Il dottor Giuseppe Miserotti dei medici per l’ambiente spiega perché occorre partire dalla tutela ambientale

Giuseppe Miserotti, medici per l’ambiente: «Il virus si cura a partire dalla tutela ambientale. Dobbiamo ripensare tutto il sistema alimentare».

15/04/2020

Gli effetti del Covid-19 hanno colpito senza distinzione ogni settore della nostra economia, mutando i processi di gestione sanitaria, industriale, sociale e istituzionale. La sua forza ci porta nuovi  interrogativi a cui non sempre è facile dare una risposta. Tra questi, ce n’è uno su cui ci siamo voluti soffermare, ovvero la relazione tra il diffondersi dei patogeni e la  fragilità dei nostri ecosistemi, stressati da sistemi  produttivi del tutto insostenibili e che distruggono la biodiversità.

Ci siamo convinti di poter «rimanere sani in un mondo malato», come ci ha detto Papa Francesco, davanti a piazza  San Pietro deserta. Una sintesi efficace che mette a nudo tutta la debolezza dei nostri giorni.

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Per approfondire il tema e capire se l’ipotesi tra disastro ambientale e diffusione del virus potesse avere una base scientifica, abbiamo interpellato il Dott. Giuseppe Miserotti,già presidente dell’Ordine dei Medici di Piacenza e membro della Giunta esecutiva nazionale dell’Isde Italia, l’Associazione Medici per l’Ambiente.

Slow Food ormai da molti anni sostiene che per preservare la nostra salute sia imprescindibile custodire la vita all’interno degli habitat naturali. Da un punto di vista scientifico, è possibile affermare che a una crescente perdita di biodiversità degli ecosistemi equivalga una maggiore perdita delle nostre difese immunitarie? 

È una relazione ampiamente dimostrata. L’Italia ad esempio è tra i Paesi che ha una ricchissima biodiversità: basti pensare che è il Paese che ha il numero di semi maggiore al mondo. Ma anziché valorizzare questo patrimonio, abbiamo scelto di abbracciare un’agricoltura intensiva che è diventata per alcuni aspetti quasi una monocoltura. Questo ha delle enormi ricadute sull’ambiente e sul territorio, a ciò si aggiunga che viene fatto un uso massiccio di sostanze chimiche e pesticidi che a loro volta influiscono sulla biodiversità del terreno. È un tema molto importante, perché il rapporto tra uomo e ambiente è arrivato a una situazione talmente critica da definire “antropocene” l’era in cui viviamo, per sottolineare quanto pesante sia l’azione dell’uomo per il pianeta. L’uomo ha alterato quegli equilibri delicati e complessi che la natura per milioni di anni aveva dimostrato di essere in grado di mantenere.

Questo processo che tipo di ricadute ha avuto sulla biodiversità? 

Brett Jordan- Unsplash

Nelle aree dove c’è stata meno invasività da parte dell’uomo, la biodiversità è diminuita 80-100 volte, ma nelle aree in cui l’inquinamento di terreno e acque si è fatto sentire in modo più pesante è diminuita anche un migliaio di volte. Ciò mette in pericolo la nostra sicurezza, perché la biodiversità definisce delle chiavi di rapporti molto complessi (di tipo genetico, competitivo, molecolare) dai quali dipende la vita dell’uomo. Non dimentichiamoci che il luogo da dove è partito il salto di specie del Coronavirus è avvenuto in una zona della Cina soggetta a fenomeni di urbanizzazione molto forti. Ne è conseguita un’ampia perdita dei territori che ha radicalmente cambiato i rapporti tra mondo animale e vegetale, da sempre in equilibrio perfetto. Lo stesso discorso vale per spiegare il delicato legame tra il mondo dei batteri e quello delle nostre mucose: infatti, fino a che i batteri sono in equilibrio fra loro, esercitano nei nostri confronti un potere di protezione.

Quindi una “schermata” di cui possiamo avvalerci ma che, se esposta a un livello di inquinamento maggiore, abbassa la sua azione protettiva e ci rende più deboli, è corretto?

Non c’è dubbio. In questi giorni è uscito uno studio condotto dall’Università di Bari su alcuni dati elaborati dall’Università di Bologna, nel quale si cerca di approfondire la correlazione tra inquinamento dell’aria e la presenza del virus. Il tema è molto complesso e serviranno ulteriori dati per confermarlo, ma quel che è certo è che l’inquinamento influisce sullo stato della nostra salute. Pensiamo alla Pianura Padana, una delle cinque aree più inquinate al mondo: è stato dimostrato che chi vive in questa regione, cede un anno e mezzo di aspettativa di vita rispetto a chi respira aria “migliore”. Chi vive in mezzo al microparticolato ha uno stato di infiammazione più o meno cronica che espone le prime vie respiratorie a un maggiore attacco da parte dei batteri e dei virus.

Tra i benefici del periodo di quarantena c’è la riduzione dei livelli di inquinamento, soprattutto al Nord: sarà un effetto passeggero o inciderà sulla nostra salute nel lungo termine?

Difficile che questo accada. Per incidere sul lungo periodo occorre diminuire l’inquinamento di base. Ciò che fa più male alla nostra salute non sono tanto le giornate in cui si raggiungono picchi massimi di PM10 e PM2,5, quanto l’esposizione del nostro organismo a un costante, seppur contenuto nella norma, livello di inquinamento durante tutto il resto dell’anno. È un aspetto che deve far riflettere.

Alla luce di tutto questo, si auspica una riconversione dei sistemi produttivi? 

Partiamo dal fatto che questa è una crisi generata da un micro filamento di RNA, un elemento infintamente piccolo, ma che in brevissimo tempo ha cambiato la nostra vita.

Questo elemento di crisi avrà una sua positività se diventerà un elemento di crisi anche etica e morale rispetto a un mondo che così organizzato non è più sostenibile. A livello macro, assistiamo a un uso delle risorse iniquo, che ha fatto crescere la disparità economica, rivelando l’incapacità dell’economia neoliberista di colmare questo gap.

Alex Grodkiewicz Unsplash

La riduzione dei terreni coltivabili a causa della aumentata cementificazione del territorio, l’agricoltura industriale con l‘impiego di pesticidi e fertilizzanti e il continuo uso dei combustibili fossili, favoriscono l’inquinamento ambientale e i cambiamenti climatici.

Pur essendo un dato incontestabile, per far fronte a questa crisi ambientale non si chiede di impedire la libera circolazione di merci e persone, ma d’ora in avanti va ripensato tutto: il sistema dei trasporti, le attività produttive, il modo di fare agricoltura, che deve essere necessariamente biologico, così come è necessario ridurre gli allevamenti animali che hanno una ricaduta enorme sull’ambiente. 

Se sommiamo questa pandemia alla crisi ambientale, significa che c’è qualcosa di enorme ma anche di microscopico che nella natura si ribella quando gli equilibri sono stressati oltre la sostenibilità ambientale.

L’intervista integrale si può ascoltare nel podcast di Slow Food On Air del 24 marzo, all’indirizzo www.slowfood.it/slow-food-on-air.

A cura di Giulia Catania
g.catania@slowfood.it

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