L’Italia da 10 anni ‘fuorilegge’ per arsenico in acqua

Roma, 19 set. (Adnkronos Salute) – E’ da decenni considerato un cancerogeno di ‘classe 1’ dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. Eppure l’arsenico presente nelle acque potabili in Italia, da oltre dieci anni, è “fuori controllo, arrivando a superare in alcune zone di ben5 volte il limite previsto dall’Europa dei 10 microgrammi/litro. Un rischio elevato per la salute”, afferma all’Adnkronos Salute Antonella Litta, referente dell’Associazione italiana medici per l’ambiente (Isde Italia) per la zona di Viterbo. “Il nostro Paese non è ancora riuscito a bonificare dall’arsenico le reti idriche in molte zone della penisola”, sottolinea.

“Le deroghe concesse all’Italia iniziano dalla direttiva europea del 1998 – spiega Litta – che definiva la materia della potabilità delle acque. Questa viene recepita solo nel 2001 con il decreto legislativo 31/2001, che chiarisce come l’acqua è potabile se rientra in certi limiti di sicurezza nei due anni successivi. Quindi già dal 2003 il nostro Paese avrebbe dovuto mettersi in regola, mentre invece ha chiesto deroghe all’Ue fino ai 50 microgrammi/litro. Cinque volte oltre i limiti massimi”.

Da ottobre 2010 l’Europa ha detto basta alle deroghe, ma ha concesso all’Italia un limite di 20 microgrammi/litro per l’arsenico fino a dicembre 2012. Poi scatteranno le sanzioni.

“A essere maggiormente colpite dalla contaminazione – spiega l’esperta – sono soprattutto alcune zone: l’alto Lazio e le zone della Provincia di Roma, la Campania, il Trentino Alto-Adige, alcuni Comuni dell’Umbria, della Lombardia e la Toscana. Ma – aggiunge – bastano pochissimi microgrammi d’arsenico nell’acqua potabile per provocare effetti devastanti sulla salute, come tumori della vescica, del polmone e della pelle”.

Secondo il medico, dunque, “servono interventi rapidi e risolutivi per la completa dearsenificazione delle acque ad uso potabile e per l’avvio di una informazione corretta e diffusa rivolta a tutti i cittadini residenti nei Comuni colpiti dal problema e in particolare nelle scuole, negli ambulatori medici, nelle strutture militari e carcerarie”.

 

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