Gigi Proietti: “Diffidare di chi non ride. Soprattutto oggi”

Gigi Proietti: "Diffidare di chi non ride. Soprattutto oggi"

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Lo show man reduce dal sold out del suo spettacolo Cavalli di battaglia a Roma per il quale è stata aggiunta un’altra data

Gigi Proietti diffida di quelli che non ridono ma è aperto al mondo e il mondo sembra pronto ad abbracciarlo, visto il successo dello spettacolo Cavalli di battaglia in cui ripropone, tra musica e monologhi, una vita in scena. A Roma, alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, sold out per una settimana (“Mi aspettavo che venisse pubblico ma non così: sono 3700 posti e non ce n’era uno vuoto”) al punto che è stata aggiunta una data in più, a grande richiesta, il 2 agosto. “Vabbè, mi sono fatto un bel regalo per i 50 danni di teatro, e un regalo grande me l’ha fatto la gente”. A novembre compirà 75 anni. Asciutto, è diventato saggio coltivando l’ironia con quel disincanto tipico dei romani, che nell’ironia mescolano giudizio e affetto. Da “artista d’avanguardia”, ma ride quando si definisce così, ad amatissimo Maresciallo Rocca (“alla faccia di chi diceva che non bucavo lo schermo: l’ho disintegrato, lo schermo”), da Febbre da cavallo alle regie delle opere liriche, Proietti ha attraversato generi e correnti. Orgogliosamente pop “perché quelli con la puzza sotto il naso non mi sono mai piaciuti anche se quand’ero ragazzo volevo sperimentare. Sono stato curioso, ho fatto tutto, a volte mi sono piaciuto, altre meno: parliamoci chiaro fai questo lavoro per il pubblico”.

Oggi ai suoi spettacoli chi viene?
“I giovani che mi scoprono, i nonni che mi hanno seguito da sempre e vogliono rivedere i pezzi classici dei miei spettacoli. E rispondono tutti alla stessa maniera, a volte scatta l’applauso prima che comincio a parlare, perché sanno dove vado a parare”.

Cosa vuol dire essere popolari?
“Che ti vogliono bene. Ma vede, nella mia carriera il rapporto con la gente è sempre stato forte, il rapporto è stato meno forte con la critica teatrale. Non so perché, ma è così, mi hanno rivalutato dopo. Quasi s’imbarazzavano a dire: ma ‘sto Proietti è bravo”.

Ha vissuto varie fasi.
“La sperimentazione, l’uso forbito della lingua, se mi rivedo mi prenderei a schiaffi, una cosa innaturale, dopo anni ho recuperato il dialetto. Un po’ di verità serve, no? Uno deve  parlare senza birignao”.

Dal teatro alla tv, Il maresciallo Rocca è stato la consacrazione.
“Quello è ancora un altro tipo di popolarità, un successo televisivo insperato. Viaggiavo con la nomea di “quello che non buca lo schermo”, non solo l’ho bucato ma l’ho sfondato. Lì capisci cosa vuol dire arrivare “al grande pubblico”, ancora oggi mi chiamano maresciallo. E mi fa veramente piacere”.

Ha fatto tanti incontri nella sua carriera: a chi è rimasto più legato?
“Sicuramente a Gassmann. Mi manca.  Era un punto di riferimento, una  presenza importantissima, un uomo di grande intelligenza in generale, ma anche specifica, aveva una grande cultura teatrale. E’ forse l’ultimo grande attore nel senso della definizione classica. Oggi ci sono attori bravi, lui era un’altra cosa”.

Ha detto che la insospettiscono le persone che non sanno ridere: perché?
“Scherza? Saper ridere è fondamentale. Ora, se uno racconta una barzelletta e chi ti sta davanti non ride perché non è divertente è un conto, ma ci sono quelli a cui proprio non viene da ridere. Non hanno il senso dell’ironia, è terribile, mi tocca escludere dal mio mondo quelli che non sanno ridere. Per forza. Ora mi dirà: sono tempi in cui c’è poco da ridere”.

