Acqua pulita? In Italia ci sono 20mila siti contaminati

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Acqua pulita? In Italia ci sono 20mila siti contaminati

L’analisi di Asvis sull’obiettivo fissato dall’Onu: il 10 per cento della popolazione italiana lamenta irregolarità e cattivo funzionamento del servizio dell’acqua in casa. Il sistema ha diverse falle. Ecco le città critiche

di Diana Cavalcoli

«Viviamo nell’illusione che l’Italia sia un Paese ricco d’acqua e che fiumi, laghi e ghiacciai siano risorse inesauribili. Non è così. Il rischio è accorgersene troppo tardi». Per Rosario Lembo, presidente del comitato italiano per il Contratto mondiale sull’acqua, tutelare il nostro patrimonio idrico è un dovere non più rimandabile. Soprattutto se si considera che in futuro l’acqua sarà un bene scarso. Si stima che tra cinque anni un terzo della popolazione mondiale vivrà in crisi idrica, cioè con disponibilità di acqua inferiore ai 1700 metri cubi all’anno. Ecco perché è strategico analizzare già oggi i progressi e le criticità nella gestione delle risorse a nostra disposizione. In questo senso il Rapporto 2018 di Asvis offre uno spaccato completo, e a tratti preoccupante, del caso italiano.

Per inquadrare il problema occorre però fare una premessa: a nove anni dalla risoluzione Onu, che lo introduceva per la prima volta, il diritto all’acqua potabile e ai servizi idrici non è garantito in nessuno Stato del mondo. Secondo Lembo, che per Asvis ha analizzato i risultati ottenuti dall’Italia rispetto al Goal numero 6 dell’Agenda 2030 dell’Onu, siamo lontani dal centrare l’obiettivo di garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua. «Nel nostro caso – spiega – il tema non è solo l’accesso all’acqua ma piuttosto l’accesso all’acqua di qualità. E questo vale tanto nelle grandi città, come Roma o Milano, quanto nelle zone periferiche dove la rete di distribuzione arriva a fatica». In altre parole, se è vero che abbiamo le risorse è anche vero che le gestiamo male. Basta pensare che sono più di 20 mila i siti contaminati in Italia e il Rapporto Asvis 2018 segnala come negli ultimi anni l’indicatore relativo all’efficienza della rete di distribuzione sia peggiorato. «I dati – aggiunge Lembo – attestano un buon andamento fino al 2014. Dopo, però, si evidenzia una brusca inversione di tendenza ed è un problema che riguarda tutto il territorio nazionale con criticità a Sud e nelle Isole».

Per dare qualche numero circa il 10 per cento della popolazione italiana lamenta irregolarità e cattivo funzionamento del servizio dell’acqua in casa. In media oltre un terzo dell’acqua immessa nelle reti non arriva all’utenza con punte del 60 per cento nelle province di Latina, Frosinone, Vibo Valentia, Potenza e Campobasso. È poi ancora molto alta, oltre il 29 per cento, la quota di famiglie che non si fidano a bere dal rubinetto. Ecco spiegato perché, secondo i dati del Censis, 9 italiani su 10 preferiscono bere acqua in bottiglia. Per di più la mala gestione dell’acqua ci costa caro. L’Italia ha subito due procedure di infrazione da parte dell’Unione Europea che da anni promuove l’efficientamento delle reti idriche e la lotta all’inquinamento. Nel mirino il ritardo nella messa a norma di oltre 100 centri urbani e aree sprovvisti di sistemi di trattamento delle acque reflue. Il risultato è una multa salata: 25 milioni di euro a cui si aggiungeranno 30 milioni ogni sei mesi per ulteriori ritardi negli interventi. «Difficile pensare che si riesca a risolvere la situazione a breve – spiega Lembo – il numero dei centri non conformi alle direttive europee resta alto nonostante vi sia stato un miglioramento. Siamo scesi da oltre cento siti non a norma a circa 70». Passo avanti che non basta a trasformarci in un Paese che ha cura dei suoi bacini idrici e delle sue falde. Siamo anche un Paese che storicamente sottovaluta i rischi legati all’ acqua.

In pochi sanno ad esempio che in Italia la carenza d’acqua è un’emergenza nazionale. «Eppure, nell’estate del 2017 ben 10 Regioni hanno dichiarato lo stato di calamità. Strategico quindi lavorare sulla prevenzione ed evitare di allertarsi solo quando c’è siccità o un eccesso di precipitazioni. Va cambiato approccio», chiosa Lembo. Per Asvis un primo passo è aumentare il dibattito. «Inutile negarlo c’è scarsa attenzione da parte della politica e del legislatore. Pensi che non disponiamo nemmeno di un bilancio idrico nazionale», sottolinea Lembo. La buona notizia? Se lo Stato manca a farsi sentire è la società civile. «Cresce la sensibilità dei cittadini rispetto alla questione dell’acqua e al monitoraggio dei rubinetti nelle case. Così come l’attenzione di alcuni sindaci che hanno proposto una serie di investimenti per favorire il controllo di qualità». E poi c’è più responsabilità rispetto agli usi. Tra le buone pratiche: la messa a disposizione di informazioni sull’acqua di rete, l’installazione di punti pubblici di erogazione, le cosiddette Case dell’acqua, oltre al moltiplicarsi di iniziative culturali nelle scuole. Quel che ancora manca sono gli interventi sulle infrastrutture.

Per Asvis l’obiettivo di lungo termine è rinnovare la gestione del ciclo dell’acqua. Che significa potenziare la rete idrica dove serve, bonificare le tubazioni e portare le perdite al minimo in modo da garantire acqua pulita in tutti gli 8 mila comuni italiani. Vitale poi non focalizzarsi solo sulle problematiche legate all’acqua che arriva nelle nostre case. «Ci si concentra sull’uso domestico – conclude Lembo – mentre in realtà parliamo di una risorsa cruciale anche per l’agricoltura o per i cicli industriali. Quindi bene parlare di acqua ma facciamolo a 360 gradi». Sempre con l’idea che da diritto scritto sulla carta, il diritto all’acqua dovrebbe diventare davvero tale.

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