scenari  mondiale dove questo avviene con ferocia, violenza e determinazione è  proprio l’Amazzonia con gravi conseguenze per tutto il pianeta.

Tutto questo non ci può lasciare indifferenti perché le conseguenze sono appunto globali, coinvolgono tutti.

Allora trovo veramente consonante mettere vicino alla parola Sinodo, soprattutto in questi giorni, la parola biodiversità perché  anch’essa indica una realtà di reciproco legame, di rispetto, di aiuto, di interdipendenza,  solidarietà,  di dignità e cammino insieme, perché tutto è legato e tutto è relazione  proprio a cominciare dal complesso rapporto tra l’ambiente e la nostra vita e la salute.

Come ci insegna in modo chiaro la realtà amazzonica dove la vita della foresta, dei fiumi degli ecosistemi  è tutt’uno con la vita di chi la abita e la custodisce, e ogni ferita, ogni danno, ogni inquinamento apportato in  questo ambiente particolare ed unico diventa ferita, danno, malattia e perdita di condizioni di vita giuste e dignitose  per i suoi popoli ma anche per l’intero pianeta.

Per vivere abbiamo bisogno di respirare e un’aria inquinata ci fa ammalare e morire.

Abbiamo bisogno di aria pulita, in tutti i sensi, per poter vivere.

Respiriamo l’aria dell’Amazzonia, tutto il pianeta ne ha bisogno ed essa appartiene a tutti.

Viviamo  invece un periodo storico caratterizzato dal rifiuto di guardare e considerare la realtà umana e quella dell’intero pianeta come un tutt’uno, come un’unica realtà vivente, di cui ognuno è parte e che è presente dentro ciascuno di noi, come la fisica quantistica oggi e le intuizioni  della mistica di ogni tradizione spirituale e tempo sembrano suggerire –  dalla struttura subatomica, ai microrganismi più semplici, ai virus, ai batteri fino all’uomo-.

Il separare le persone con le discriminazioni, con i confini, con i muri, con diverse e sempre più terribili condizioni di vita per i più poveri e gli indifesi, sta facendo crescere le cosiddette periferie del mondo sempre più sfruttate e ridotte a discariche ambientali e umane  con il loro carico di sofferenza e malattie. 

Nella “ Laudato si’” viene affermato: “I racconti della creazione nel libro della Genesi contengono, nel loro linguaggio simbolico e narrativo, profondi insegnamenti sull’esistenza umana e la sua realtà storica. Questi racconti suggeriscono che l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra. Secondo la Bibbia, queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato…”( L.S. n.66).

Questa rottura di rapporti, di relazioni,  si è cominciata a manifestare in forma più evidente e pericolosa nei confronti dell’ambiente, del  Creato per i credenti, dall’inizio della rivoluzione industriale ma soprattutto negli ultimi 60 anni di attività industriali e quindi possiamo,sempre con linguaggio simbolico,  dire che  si è infranto, o almeno si sta cercando di infrangere quello che l’Enciclica “ Laudato si’”  definisce “Il sogno di Dio”.

Trasformazione,asservimento e sfruttamento dell’ambiente e migrazioni

“Si è voluto trasformare le pietre in pane”

don Dante Bernini

Si è trasformato l’ambiente, lo si è asservito e sfruttato e così si continua.

Negli ultimi 60 anni di storia industriale sono state immesse nell’ambiente oltre centomila sostanze di sintesi chimica (vari tipi di plastiche e suoi componenti, pesticidi, ritardanti di fiamma, diossine etc., molecole generate dalla combustione di  petrolio, carbone, metano e dall’incenerimento dei rifiuti, dal trasporto aereo, marittimo e su gomma e da tante  altre attività industriali), oltre a l’aver reso disponibili quantità elevate di metalli pesanti  e polveri-PM (soprattutto per attività estrattiva e di combustione), energia ionizzante e incrementato l’esposizione ai campi elettromagnetici.

