Clima e salute, il mondo assicurativo sventola la bandiera ecologista

–di  09 ottobre 2018 da ilsole24ore.com

Ondate di calore, siccità, tempeste, zanzare ed eco-ansia minacciano sempre più spesso la salute umana e l’economia. Dunque servono misure incisive contro l’inquinamento e il riscaldamento globale, investimenti responsabili e trasparenti da parte delle imprese per ridurre l’impatto ambientale delle attività produttive. A chiederlo non sono più solo appassionati ambientalisti ma il mondo assicurativo e della finanza. Perché senza un cambiamento di rotta, la sostenibilità del settore assicurativo, del welfare e dei sistemi sanitari nazionali rischia di crollare. A fare il punto oggi, alla Sala Zuccari del Senato, il convegno «Segno e catastrofe, l’impatto del cambiamento climatico sulla salute dei cittadini e sulla sostenibilità finanziaria del welfare», organizzato da Schult’z risk center.

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La chance dei green bond 
«L’incremento degli eventi estremi – spiega Luigi Pastorelli, docente di Teoria del rischio e direttore tecnico del Gruppo Schult’z – ha portato il sistema al limite. Si sta pensando a modelli di ripartizione finanziaria e in questa direzione i green bond sono state una delle risposte più innovative alla domanda di strumenti in grado di finanziare attività con impatto positivo sul clima. Sono sostanzialmente obbligazioni che assicuratori e riassicuratori mettono in campo per allargare la platea degli investitori. Ma anche questi non sono infiniti. Basti pensare a un caso italiano: gli eventi di piena a Venezia erano 18 all’anno trent’anni fa. Ora sono 250. E così i cicloni, le piogge torrenziali e il dissesto idrogeologico. Il mondo delle assicurazioni spinge perché il rischio ambientale venga riportato entro un margine di sostenibilità».

Nei prossimi anni quindi il settore finanziario e assicurativo sarà chiamato a dotarsi di strumenti per inglobare la variabile ambientale nelle decisioni di investimento. «Per il settore assicurativo – conclude Pastorelli – diventa sempre più essenziale integrare il tema del cambiamento climatico nei propri modelli attuariali e nei processi di innovazione di prodotto. Eludere ciò determinerà che diventerà sempre più difficile stimare i rischi legati ai fenomeni connessi al cambiamento climatico e, quindi, stipulare coperture assicurative. Tale processo inevitabilmente riguarderà anche il welfare per il quale si porrà la questione di definire nuovi modelli di cura e di assistenza, potenziando soprattutto la prevenzione e l’adozione di corretti stili di vita».

La ricchezza sottratta 
I fattori correlati al clima , anche dai dati contenuti nel Lloyd’s City Risk Index (che analizza 279 città strategiche, italiane comprese, responsabili del 41% del Pil globale), fanno decisamente la differenza in termini di ricchezza sottratta: le tempeste tropicali (al terzo posto dopo market crash e conflitti) si pagano con 62,6 mld di dollari in meno di Pil, le pandemie umane con 47 mld , le alluvioni con 42,9 miliardi, la siccità con 8,9 mld. «Gia nel 2007 Lloyd’s è diventato uno dei membri fondatori dell’iniziativa ClimateWise, una piattaforma di collaborazione globale tra i principali assicuratori, focalizzata sulla riduzione dei rischi legati ai cambiamenti climatici – spiega Vittorio Scala, country manager, rappresentante per l’Italia dei Lloyd’s – che tra gli obiettivi ha anche quello di supportare la consapevolezza dei nostri clienti sugli impatti dei cambiamenti climatici e di incorporare i cambiamenti climatici nelle nostre strategie di investimento. E come Lloyd’s riteniamo di poter influenzare il comportamento delle società in cui investiamo per convincerle a rispondere in modo più efficace all’impatto del cambiamento climatico».

