Teoria della complessità e globalizzazione

da Avantionline Pubblicato il 31-07-2015

Di Frijtiof Capra, noto fisico e saggista, direttore del “Center for Ecoliteracy” a Berkeley (Calfornia), è stato di recente pubblicato, per iniziativa del Corriere della Sera, il libro “La scienza della vita. Le connessioni nascoste fra la natura e gli esseri viventi”. In esso l’autore, estendendo al campo delle scienze sociali la nuova concezione della vita che è emersa dalla teoria della complessità, delinea un quadro concettuale in cui le dimensioni biologiche, cognitive e sociali della vita si integrano a vicenda. Il suo scopo dichiarato non è solo quello di offrire un’idea unitaria di “mente, vita e società”, ma anche di “sviluppare un approccio sistemico e coerente col quale affrontare alcuni problemi fondamentali del nostro tempo”. Fra i problemi trattati, quello forse più coinvolgente, per la sua attualità e le sue conseguenze, riguarda la globalizzazione senza regole; a questa l’autore riconduce la consapevolezza preoccupata dell’umanità d’essere la causa dell’emergere di un “nuovo mondo”, caratterizzato da nuove tecnologie, da nuove strutture sociali, da una nuova economia.

Con la creazione, nella metà degli anni Novanta, della World Trade Organization (WTO), l’integrazione delle economie nazionali nell’economia globale, caratterizzata dalla libertà di mercato, è stata salutata dalla stragrande maggioranza degli agenti politici ed economici come un nuovo ordine mondiale che avrebbe portato benefici ai Paesi di tutte le latitudini. Tuttavia, per un numero crescente di critici, le regole di funzionamento dell’economia-mondo stabilite dal WTO sono divenute insostenibili, in quanto hanno prodotto “una molteplicità di conseguenze devastanti fra loro interconnesse: dei fenomeni di disgregazione sociale, un dissesto della democrazia, un più rapido ed esteso deterioramento della situazione ambientale, la diffusione di nuove malattie e il crescere della povertà e dell’alienazione”. Tutto ciò, per i critici, è stata la conseguenza del fatto che il modello keynesiano di economia capitalista, realizzato dopo la Seconda guerra mondiale, ha raggiunto nel corso degli anni Settanta i propri limiti di validità teorica.

In risposta alla crisi di quegli anni, i Paesi occidentali hanno realizzato una radicale ristrutturazione del capitalismo, che ha determinato il graduale smantellamento del contratto sociale fra capitale e lavoro di keynesiana memoria e, con esso, la ‘deregulation‘ dei mercati, la liberalizzazione dei “traffici finanziari” e i molteplici cambiamenti nelle organizzazioni economiche, al fine di accrescere la flessibilità e l’adattabilità delle attività produttive alle nuove regole di funzionamento del sistema economico globale. L’insieme di questi fenomeni, interconnessi tra loro, non hanno tardato a generare “catene di retroazione”, che hanno dato origine a un insieme di conseguenze, il cui manifestarsi non era affatto previsto, sino a determinare un risultato, la ‘New Economy’, la cui complessità e turbolenza è sfuggita alla capacità di comprensione delle analisi condotte secondo il metodo proprio della teoria economica tradizionale.

A livello esistenziale – osserva Capra – la caratteristica più allarmante della ‘Nuova Economia’ è stata offerta dal fatto che, per più aspetti essenziali, essa è stata “plasmata dalle macchine”; ciò perché il mercato globale non si è conservato nella forma di un mercato tradizionale, bensì in quella di “una rete di macchine programmate secondo un singolo valore – quello di far soldi al solo scopo di far soldi – a esclusione di ogni altro possibile valore”. In tal modo, inquadrato “nella realtà virtuale delle reti elettroniche, il denaro è diventato quasi del tutto indipendente dalla produzione e dai servizi”, per cui lo spazio virtuale dei flussi finanziari e quello reale, dove le persone lavorano, sono diventati sempre più differenti tra loro.