L’acqua, l’aria, il cibo prodotto da un’agricoltura industriale che utilizza fertilizzanti chimici, pesticidi, diserbanti, sostanze tutte che si accumulano nell’ambiente, i cambiamenti climatici innescati, anche e soprattutto dall’utilizzo di energie fossili inquinanti e dai loro derivati, e che  hanno come conseguenze anche l’incremento del numero dei cosiddetti “migranti ecologici”, persone e intere popolazioni costrette a lasciare le loro terre perché ormai aride e non più coltivabili

( Bowles D.C, Butler C.D., Morisetti N., Climate change, conflict and health. J R Soc Med. 2015 Oct;108(10):390-5).

Persone e popolazione alle quali viene negato il diritto più elementare ed inviolabile quello all’acqua potabile e quindi alla vita stessa e ad una vita in salute.

Esistono stime che nel prossimi 50 anni quelli che vengono definiti migranti ecologici, andranno a sommarsi a quelli che fuggono da guerre e violenze, raggiungendo un numero compreso tra i 200 e i 250 milioni di persone, migrazioni dai connotati biblici.

C’è poi da sottolineare che sono le classi più svantaggiate economicamente e culturalmente quelle che subiscono i danni maggiori dell’inquinamento perché vivono in prossimità o in siti inquinati, si alimentano con cibo scadente, non hanno strumenti culturali per far valere i loro diritti e tra questi il diritto alla salute. Malattie e povertà sono un binomio sempre più consueto e diffuso.

Inquinamento ambientale e malattie

Gli inquinanti ambientali hanno azione tossica, cancerogena e di interferenza endocrina, capaci ovvero di mimare l’azione degli ormoni naturalmente prodotti dal nostro organismo, e quindi di sostituirli nella loro funzione di fisiologica regolazione dei metabolismi e quindi di  favorire malattie, in grande aumento, come malattie cardiovascolari, il cancro, il diabete, l’obesità, le malattie immunomediate, i disturbi della sfera neuroendocrina, le malattie neurodegenerative, l’infertilità, i disturbi  neurocognitivi e dello spettro autistico e dello sviluppo genito-urinario e sessuale nei bambini e nelle bambine.

L’esposizione materno fetale e anche quella preconcezionale alle fonti di inquinamento ambientale è quella che più preoccupa, nei cordoni ombelicali vengono rilevati inquinanti ambientali come pesticidi, metalli pesanti, diossine, sostanze chimiche industriali che superano la barriera placentare e interferiscono con quello che chiamiamo fetal programming di fatto sprogrammando, alterando così il progetto di vita e di vita sana iniziato con il concepimento di ogni essere umano nella sua unicità.

Al momento molti modelli patogenetici tengono conto delle più recenti acquisizioni nel campo della biologia molecolare, in particolare nel campo dell’epigenetica, cioè di quella branca della biologia molecolare che studia speci­ficamente le modifiche molecolari indotte dalle sollecitazioni e informazioni provenienti dall’ambiente (e in particolare dal microambiente tessutale) nel genoma delle cellule, e risultano utili per una migliore comprensione dell’attuale grave quadro  epidemiologico (http://www.omceoar.it/cgi-bin/docs/cesalpino/AMBIENTE%20E%20SALUTE.pdf).

Questa devastazione ambientale, modificando l’ambiente ha prodotto frutti cattivi ed amari in termini di malattie e malati.

E allora ecco in forma di numeri e dati quelli che sono i frutti cattivi del peccato, se vogliamo usare sempre questo linguaggio simbolico: 

l’ Organizzazione Mondiale della Sanità ci informa che ogni anno sono coltre  12,6 milioni le morti attribuibili all’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, alle esposizioni chimiche, ai cambiamenti climatici e alle radiazioni ultraviolette

(http://www.who.int/mediacentre/news/releases/2016/deaths-attributable-to-unhealthy-environments/en/) ;

 l’OMS  ci ricorda anche che almeno 3 milioni di bambini di età inferiore a cinque anni muoiono ogni anno causa di malattie correlate all’inquinamento; (http://www.who.int/ceh/cehplanaction10_15.pdf?ua=1).

