Sul lago di Vico la Chemical City voluta da Mussolini per rifornire di veleni tossici le bombe ancora inquina il territorio circostante

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Numero 04/2012 Marco Ricchiuto 

“Oltre 30 mila ordigni inabissati nel sud del mare Adriatico; 13 mila proiettili e 438 barili contenenti iprite nel Golfo di Napoli. 4300 bombe all’iprite e 84 tonnellate di testate all’arsenico.

Laboratori e depositi di armi chimiche della città della chimica nei boschi della Tuscia e l’industria bellica nella Valle del Sacco”. Inizia così il dossier “Armi chimiche: un’eredità ancora pericolosa” presentato a Roma da Legambiente e dal Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche.

Situata nei Monti Cimini, a ridosso del lago di Vico, area di grande patrimonio naturalistico e di pregio ambientale, zona di protezione speciale e sito di importanza comunitaria, nascosta dai secolari faggi e castagni, la “Chemical City” (chiamata così dall’intelligence inglese), era il centro di ricerca e produzione di ordigni a caricamento speciale (armi chimiche) voluto da Mussolini e dai strateghi militari del regime fascista. La città della chimica, attiva dalla vigilia della Seconda guerra mondiale, occupava un’area di circa 20 ettari, con bunker, laboratori, uffici ed alloggi per gli scienziati e i tecnici, ed era in grado di rifornire, per svariate centinaia di tonnellate di armi chimiche, i reparti speciali dell’ Esercito. 

Diverse migliaia di tonnellate di iprite, fosgene e gas asfissianti furono prodotte e assemblate nei capannoni e nei sotterranei dei boschi della Tuscia; con la fine del conflitto, la produzione fu interrotta, anche se l’impianto continuò a fabbricare, fino alla fine degli anni ’70, fumogeni per sedare rivolte di piazza.

Nel 1996, mentre erano in corso le operazioni segrete di svuotamento delle cisterne (sono state trovate 60 cisterne di fosgene ciascuna lunga 4 metri e in pessime condizioni)  un malcapitato ciclista è rimasto intossicato da una fuga di gas asfissiante, svelando a tutta la popolazione le reali e gravi dimensioni del problema.

“Si tratta di cimiteri chimici che rilasciano sostanze killer dannosissime come arsenico, iprite, lewsite, fosgene e difosgene, acido cloro solfonico e cloropicerina” – ha spiegato Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente.

Nel 2000 le autorità militari hanno concluso le operazioni di bonifica dei serbatoi, ma le successive indagini condotte dall’Arpa, ovvero nel 2009,  sui sedimenti del lago hanno evidenziato, in alcuni punti, nel terreno, alte concentrazioni di arsenico superiori alla soglia di contaminazione, oltre ad elevati valori di cadmio, nichel e piombo. Interessante evidenziare come in questo periodo contemporaneamente al prelievo dei campioni, il lago è stato interessato da abbondanti fioriture di un’alga tossica,Plankhotrix rubescens.

Per fronteggiare l’inquinamento ancora presente il Ministero della Difesa ha stanziato 150mila euro, da assegnare ad una ditta specializzata il delicato compito di rimuovere residuati bellici e ordigni inesplosi.

Si tratta di un primo intervento che riguarderà solo una piccola parte dell’intera Chemical City, ma finalmente dopo anni di silenzi e ritardi, si realizzano azioni concrete e mirate per la salvaguardia dell’intero ecosistema.

 Cimitero chimico

 

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