Tuscia Viterbese: 10 cantine, 10 fotografie e 10 assaggi imperdibili. E’ record

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GRAND TOUR

Da queste parti ci ho piantato le tende cinque anni orsono, un po’ per scelta, un po’ per lavoro, ma con l’idea di non concedergliene troppo del mio tempo a questa campagna infame e di tornarmene a casa in un lustro, o giù di lì. La scadenza incombe e tutto procede più o meno secondo i piani. Salvo che, nel frattempo, com’era prevedibile, un po’ mi ci sono affezionato a questo lembo di terra tutta viti, laghi e pecore. Colpa mia, che non riesco a rimanere cinico e sdegnoso fino in fondo. Ma anche merito di questa gente qui che si è mossa, eccome, negli ultimi tempi.

Massimo Andreucci mar 01 lug 2014 da intravino.com

Tant’è, si fa ora di girare e tacchi. Sul tavolo lascerò alcuni fogli con i miei appunti di viaggio. Vi torneranno utili nel caso decidiate di fare un salto da queste parti. E ce ne sarebbe motivo, in questi tempi di caldo boia.

L’estate è mite e breve, qui. Anche troppo breve. Si arriva settembre in un tiro di schioppo, tra feste del vino a raffica e notti insonni a spasso per un festival della cultura che è piuttosto una bolgia, giù nel quartiere medievale. Si chiama Caffeina.
C’è il fango delle pozze sulfuree che non smette mai di bollire. Ti ci fai il bagno a notte fonda, se fa troppo freddo per il lago, e capita che il giorno dopo te ne vai al lavoro con l’odore del Diavolo ancora addosso.

Dieci, venti anni fa non era così. Giuro. La città era la stessa, ma benestante e avvilita. Alla sera scattava il coprifuoco e la caserma traboccava orde di militari in libera uscita. I civili allora riparavano su nei monti, a consolarsi coi vini nazionalpopolari dei cantinoni: tutti simili, tutti più o meno imbevibili. L’estate a quei tempi era una nube di polvere che non se ne andava mai.
Ora invece c’è nuova uva in fermento. Sempre più uva che qualche vignaiolo dissidente ha liberato dalle fauci di una pigiadiraspatrice mastodontica. Ogni sera c’è un nuovo vino da assaporare. Una nuova bottiglia dall’etichetta stramba e coloratissima. L’occupazione militare è terminata. Mai più ronde. C’è voglia di fare festa.

Due parole sull’uva
Qui le viti ci sono da sempre. Poi che c’entra, tutto il mondo è paese e anche qui un tempo andava di moda spiantare i vitigni autoctoni par far spazio al merlot. Oggi, per fortuna, un po’ meno. Ad ogni modo, quel che è del tutto evidente è che ci sono almeno due zone in cui il terroir si esprime, per così dire, con estrema proprietà di linguaggio; quantomeno se al suolo ci inzeppi la marza giusta. Una di queste è la zona ad est-nordest del Lago di Bolsena, da Civitella d’Agliano in su, fin sopra Orvieto, ed è terra di grechetti, dei migliori grechetti in circolazione. Ma è anche zona di grandi muffati in virtù di un clima particolarmente umido a sua volta provocato dalla compresenza di due grandi bacini idrici (il Lago di Bolsena e la diga di Corbara). L’altra zona, più o meno intorno a Gradoli, è invece il territorio d’elezione dell’Aleatico. Per la cronaca: siamo esattamente sopra un vulcano.
Fuori da queste considerazioni c’è da menzionare la storica e famosissima DOC dell’Est! Est!! Est!!! la cui estensione comprende una vasta aerea intorno a Montefiascone, fino ad Orvieto.
In tutta l’area dell’alta Tuscia Viterbese i vitigni più gettonati, oltre ai due sopra, sono il procanico (trebbiano toscano), il trebbiano giallo, la malvasia ed il roscetto, per quanto riguarda i bianchi; per i rossi sono il sagiovese, il merlot, il canaiolo, ed il violone (montepulciano).