Sempre dai report dell’Organizzazione mondiale della Sanità

( http://who.int/phe/publications/air-pollution-global-assessment/en/) sappiamo che il 92% della popolazione mondiale respira aria inquinata e pericolosa per la salute e sono necessarie quindi azioni urgenti per affrontare l’inquinamento atmosferico;

Il report dell’ottobre 2018 dell’OMS “Air pollution and Child Health: Prescribing Clean Air” sintetizza le ultimissime evidenze scientifiche che correlano l’esposizione ad aria inquinata ed effetti sulla salute ed informa che l’inquinamento dell’aria è stato responsabile nel 2016 di 4.2 milioni di morti premature e di queste 300 mila tra i bambini di età inferiore ai 5 anni;

l’OMS  ci ricorda anche che almeno 3 milioni di bambini  di età inferiore a cinque anni muoiono ogni anno causa di malattie correlate all’inquinamento; (http://www.who.int/ceh/cehplanaction10_15.pdf?ua=1).

Secondo i dati elaborati dall’autorevole Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME), e pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica  Lancet, nel mondo si muore meno per malattie infettive  e 7 decessi su 10 sono ormai legati a malattie  croniche non trasmissibili (MCNT) come le malattie cardiovascolari, il cancro, il diabete, la demenza di Alzheimer, malattie queste sempre più correlate all’inquinamento ambientale

( http://thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(16)31743-3/fulltext)

Le stime dell’International Diabetes Federation prevedono per il 2035 un miliardo di malati di diabete nel mondo mentre attualmente sono  circa 700 milioni (http://www.idf.org/)

In tutto il cosiddetto primo mondo stiamo assistendo ad vera e propria pandemia di obesità tra i bambini e i giovani messa sempre più in relazione a particolari sostanze inquinanti con funzione di interferenti endocrini presenti anche nella composizione di alcune plastiche usate per i contenitori di alimenti e bandite in Francia dal 2015.

Le malattie cardiovascolari rappresentano ancora la principale causa di morte in Italia essendo responsabili del 44% di tutti i decessi e sempre più evidente è il legame con l’inquinamento dell’aria (http://www.epicentro.iss.it/focus/cardiovascolare/cardiovascolari.asp).

Il cancro è la seconda causa di morte a livello mondiale, ed è stato responsabile per 8,8 milioni di morti nel 2015. In tutto il mondo si prevede un aumento di circa il 70%  nei prossimi vent’anni  del numero di nuovi casi di cancro e circa il 70% dei decessi per cancro si verificano oggi in paesi a basso e medio reddito (http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs297/en/)  dove è difficile se non impossibile l’accesso alle cure.

Qui occorre riportare la considerazione di autorevoli  e numerosi ricercatori  che sostengono come l’incremento di neoplasie infantili sia connesso all’esposizione transplacentare (del feto) e transgenerazionale (dei gameti) ad agenti chimici e fisici in grado di indurre modificazioni epigenetiche e mutazioni genetiche; mutazioni che rappresentano forse l’effetto più esemplificativo e drammatico della trasformazione ambientale in atto e della conseguente alterazione del cosiddetto programming embrio-fetale ( http://www.epiprev.it/pubblicazione/epidemiol-prev-2013-37-1-suppl-1-free-full-text), ( http://www.ambientebrescia.it/AmbienteTumori2011.pdf ).