In effetti.
“Sbagliato, invece proprio in questi tempi bisogna saper trovare il rovescio della medaglia, le risate servono a qualcosa. Mi creda. Anche per la rivoluzione. Bisogna saper ridere del potere”.

Cosa la fa ridere?
“Anche cose elementari dette da qualcuno che di per sé sa far ridere, ha i tempi, diventano esilaranti. Per far ridere devi conoscere le pause, i silenzi. Fiorello lo vedo con grande piacevolezza, è il più grande showman italiano grazie alla sua leggerezza, che è l’opposto della superficialità. E’ un personaggio unico in Italia, a volte mi ricorda Dean Martin”.

Ha alle spalle 50 anni di carriera, alti e bassi. Quanto ha contato la famiglia?
“Avere accanto una persona come Sagitta (Alter, da cui ha avuto le figlie Susanna e Carlotta, ndr) che con me ha avuto pazienza, ha contatto molto. Sono stato maniacale nei confronti del teatro, sono passato attraverso le avanguardie, il dadaismo, le sperimentazioni, facevo cose paradossali, e non c’avevamo una lira. Poi viaggiavo tanto, non c’ero mai. Ero un pazzo, starmi vicino non è stato facile ma siamo qui”.

Le sue figlie hanno seguito le sue orme: orgoglioso o preoccupato?
“Sotto sotto mi fa piacere ma è molto dura, non dico che sia un ambiente maschilista ma fare questa carriera senza ruoli importanti non è facile. E per le donne non c’è tutto questo spazio. Carlotta fa l’attrice e canta, Susanna è costumista ma è brava anche in scena. Sto cercando di trovare un teatro così loro continuano a gestirsi da sole, perché è tutto difficile in questa città”.

Apriamo il capitolo Roma?
“Perché ci dobbiamo intristire? Stavamo tanto bene. Roma è diventata faticosa, hanno approfittato tutti. Non sa quanto mi dispiace, non so più cosa ci vorrebbe per farla risorgere”.

L’aspetto più duro del mestiere dell’attore?
“Aspettare la telefonata. Umiliante anche. Ringrazio il cielo di aver avuto le occasioni nella vita: la gavetta l’ho fatta, ma la fame-fame, quella nera, no. Non immagina quanta gente di talento non ce l’ha fatta, perché non è vero che quelli bravi prima o poi arrivano. Devi avere qualcuno che ti dà l’opportunità di farti conoscere. Se hai grande talento ma non hai la fortuna, succedono cose che non prevedevi: ti demoralizzi, ti arrendi presto, puoi cadere in depressione”.

Quindi vince chi resiste.
“La tenacia è uno degli elementi del carattere, ma devi avere le occasioni. Quando nel 68 sono andato a sostituire Domenico Modugno in “Alleluia brava gente” non amavo quel genere di cose, ho accettato e non avrei mai immaginato che mi avrebbe cambiato la vita.  All’epoca facevo un po’ lo snob, ma bisogna cogliere le opportunità. Lavorare con Garinei e Giovannini lo era”.

Ma visto che faceva “l’attore impegnato” ha avuto il dubbio.
“Oggi se dico che mi piacevo com’ero allora dico una bugia, pensavo di essere depositario di grandi verità, crescendo uno stempera la faccenda, si ridimensiona un po’ se no si vive male. Da buon laico non sono per i dogmi”.

E’ vero che tornerà in tv con un one man show?
“Ci sto pensando, ma  fare un one man show oggi non è facile. Potrei partire proprio da Cavalli di battaglia, ripensandolo un po’. Ma la tv oggi è complicata, l’ascolto, lo share, il bacino d’ascolto. Una roba da esperti. Intanto girerò la seconda serie di “Una pallottola nel cuore”, la fiction è diventata più gialla, c’è più suspense. Il pubblico non si accontenta”.

Il cinema?
“Non ho mai intrapreso una “carriera cinematografica”, ho girato qualche film. Ma di una cosa sono sicuro: basta commedie. Ne ho fatte tante, si apre una nuova era”.

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di ERNESTO ASSANTE

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