Le 10 cantine imperdibili.
Fino a ieri c’erano solo Sergio Mottura, Trappolini e pochi altri. Ah, c’erano anche i fratelli Merlot, ovvio, ma non siamo qui a parlar di loro.
Va bene, ce ne erano, e ce ne sono, anche molti altri di produttori, una miriade, ma se ve li indicassi tutti si perderebbe il senso della lista degli imperdibili. A voi l’elenco dunque, in rigoroso ordine casuale:

1. San Giovenale – Loc. La Macchia, Blera. Un po’ come il Kurni ed il Kupra di Casolanetti, il suo Habemus (rosso da grenache, carignan e sirah) è un vino che fa discutere e forse divide anche, ma va assolutamente provato. A me piace. Molto. Ah, il riferimento a Casolanetti non era tanto per dire.
2. Trebotti – Castiglione in Teverina. Gocce, la riserva di Castiglionero (da uve violone) è uno dei rossi più emozionanti che incontrerete da queste parti.
3. Trappolini – Castiglione in Teverina. È uno di quei produttori che fanno la felicità degli appassionati: i suoi vini sono territoriali, sempre buoni, accessibili. Il cru aziendale è il Paterno (sangiovese), ma meritano anche gli altri.
4. Sergio Mottura – Civitella d’ Agliano. I suoi bianchi da uve grechetto sono famosi in tutta Italia e ci sta che già lo conosciate bene. Resta comunque un valido motivo per andare a trovarlo: nella cantina che si affaccia nella piazza del paese conserva sempre qualche vecchia bottiglia. Ci siamo capiti.
5. Giuliano Salesi – Trevinano. Lui invece non lo conoscete di sicuro. Il suoi vini da vigne coltivate ad alberello palificato, nel rispetto dei principi della biodinamica sono una novità assoluta. In particolare mi ha colpito il Podere Orto, (rosso da uve in prevalenza sangiovese) piacevolmente tannico, saporito e di belle speranze. Ne sentiremo parlare.
6. Andrea Occhipinti – Loc. Montemaggiore, Gradoli. Quando sei seduto sopra un vulcano hai molte cose da temere, ma non la fillossera. Se poi il vulcano è inattivo allora senti di dover ricambiare tanta grazia coltivando a basso impatto ambientale. Se per giunta utilizzi solo vitigni autoctoni ed eviti i passaggi in legno, puoi star sicuro che il bicchiere saprà restituire l’opulenza del territorio. Garantito.
7. Antonella Pacchiarotti – Grotte di Castro. Se Occhipinti ha aperto un sentiero, declinando l’aleatico nella versione rossa secca e in bianco, la Pacchiarotti ne ha seguito mirabilmente le orme. Molto buona anche la versione tradizionale passita, ovviamente.
8. Az. Agricola Le Coste – Gradoli. Vini rustici, senza compromessi, ma sapidi e complessi. Proprio ieri sera mi sono rinfrescato la memoria col loro Litrozzo Bianco (blend di uve varie) apprezzandone l’acidità spinta e beverina, e quella lieve tannicità che ne allunga la persistenza.
9. Trappiste di Vitorchiano. Sì, sono suore, ma che ci posso fare se il loro Coenobium Bianco non è proprio da buttare? Merito di un tale che si chiama Paolo Bea? Forse.
10. Tenuta Ronci di Nepi – Loc. Valle Ronci, Nepi. Un esempio di come anche una produzione da vitigni per lo più internazionali, se condotta nella giusta maniera, riesca a restituire le caratteristiche del territorio.