I costi economici e umani 
Gli impatti economici del riscaldamento globale sono pesanti: nel periodo 1980-2016 i principali rivolgimenti meteorologici hanno provocato, nei 33 Stati della più ampia area finanziaria europea, perdite economiche pari a un totale di 433 miliardi di euro, provocate per il 40% dalle inondazioni, per il 25% dalle tempeste, per il 10%, dalla siccità e per il 5% dalle ondate di caldo (la copertura assicurativa complessiva di questi pericoli ammontava solo al 35 per cento). E l’Italia ha patito il danno monetario più alto tra i 28 Stati Ue, ossia 64,9 miliardi di euro, nonché più di 20mila perdite umane.

Solo la Francia ha contato più vittime, esattamente 23mila. Il cambiamento climatico ha portato anche a un calo della produttività media globale dei raccolti agricoli del 2% a fronte di una domanda di cibo che invece cresce del 14% ogni decennio, con le conseguenze immaginabili su aumento della povertà e migrazioni: da qui al 2100 i profughi climatici verso l’Unione europea tenderanno a triplicarsi. E gli effetti sulla salute sono ampiamente documentati: ogni anno, il mancato accesso all’acqua potabile provoca 4 miliardi di casi di dissenteria e 1,7 milioni di decessi e le ondate di calore peggiorano le patologie respiratorie e cardiovascolari, ulteriormente aggravate dall’inquinamento atmosferico. Senza adeguate misure di contrasto, si prevede che entro il 2050 arriveranno a causare più di 120.000 decessi l’anno nell’Unione europea, generando spese per 150 miliardi di euro.

I danni alla salute: dalle zanzare all’«eco-ansia» 
Il clima incide su ecosistemi e moltiplica l’impatto degli insetti vettori di malattie trasmissibili. «La progressiva espansione di insetti vettori – spiega Paolo Costigliola, Dirigente medico dell’Unità Operativa di Malattie Infettive Policlinico Universitario S. Orsola di Bologna – ha favorito la diffusione di patologie considerate fino ad oggi “esotiche”. L’anno 2018 ha segnato una vera epidemia da parte del virus West Nile trasmesso da zanzare del genere Culex, che ha interessato diverse regioni del Nord Italia con incidenza dei casi, triplicata rispetto agli anni precedenti. Nel 2007 in Emilia-Romagna e nel 2017 in Lazio e Calabria, sono stati registrati due eventi epidemici da virus Chikungunya trasmesso dalla zanzara Aedes albopictus. È segno evidente di una vulnerabilità per infezioni da importazione a seguito degli effetti climatici».
E ci rimette anche l’umore. Inquinamento e riscaldamento globale influiscono infatti anche sulla salute psichica delle popolazioni. E non si tratta soltanto delle naturali conseguenze psicologiche che eventi come tornado, incendi o esondazioni provocano negli individui colpiti, ma vanno considerati anche gli effetti graduali e a lungo termine del cambiamento climatico sulla salute psichica dei cittadini, che possono provocare un ampio ventaglio di “stati d’animo”. Dalla paura alla rabbia, dal senso di impotenza all’angoscia esistenziale. Uno spleen collettivo, denominato dagli psicologi sindrome da “eco-ansia”.

L’Italia latita sulla pianificazione
L’Italia che fa? Il nostro Paese ha il suo peso nelle emissioni di gas serra. «Dall’ultimo Report del Parlamento europeo -spiega Luigi Cerciello Renna, docente a contratto di Diritto amministrativo e legislazione ambientale presso Università degli Studi “Roma4” – risulta che l’Ue è il terzo maggiore inquinatore al mondo, dietro Stati Uniti e Cina, seguita da India e Brasile. E si ricava che la Germania è al primo posto tra gli Stati Ue per numero di emissioni, seguita da Regno Unito, Francia, Italia e Polonia. Sempre in ambito comunitario il 78% delle emissioni di gas serra proviene dall’uso di energia, circa un terzo del quale attribuibile ai trasporti, il 10,1% dall’agricoltura, l’8,7% dai processi industriali e di utilizzo del prodotto e il 3,2% dalla gestione dei rifiuti. Il problema è il fattore clima resta fuori dalla programmazione dei decisori politici nazionali»

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