Servono ancora le ferrovie ? di Massimo Ferrari

MA QUELLO FERROVIARIO E’ ANCORA UN SERVIZIO ESSENZIALE?
Mezzo secolo fa, agli inizi del 1973, pochi credevano nell’avvenire delle ferrovie. I più consideravano il
treno un mezzo di trasporto superato e, quindi, destinato ad un lento ma ineluttabile declino. Anche coloro
che difendevano le ragioni del trasporto su ferro – per esempio, l’ottimo giornalista Mario Righetti sulle
pagine del Corriere della Sera – raccomandavano di puntare sullo sviluppo delle grandi direttrici nazionali
ed internazionali, sfoltendo le linee locali additate tra le principali cause dell’ormai cronico disavanzo.
Insomma, si puntava a salvare il salvabile.
Perciò da ragazzo leggevo con attenzione gli avvisi di gara che ogni tanto venivano pubblicati sulla
stampa: se si riteneva di investire su questo o quell’impianto, voleva dire che almeno per un po’ ci sarebbe
stato un futuro per certi servizi. Eppure il treno, forse più per tradizione che per convinzione, veniva
ancora percepito come un servizio essenziale irrinunciabile. Quando nell’autunno di quello stesso 1973, a
seguito della guerra dello Yom Kippur, il prezzo della benzina schizzò alle stelle e vennero decretate le
“domeniche a piedi”, mio padre, allora funzionario dell’Enel, mi tranquillizzò assicurandomi che, anche
se la situazione si fosse aggravata, l’ultima forma di locomozione ad essere colpita sarebbe stata proprio la
circolazione ferroviaria.
E, infatti, a seguito di quella epocale crisi energetica, la funzione del treno cominciò ad essere rivalutata
da molti opinionisti. Si prese a parlare della necessità di un riequilibrio modale, per non essere totalmente
dipendenti dal trasporto su gomma. Fiumi di parole, cui, con molta fatica e parecchie contraddizioni, sono
poi seguiti anche fatti tangibili. Lentamente, però. Se erano stati sufficienti appena quindici anni per
rivoluzionare il mondo dei trasporti e le abitudini di spostamento – la motorizzazione di massa, le
autostrade, il boom dell’aviazione commerciale – non è bastato mezzo secolo per conseguire pienamente
il riequilibrio modale auspicato.
Certo, tante cose sono cambiate. L’Alta Velocità ha fatto irruzione in molte nazioni europee ed asiatiche; i
tram moderni sono ricomparsi nelle città francesi, spagnole e americane (talvolta, più timidamente, anche
in qualche città italiana); persino la potatura delle linee secondarie ha segnato il passo e, in certi rari casi,
si è assistito a qualche insperata riapertura. Il turismo su rotaia, che allora era appannaggio delle classi
sociali più umili, non ancora motorizzate, adesso si sta ritagliando una fetta di mercato affluente. In giro
per il Mondo circolano crociere su rotaia proposte a decine di migliaia di euro ed anche la nostra
Fondazione Fs punta a ritagliarsi una nicchia nel settore.
Del resto, ingenti investimenti sono stati annunciati a livello europeo (per non parlare dell’Estremo
Oriente, dove in genere si preferisce annunciare i lavori già conclusi). Persino in Brasile si torna a parlare
di una linea ad Alta Velocità tra Rio e San Paolo, mentre in Africa si pensa di realizzare nuove ferrovie
suburbano per alleviare la congestione permanente a Lagos e Kinshasa.. E naturalmente anche da noi è
lecito attendersi che le ingenti risorse finanziarie stanziate dal PNRR, con procedure velocizzate dalla
nomina di commissari ad acta, possano dare (a breve?) buoni frutti.
Ultimamente, però, la notizia di un cantiere di prossima apertura o la lettura di un avviso di gara mi
provocano una sottile inquietudine. Anziché gioire per un’ulteriore conferma della vitalità ferroviaria,
comincio a temerne gli effetti collaterali. Già da una decina d’anni, puntualmente in estate, dopo la
chiusura delle scuole, molte linee locali vengono sospese per lavori, Inizialmente giusto nelle settimane
centrali d’agosto, poi, sempre più spesso, da giugno a settembre. Evidentemente ci si è preso gusto ad
investire su queste tratte che un tempo sembravano destinate all’abbandono. Anche se di operai al lavoro
capita assai raramente di incontrarne.
Adesso questo modus operandi si estende persino alle linee importanti. Nella prossima estate la (ex)
Direttissima Bologna – Prato – vanto dell’ingegneria italiana alla fine degli anni Trenta – chiuderà per tre
mesi. Certo, oggi Frecciarossa ed Italo, per collegare Milano a Roma, utilizzano la nuova linea AV. Ma i
residui intercity non si capisce bene che fine facciano. Forse deviati via Genova e Livorno, con
consistente aggravio di tempo. Mentre l’EC notturno Vienna – Roma verrà attestato ad Ancona. Se un
turista mitteleuropeo intendeva visitare gli Uffizi o il Colosseo, gli si proporranno in alternativa le spiagge
della Romagna. Vuoi mettere l’abbronzatura a Rimini?

