Sassi – Nella Tuscia l’informazione spesso è un “marchettone”

da viterbonews24

Le fatture del Pdl e i media viterbesi

24/09/2012 – 04:00

 

di ARNALDO SASSI

Lo scorso 10 settembre sulla cronaca di Viterbo de Il Messaggero appariva un articolo, a firma di Merlino, dal titolo “Le marchette? Non solo in Emilia Romagna”, dove si prendeva spunto dallo scandalo delle interviste a pagamento venuto alla luce in quella regione e da uno sfogo del presidente della Provincia Marcello Meroi, il quale poco tempo fa ebbe a dirmi: “Ma ti pare che ormai per alcuni organi di informazione, se non fai la pubblicità, gli eventi che organizzi praticamente non esistono?”.

Un articolo premonitore, si potrebbe dire oggi, visto quanto è uscito fuori nei giorni successivi – il riferimento è ovviamente allo scandalo Fiorito – e viste le prebende che diversi mass media viterbesi intascavano, non si è capito bene se in cambio di pubblicità o di altro.

Ma andiamo con ordine e cerchiamo di ragionare. Giacché la pubblicità è stata da sempre linfa vitale per gli organi di informazione. Che altrimenti, con le sole vendite in edicola, non riuscirebbero a stare in piedi. E questo discorso vale ancor di più per quei media (tv o siti web) che vivono di sola pubblicità, unica loro fonte di sostentamento per rimanere a galla.

Dov’è allora che si crea l’inghippo? Semplice: quando si genera commistione tra pubblicità e informazione, come purtroppo sembra sia avvenuto nel caso in questione. Almeno stando ad alcune fatture che si sono potute leggere sul web, emesse dal gruppo Pdl alla Regione Lazio a favore di giornali, giornaletti e quant’altro.

Perché, se da un lato è perfettamente lecito che il politico Tal de’ Tali paghi una certa cifra per avere ad esempio un banner pubblicitario (o una manchette) su uno dei tanti media che ormai impazzano anche nel Viterbese, l’affare si complica (e molto) quando sulla fattura compare anche la voce “servizi redazionali”. I quali, altro non sono che articoli a pagamento.

Ebbene, anche questi sono leciti, ma a una condizione, stabilita tra l’altro dall’Ordine professionale dei Giornalisti: ovverosia che sia specificato a chiare note, tanto che il lettore possa esserne adeguatamente cosciente, che si tratta di informazioni pubblicitarie. In genere, i grandi giornali lo fanno, inserendo una testatina che dice “Informazione a pagamento”. Molto più raro è trovare la stessa cosa negli organi più piccoli e soprattutto in quelli locali. Dove la commistione furoreggia, senza bisogno di arrivare agli eccessi che hanno portato addirittura la Procura di Viterbo ad aprire un’inchiesta penale con l’accusa di estorsione nei confronti di qualche pseudo-collega.

Visto che finalmente il bubbone è scoppiato, sarebbe bene che proprio l’Ordine dei Giornalisti ci mettesse le mani. Perché chi ci rimette, alla fine, è sempre l’ignaro lettore. Per il quale – in questo bailamme – rimane complicato capire se il prodotto è originale o taroccato. E se ha di fronte qualcuno (in questo caso l’autore dei testi pubblicati) di cui si può fidare, oppure un ”marchettone”.

 

 

 

 
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