Un futuro senza diserbanti in agricoltura?

Di Marcello Battarra

https://www.freshplaza.it/article/9167328/un-futuro-senza-diserbanti-in-agricoltura/

Apprendiamo da un’Ansa riportata anche dal notiziario quotidiano online FreshPlaza che un gruppo di ricercatori di Agroecologia dell’istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con l’Istituto Nazionale Francese di Ricerca Agronomica (INRA) di Digione, ha recentemente pubblicato sulla rivista Nature Sustainability uno studio sulle erbe spontanee, considerate infestanti, presenti nelle coltivazioni in genere (clicca qui per leggere l’articolo).

Avendone avuto l’autorizzazione, facciamo nostra l’eccellente sintesi, riportata in corsivo, circa i risultati del progetto triennale dei due prestigiosi istituti, che evidenzia come non tutte le erbe “cattive” vengono per nuocere in agricoltura, anzi: più sono diversificate e meglio è. Mantenere un buon livello di biodiversità nella comunità di piante infestanti aiuta a ridurre le perdite di produzione delle colture. Lo studio suggerisce che la riduzione di resa delle coltivazioni dovuta alla competizione da parte delle erbe spontanee non sia da imputare tanto alla loro presenza, quanto alla riduzione della loro diversità. Osservando con attenzione l’effetto delle cosiddette ” malerbe “, infatti, si può notare come non tutte producano gli stessi danni alle colture. Comunità di specie più diversificate producono minori danni, in misura inversamente proporzionale all’equilibrio tra specie. Questo accade perché, mediante un miglior uso delle risorse disponibili e l’occupazione delle “nicchie ecologiche”, le erbe spontanee impediscono ad altre particolarmente aggressive e competitive di insediarsi o diventare dominanti, e quindi di causare ingenti riduzioni di produzione.

Cerchiamo ora di evidenziare alcuni aspetti di quanto riassunto, anche per chi non ha formazione tecnica di agricoltura. Per meglio comprendere la situazione attuale, è utile fare prima un passo indietro di almeno sessanta anni: in quel tempo era alta e a basso costo la disponibilità di manodopera per i lavori manuali, in particolare per la sarchiatura (lavorazione superficiale del terreno dei cereali come il grano e l’orzo, della barbabietola da zucchero e di altre coltivazioni).

Questa lavorazione superficiale, eseguita precocemente, aveva e ha la funzione di eliminare le malerbe e, rompendo la capillarità del suolo (risalita dell’acqua), attivare la respirazione delle radici così da avere una crescita più rapida delle giovani piantine. Per quanto accurato fosse il lavoro, molte erbe sfuggivano e molte nascevano dopo il passaggio manuale, tanto che nel mese di maggio era normale vedere i campi di grano colorarsi di rosso per la presenza di papaveri in fiore.

Dopo la trebbiatura dei cereali si procedeva all’aratura (lavorazione profonda) e a successive lavorazioni per sminuzzare i terreni destinati alla semina primaverile della barbabietola da zucchero. Queste operazioni erano e sono anche un diserbo meccanico.

In questi campi, nonostante le lavorazioni, vi era abbondanza di Rosole (così vengono chiamate le giovani piante di papavero) nate dai semi caduti nel grano, poi Aspragini, Crespigni e Ravastrelli, tutte erbe che venivano raccolte e utilizzate in cucina per molte preparazioni tra cui i ravioli.

La rotazione delle colture interessava anche la bietola da zucchero, (un tempo plurigerme), almeno fino a quando – negli anni 70 arrivò – il seme con un solo germoglio (monogerme), mentre contestualmente diminuiva la disponibilità di manodopera e si affacciavano i primi diserbanti.

Dopo la bietola da zucchero si seminava una foraggera, prevalentemente erba medica, che occupava il suolo per tre – quattro anni ed era destinata all’alimentazione animale. A fine ciclo si tornava a seminare un cereale, poi la bietola e di nuovo la foraggera, intercalando altre specie, tipo il pomodoro da conserva in base alle richieste di mercato.

Questa rotazione era estremamente funzionale, in quanto in ogni coltivazione erano presenti comunità (gruppi) di malerbe differenti e, come si dice nello studio, questa diversità creava meno competizione con le colture agrarie e, aggiungiamo noi, la competizione avveniva non nelle prime fasi di sviluppo, grazie alle operazioni di sarchiatura, ma in un periodo più avanzato, quando le piante coltivate avevano già raggiunto uno stadio di crescita in grado di “reggere” maggiormente la presenza delle infestanti (spontanee).

Da allora, tuttavia, il panorama è drasticamente cambiato: non esiste più manodopera bracciantile disponibile, ma anche se ci fosse i costi per il suo utilizzo sarebbero improponibili. Contestualmente, sono stati chiusi quasi tutti i piccoli allevamenti di bestiame con la conseguenza di una drastica riduzione e disponibilità di letame, composto prezioso per mantenere alta la fertilità del suolo agrario.

In una economia di mercato sempre altalenante nel valore dei prodotti, si è cominciato a fare abbondante uso di concimi minerali, in particolare azotati per ottenere produzioni elevate, a fronte di un costante aumento di costi colturali.

Ovvio che anche le erbe “infestanti” beneficino di queste concimazioni e così, tra la fine delle rotazioni classiche, la scomparsa della manualità e il consistente utilizzo di concimazioni azotate, il diserbo è entrato prepotentemente nella pratica agricola.

Si sono raggiunti livelli di estrema specializzazione dei prodotti utilizzati, che sono sempre in continuo aggiornamento in quanto usando sempre lo stesso prodotto chimico ci sarebbe il rischio di creare resistenze; si ricercano così sempre nuovi principi attivi. Il discorso vale anche per le coltivazioni arboree, dalla vite al melo, dove dopo anni di diserbo si sono selezionate infestanti arbustive, il cui controllo sfugge ai prodotti chimici.

Riassumendo, la mancanza di rotazioni tra specie diverse ha significato aumento dei ristoppi (coltivazione ripetuta), l’indisponibilità di materiale organico (letame) ha ridotto la capacità del terreno di degradare i prodotti chimici (diserbi e trattamenti alle coltivazioni), il consistente impiego di diserbanti ha rotto “le comunità di erbe spontanee” (infestanti) presenti in modo differente in ogni coltura, rompendo così un equilibrio funzionale e funzionante, e facendo emergere infestanti che erano presenti in modo marginale.

E’ nostro convincimento che siamo oggi a un punto di svolta nella gestione delle coltivazioni, per almeno due motivi fondamentali: il primo aspetto è legato alla bassissima redditività delle produzioni agricole per cui il costo del diserbo, sempre più sofisticato, dei trattamenti chimici necessari (la maggiore crescita delle piante, a seguito dei consistenti apporti di azoto, aumenta la loro suscettibilità nei confronti di malattie fungine), incide sul risultato finale in modo significativo; il secondo è legato alla crescente domanda di prodotto salutare, non necessariamente biologico, in cui il diserbo chimico rappresenta una delle componenti da mitigare maggiormente.

Lo studio presentato è molto interessante perché apre una nuova prospettiva, anche culturale: l’importante è che non cada nel vuoto e sia fine a se stesso perché, a differenza del passato, oggi esistono gli strumenti meccanici adatti e, con l’aiuto di un’elettronica sempre più sofisticata e affidabile, è possibile, per ogni singola coltura, pensare di sostituire, gradualmente, il diserbo chimico con quello meccanico ripristinando così una maggiore biodiversità delle erbe spontanee infestanti “buone”.

Data di pubblicazione: mer 27 nov 2019

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