Stessa sorte (tre mesi di interruzione) toccherà nell’estate del 2024 alla linea internazionale del Sempione,
già interessata da improrogabili lavori nel 2020 (ma allora c’era la pandemia): tutti in bus tra
Domodossola e Milano, anche se gravati da bagagli. I vacanzieri qualche sacrificio possono pure
accollarselo. Lo hanno subito (di buon grado?) persino i pendolari del capoluogo lombardo che, nella
scorsa estate, hanno visto il transito dei treni nel Passante interrotto per diverse settimane a fronte di un
anomalo consumo dei binari in curva, per cause comunque mai del tutto chiarite.
Chiarissimo, invece, il motivo dei lavori sulla Palermo – Catania, il cui tracciato deve essere raddoppiato
per rendere finalmente il treno competitivo tra le due grandi città siciliane (intervento contemplato nel
PNRR, come prova eloquente degli investimenti nel Mezzogiorno). E allora si comincia con chiudere per
due anni la linea tra Bicocca e Dittaino, ossia nella parte sostanzialmente pianeggiante e poco popolata,
dove in teoria dovrebbe essere più facile intervenire.
Tutte queste cose – manutenzioni straordinarie e lavori di potenziamento infrastrutturali – un tempo,
spesso con tecnologie meno sofisticate, venivano effettuate in pendenza di esercizio, ricorrendo, se
necessario, al lavoro notturno. Ancora venti anni fa, a Milano, un intervento delicatissimo quale il
quadruplicamento tra Boviva e Cadorna, in trincea a pochi metri dagli stabili signorili del quartiere
Sempione, venne realizzato senza sospendere quasi mai la circolazione dei treni. Adesso si sostituiscono i
treni con autobus nei fine settimana e nella stagione estiva tra Sondrio e Tirano per (impercettibili)
migliorie in vista delle Olimpiadi invernali 2026, anche se la parallela strada statale dello Stelvio vede il
continuo incolonnamento di auto dirette alle località di villeggiatura alpina.
Certo è più comodo lavorare senza dover fare i conti col passaggio dei treni. Si evitano turni di notte e
conseguenti grane sindacali. Forse si risparmia qualcosa (ma sul punto occorrerebbe fare chiarezza:
quanto costa tenere aperti cantieri per un’intera stagione? Sempre che si lavori per davvero, è ovvio).
Sicuramente si riducono i rischi, soddisfacendo i desiderata dell’Ansfisa, secondo cui una ferrovia
davvero sicura è una ferrovia chiusa. Ma se si adottassero gli stessi criteri per la rete viaria ed autostradale
si paralizzerebbe il Paese e l’economia crollerebbe.
La verità – così almeno sembra di potersi dedurre dai fatti, perché nessuno ha avuto il coraggio di
esplicitarla chiaramente – con ogni probabilità è un’altra. Il trasporto ferroviario (come pure il trasporto
urbano, anche nelle maggiori città, Roma docet) è ormai considerato marginale, a dispetto delle roboanti
dichiarazioni di intenti volte a potenziarlo. Se si eccettua la rete ad Alta Velocità (almeno quella!), le
metropolitane nelle città (ma a Genova manco quella!) e le tratte più frequentate dai pendolari (dove
un’interruzione prolungata provocherebbe problemi di ordine pubblico), tutto il resto si può impunemente
sospendere per settimane o mesi, lasciando che la clientela scelga altre modalità di trasporto (cui poi
finisce con l’abituarsi) e gli utenti irriducibili si arrangino con gli autobus sostitutivi (sulla cui affidabilità
sarebbe meglio stendere un pietoso velo).
Se cinquant’anni fa il trasporto ferroviario, seppur al tramonto, era comunque considerato un servizio
essenziale, oggi lo stesso – che sembra avviato a rivestire un ruolo di primaria importanza nella mobilità
del futuro – è il primo ad essere sospeso per le più svariate ragioni: quando c’è da aprire un cantiere,
quando ci sono problemi di ordine pubblico in una stazione, quando si avvertono anche solo lievi scosse
di terremoto o principi di incendio a chilometri di distanza e via enumerando. Finendo così per rendere
aleatorio ed inaffidabile il servizio stesso.

Massimo Ferrari – Presidente UTP/Assoutenti

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