All’inizio del nuovo secolo, le conseguenze indesiderate e impreviste del modo di funzionare del capitalismo globalizzato hanno impresso all’attività economica linee di tendenza sbagliate, causando un cambiamento in negativo delle “regole del gioco economico”, per opera dalle principali istituzioni del capitalismo globale: Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, WTO ed altre ancora. Per questo motivo, secondo Capra, occorre riconoscere la necessità di una nuova forma di governance della globalizzazione, considerando che, per quanto l’economia globale sia un fenomeno ormai stabile e radicato, il modo in cui essa funziona, producendo conseguenze indesiderate, è “stato progettato a tavolino“ e che, in quanto tale, può essere rimodellato. Come?

All’inizio di questo secolo -afferma Capra – sono emerse due innovazioni che sono, da un lato, l’ascesa del capitalismo globale e, dall’altro il diffondersi di “comunità sostenibili” dal punto di vista dei costi indotti dal funzionamento del nuovo modo di produrre: lo scopo del capitalismo globale è quello di massimizzare la ricchezza e il potere delle sue élite, mentre quello delle creazione delle comunità sostenibili è quello di conciliare l’impatto della produzione sulle condizioni di vita e la sua sostenibilità dal punto di vista esistenziale. Poiché il nuovo modo di produrre è stato determinato dall’introduzione di valori umani che hanno anteposto il valore del denaro a quelli dei diritti, della democrazia e della tutela ambientale, quei valori devono essere cambiati, nel senso che le relazioni concernenti il modo di funzionare del capitalismo mondiale devono essere riprogrammate. La grande sfida dell’attuale secolo potrebbe allora consistere nel perseguire l’obiettivo di “cambiare il sistema di valori che sta alla base dell’economia globale, in modo da renderla compatibile con le esigenze della dignità umana e della sostenibilità”.

La domanda che s’impone a questo punto è se vi sarà abbastanza tempo per realizzare la riprogrammazione del funzionamento del capitalismo globale; secondo Capra, la teoria della complessità dei sistemi biologici e sociali suggerisce che da stimoli improvvisi, ma significativi, quali possono essere una rivoluzione sociale in uno o più Paesi o il cambiamento dell’”equilibrio” delle relazioni internazionali tra gli Stati, può nascere una “catena di processi di retroazione” che, in breve tempo, possono far emergere un nuovo ordine. D’altro canto – conclude Capra – le teoria della complessità suggerisce che gli stimoli improvvisi possono originare dei “crolli” anziché delle “innovazioni”, nel senso che essi, gli stimoli, possono indurre a sperare che il futuro dell’umanità possa essere migliore.

Capra, però, condividendo un’osservazione del drammaturgo cecoslovacco Vàclav Pavel sul futuro dell’umanità, osserva che la speranza che il mondo possa migliorare non consiste nella convinzione che qualcosa andrà bene, ma nella certezza che qualcosa ha senso, indipendentemente da come poi, di fatto, andrà a finire. D’accordo! Ma è questo un viatico che possa valere a tacitare chi, da sempre, o dacché il turbocapitalismo mondiale ha preso corpo, è stato messo nella condizione di non disporre del necessario per vivere una vita dignitosa a causa della maldistribuzione di ciò che si produce nel mondo? Si ha ragione di dubitare che la sola speranza possa fungere da “tranquillante” per chi oggi sta peggio nel mondo, a causa del capitalismo globale senza regole. Se la rimodulazione della globalizzazione non porrà un rimedio alle ineguaglianze sociali in tempi ragionevoli è probabile che la condizione di chi oggi soffre delle ineguaglianze distributive possa diventare uno di quei punti di svolta dei quali parla Capra, rendendo improvvisamente concrete per l’umanità le aspettative positive che la teoria della complessità fa solo sperare possano accadere.

Gianfranco Sabattini

 

 

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