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Inascoltati gli appelli dell’attivista del Liberatorio. Restano i sospetti, ma nulla di più
Restano gli indizi, i sospetti, ma nulla di più. Nulla di concreto. Gli inquirenti si sono subito soffermati sull’attività svolta da d’Ingeo negli ultimi mesi: dal processo sul porto di Molfetta in cui è coinvolto l’ex sindaco e senatore di Forza Italia Antonio Azzolini (in cui il Liberatorio Politico è parte civile), per passare alle denunce della possibile incompatibilità del consigliere comunalePino Amato, processato e assolto per prescrizione del reato di voto di scambio. Non solo.
Anche i numerosi articoli pubblicati sul blog del movimento molfettese sulle tematiche ambientali, sulle autorizzazioni ai locali rilasciate dal Comune di Molfetta e sull’uso del suolo pubblico da parte degli ambulanti, potrebbero aver dato fastidio a qualcuno. E proprio due ambulanti, nel 2014 e nel 2016, aggredirono il professore di Educazione Fisica in mezzo alla strada; dopo intimidazioni, minacce e insulti, seguirono le botte.
L’attivista molfettese, inoltre, dal 2009 è sottoposto al primo tipo di protezione correlato al grado di pericolo (rischio basso, ma esistente), ovvero la forma più leggera di controllo, disposto nei casi in cui il pericolo è considerato relativamente basso: un’auto della Polizia di Stato o dell’Arma dei Carabinieri – secondo le direttive sulla sicurezza nazionale – passa più volte al giorno nelle vicinanze del posto di lavoro o dell’abitazione della persona da proteggere.
«Evidentemente questo tipo di dispositivo – ragiona d’Ingeo – non ha funzionato. Oggi mi chiedo se il livello di attenzione e protezione sia lo stesso, dopo l’atto intimidatorio del 2009, le intimidazioni verbali e fisiche, le querele per diffamazione tutte archiviate, l’aggressione fisica del 2016, la prima e seconda bomba di quest’anno. Mi piacerebbe capire cos’altro deve accadermi per vincere il premio di una più consona e adeguata protezione».
«Ho la sensazione di vivere sospeso in una sorta di limbo, in attesa che qualcosa accada – prosegue d’Ingeo -. Non mi aiuta il silenzio assordante in città, la solidarietà si è sciolta sotto la calura estiva, le istituzioni tacciono e nessuno mi dice a che punto sono le indagini». In realtà l’attività è in corso, ma dopo due mesi non è emerso alcun elemento che potesse riportare sulle tracce dell’autore del gesto. E chi ha posizionato quell’ordigno rimane ancora senza volto.
Insomma, il giallo non è stato ancora risolto ed è per questo che gli inquirenti continuano sulla scorta del massimo riserbo, continuando a soffermarsi su alcune delle questioni più calde trattate da d’Ingeo negli ultimi mesi. Per ora, però, non sono emersi elementi utili. E all’orizzonte non s’intravede nessuna svolta.