Inquinamento ambientale, culturale e malattie in Amazzonia

Anche i popoli dell’Amazzonia sono dentro i  numeri dei report dell’Organizzazione mondiale della Sanità-OMS,  sia per  le malattie che abbiamo portato loro attraverso il contagio ovvero molte malattie infettive ma anche e sempre di più  per quelle legate all’inquinamento  e alla devastazione ambientale  realizzata attraverso  i processi di disboscamento, di  incendio di aree sempre più vaste delle foreste, imposizione di attività agricole intensive su aree sempre più estese come  per la monocoltura della soia e di piante destinate al cosiddetto biodiesel, attività estrattive minerarie che inquinano aria, acqua e suoli e progetti  infrastrutturali ad alto impatto ambientale ovvero: megaprogetti idroelettrici e di  reti stradali, come le superstrade interoceaniche.

Sfruttamento dell’ambiente, inquinamento dell’ambiente, danno alla biodiversità che si tramuta  anche e inesorabilmente in danno alle condizioni di vita, alla dignità delle persone e alla loro salute.

Sempre l’enciclica Laudato si’ ricorda che “la perdita di foreste e boschi implica allo stesso tempo la perdita di specie” (L.S. 32)  che sono decisive non solo per l’alimentazione, ma anche per la cura delle malattie. E allora uno sguardo speciale e un attenzione particolare  e piena di reverenziale rispetto dovrebbe essere rivolta alle millenarie  pratiche di cura e ai rimedi  naturali che i popoli amazzonici conoscono, si tramandano e ci tramandano.

Qui solo un piccolo accenno  su una questione che ritengo di grande importanza sanitaria in tema di minaccia alla sopravvivenza della specie umana a causa del  fenomeno dell’antibiotico-resistenza ma che per tempo e luogo non può essere approfondita: la  ricchezza e la peculiarità del microbioma delle popolazioni indigene che non avendo assunto antibiotici, per il loro isolamento volontario/forzato e non praticando il taglio cesareo,  custodiscono dentro se stessi colonie batteriche intestinali antichissime e ormai quasi estinte e non più rintracciabili nelle popolazioni del cosiddetto mondo moderno e globalizzato. In questo caso si potrebbe  anche parlare di custodia della biodiversità del microbioma umano.

Questo  fatto potrebbe rivelarsi fondamentale  in questa epoca  sulla quale incombe anche  la minaccia di non poter far fronte sempre più a infezioni batteriche proprio a causa del fenomeno

dell’antibiotico-resistenza come suggerito dallo scienziato di fame internazionale il  professor  Martin J. Blaser  nel testo “ Che fine hanno fatto i nostri microbi?”, Aboca ed.  2016.

L’insegnamento che ci viene dai popoli indigeni dell’Amazzonia

“Non ci sono due crisi separate, una ambientale  e un’altra sociale, bensì  una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio  integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo prendersi cura della natura”  L.S. n.139

I popoli indigeni dell’Amazzonia ci insegnano il prendersi cura con amore e responsabilità della natura in modo diretto, personale come di un essere vivente quale è in verità. 

Ci danno la direzione  giusta nella quale cambiare la relazione con la terra se vogliamo salvare il pianeta e tutte le specie che lo abitano.

Scrive  il teologo  Leonardo Boff : “ Solo una relazione personale con la terra ce la fa amare. E ciò che amiamo noi non lo sfruttiamo ma lo rispettiamo e veneriamo” ( Liberare la terra. EMI, 2014).

Come medico posso quindi concludere semplicemente ribadendo che forse la peggiore malattia dell’umanità è l’indifferenza e dicendo che di sicuro però  la cura migliore che l’umanità ha da sempre a disposizione è l’amore, ovvero l’amare  inteso come relazione gratuita di responsabilità nei confronti dell’altro, della natura e per i credenti  anche nei confronti di Dio.

Un ambiente sano ed amato in tutti i suoi aspetti e declinazioni di sicuro fa la differenza in termini di salute e dignità delle persone.

Grazie a Lucia  Capuzzi e Stefania Falasca per averci ricordato tutto questo anche nel loro libro.

Nota per la stampa a cura dell’Associazione medici per l’ambiente – Isde (International Society of Doctors for the Environment) di Viterbo

Viterbo, 8 ottobre 2019

Per comunicazioni: isde.viterbo@gmail.com

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