Terziario e turismo per uscire dalla crisi. Giuseppe De Rita scommette su Roma

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LA ROMA CHE VERRA’. Nella quarantesima puntata della rubrica, Raffale Gambari intervista uno dei padri della scuola romana di sociologia sull’attuale situazione economica. Dai “mali di Roma” ad oggi, Giuseppe De Rita è convinto: “Il quadro economico non è roseo. Credo che quella romana sia una società che controlla i propri comportamenti… Abbiamo una base di sviluppo per un futuro non tranquillo ma sereno”

E sulla Chiesa: “Vale la coralità e la quotidianità del lavoro pastorale, lontano spesso dal gusto profetico di Di Liegro d’annuncio e di opere. E’ una maturazione collettiva, se ci fossero profeti ancora meglio ma questi non nascono ogni decennio”

Sabato, 18 febbraio 2012 – 09:37:00

di Raffaele Gambari

È uno dei padri della scuola romana di sociologia insieme con Ferrarotti e Statera, uno dei fondatori del Censis, il Centro studi investimenti sociali, che lo scorso anno è arrivato al quarantacinquesimo anno di pubblicazione del Rapporto sulla situazione sociale del Paese, un vademecum per capire i cambiamenti della società italiana. E’ Giuseppe De Rita, romano, classe 1932.

Laureato in giurisprudenza alla Sapienza è stato funzionario dello Svimez dal 1955 al 1963, del quale è stato anche responsabile della sezione sociologica. Consigliere delegato del Censis dal 1974 al 1974 è stato quindi segretario generale della fondazione dal 1974 per poi presiederlo dal 2007. È stato anche presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) dal maggio 1989 al maggio 2000 ed è presidente di Edumond Le Monnier dal 1995. Ha una prolifica attività pubblicistica e libraria e da anni, come relatore a convegni e dibattiti, interviene sulle condizioni e le linee di sviluppo della società italiana. Questo sociologo è uno dei più attenti osservatori di cambiamenti Roma e nei primi anni settanta del secolo scorso fu una delle menti di quel convegno diocesano passato negli annali come quello sui mali di Roma.

Ad Affaritaliani De Rita, nella quarantesima puntata della rubrica “Roma che verrà”  spiega il momento attuale della società romana con una convinzione: “Terziario e turismo ci garantiranno un futuro abbastanza tranquillo, non sereno, ma una base di sviluppo ce l’abbiamo”.

Come sta vivendo Roma la crisi economica italiana? Recentemente centinaia di persone si sono messe in fila per ricevere frutta e ortaggi distribuiti gratuitamente dalla Coldiretti. E’ stato il segnale di un futuro che non sarà roseo per tante famiglie?

“Personalmente non credo che certi episodi portino ad una situazione di tensione sociale anche se il quadro economico non è roseo. Credo che quella romana sia una società che controlla i propri comportamenti. In altre parole è arbitra dei suoi consumi, che fa sì che dica stasera vado al ristorante e spendo di più, domani faccio un salto per andare a vedere i banchetti. La famiglia romana sa controllare i propri bisogni. Quello che lei ha citato non è un segnale per il futuro, come quanto successo mesi fa quando in migliaia si misero in fila davanti ad un negozio della Trony per acquistare prodotti tecnologici a prezzi superscontati. Roma è fatta in questa maniera: si entusiasma e il giorno dopo si ritira; gestisce se stessa”.

coldiretti regala frutta 8

Come è cambiata questa città dal secondo dopoguerra ad oggi, nel bene e nel male. Ha una sua identità, una sua attrazione a livello nazionale e mondiale? Fino agli anni settanta è stata la terza città industriale in Italia mantenendo sempre maggioritaria la componente impiegatizia, aveva una sua rilevanza nel mondo finanziario e bancario, bastano il settore terziario e quello turistico a garantire un futuro di sviluppo?

“Certamente questa città una sua identità ce l’ha, credo che stiano declinando la componente industriale e quella impiegatizia come connotanti della società romana ma credo che tutto sommato il settore terziario e quello turistico ci garantiscano un futuro abbastanza tranquillo, non sereno, ma una base di sviluppo ce l’abbiamo”.

Lei è stata una delle menti di quel convegno diocesano sui “Mali di Roma” del febbraio del 1974 , voluto dal cardinal vicario Ugo Poletti e sintetizzato nella figura di don Luigi Di Liegro. Da allora come è cambiata la Chiesa di Roma, che diede un annuncio profetico al nuovo che avanzava, tanto che nessuno poteva immaginare il fenomeno dell’immigrazione?

“Di Liegro è stata una figura eccezionale e la profezia ha avuto un peso nella società e nella Chiesa. Oggi certo c’è una diversità tra quella profezia e l’attuale ordinaria attività della Chiesa romana. Il cambiamento è stato che Di Liegro aveva due scelte fondamentali: fare annuncio e fare opere. Nel corso degli anni la Chiesa romana ha voluto e teso a differenziarsi da quella logica di Di Liegro attraverso l’attività nel territorio delle parrocchie, una continua promozione delle comunità locali, la sottolineatura delle peculiarità dei vari territori romani. In altre parole per la Chiesa romana attuale vale la coralità e la quotidianità del lavoro pastorale, lontano spesso dal gusto profetico di Di Liegro d’annuncio e di opere. E’ una maturazione collettiva, se ci fossero profeti ancora meglio ma questi non nascono ogni decennio”.

Don Luigi di Liegro
Don Luigi di Liegro

Chi comanda a Roma, i costruttori, il Vaticano, la politica?

“Possono comandare tutti. Roma è una città troppo complessa per dire chi la comanda. Roma non è come la Torino della Fiat. Non c’è nessuno che comanda”.

Nel campo culturale qual è l’offerta di Roma, soddisfacente o insoddisfacente? Può fare un paragone con altre città italiane o europee?

“Roma purtroppo non deve fare offerte, Roma è già bella di per sé, si viene a Roma per Roma. Il vero problema è fatto da Roma e da una serie di attrattive culturali. Se lei va ad Amsterdam non può non fare un salto, oltre ai canali, al Concertgebouw. Roma questo lo sta facendo con l’Auditorium, ma se Kleiber va a suonare a Cagliari e non a Roma, uno prende l’aereo e va a Cagliari. Ho l’impressione che il vero problema non è tanto quello che Roma può offrire nella diversità culturale ma nella sua base (la storia, l’archeologia, il centro storico). Roma non è fatta da mostre ma da se stessa, il problema è sistemare questa base”.

 

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