Qualcosa dovrete pur mangiare: dieci assaggi che vi rimettono al mondo.
La parte alta della Tuscia viterbese è terra di formaggi, di carni, salumi, legumi,di olio e ovviamente di vino. Tradizionali sono inoltre le preparazioni a base di pesce di lago (principalmente anguilla, coregone, persico). La parte inferiore nei pressi dei Monti Cimini è invece maggiormente famosa per i funghi, il miele e soprattutto le nocciole. C’è anche il tartufo, ma personalmente non ne ho una grande opinione: preferisco di gran lunga quello umbro della Valnerina. Di prodotti e produttori che meritano ce ne sono, insomma. A voi il divertimento di venire a stanarli, se vi pare. Io mi limito a segnalare alcune chicche:

1. Il Candido, formaggio a crosta edibile dell’Az. Agricola Il Circolo a Montefiascone, in via Coste 121.
2. Il fiordilatte del caseificio Cioffi a Viterbo in via S. Carlo, 14.
3. Il pecorino dell’Az. Chiodetti a Civita Castellana, via Flaminia, 79.
4. La Susianella (presidio Slow Food) della salumeria dei Fratelli Stefanoni, tra Viterbo e Montefiascone, in via Cassia Nord, 60.
5. La Scapicollata della Pizzicheria Brunetti a Nepi, via Matteotti, 38.
6. La Sella di maiale del Salumificio Gam di Montefiascone, via Alighieri, 12.
7. La Nellina, la crema spalmabile fatta con le nocciole dop dei Monti Cimini.
8. L’Olio extravergine dop di Canino.
9. La focaccia del forno Biscetti a Bagnaia.
10. I Fagioli del Purgatorio di Gradoli.

Fiere, feste e degustazioni.
Di questi tempi il calendario degli eventi somiglia piuttosto ad un tour de force. Stare dietro a tutte le proposte richiede impegno, ma è un dolce soffrire. Eccovene cinque a cui non mancherei mai.

1. Caffeina, il festival della cultura di Viterbo (26/6-7/7 – in corso). Se non bastasse il programma ricchissimo di ospiti, e la splendida atmosfera che si crea nel quartiere medievale di Viterbo, quest’anno lo spazio dedicato a Slow Food presenta una bellissima selezione di prodotti, degustazioni in continuo, ed un’enoteca da brividi. Andateci di corsa.
2. Gli aperitivi in barca. Si parte ogni giovedì dal porto di Bolsena alle 17,30, destinazione isola Bisentina, in compagnia di un produttore locale di vini e di uno di prelibatezze gastronomiche. Se non vi siete abbuffati, arrivati all’isola ci scappa anche un tuffo.
3. Volcanic Wines, Montefiascone, Pitigliano, Orvieto (4-6/7). Una manifestazione che raccoglie i vini di tutti i territori vulcanici della penisola e che ogni anno riesce sempre meglio. Quest’anno ci sono almeno 80 produttori.
4. Nelle terre del Grechetto, Civitella d’Agliano, 25-27/7. Grechetti da tutto il centro Italia, con Sergio Mottura a fare da padrone di casa (e della situazione).
5. La Fiera del Vino di Montefiascone 1-17/8. La festa del vino più lunga, pirotecnica e impegnativa. Il giro delle cantine è una specie di battesimo del fuoco. Arrivati all’ultima vi sentirete provati, ma in qualche maniera più vissuti.

Fate anche i turisti, ogni tanto.
Ho scritto assai, ma forse ho dimenticato di dire la cosa più importante: in Tuscia ci si viene perché ci sono dei luoghi magnifici da visitare. Bevete quanto volete, ma non tornate a casa senza queste fotografie nel cellulare:

1. Civita di Bagnoregio, la città che muore.
2. Il Parco Naturalistico Archeologico di Vulci.
3. L’isola Bisentina nel Lago di Bolsena.
4. Il teatro romano di Ferento.
5. La cupola di Montefiascone.
6. Il Parco dei Mostri di Bomarzo.
7. Il Palazzo Farnese a Caprarola.
8. Le pozze sulfuree e le terme di Viterbo.
9. La Riserva Naturale del Lago di Vico.
10. Villa Lante a Bagnaia.

 

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