Dalla Chiesa, trent’anni dopo. Che la memoria non venga più umiliata

Milano, 02.09.2012 | di Nando dalla Chiesa

MEMORIA E IMPEGNO

da liberainformazione

 

 

Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro

Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro

3 settembre 1982. Trent’anni. Purtroppo i ricordi, anche i più duri, hanno un destino carsico. Ci vogliono gli anniversari tondi, adornati di francobolli e discorsi commemorativi, per restituire ai fatti una loro drammatica plasticità, un loro senso. Per qualche giorno. Ma la vita che scorre, e che dovrebbe misurarsi con quel che è accaduto, ha bisogno dell’esercizio quotidiano della memoria come premessa di intelligenza e umanità. Altrimenti tutto sfoca o cambia di segno. E vincono amnesia e rimozione proprio tra i testimoni di quel che accadde. Per questo mi capita spesso di trovare in un ventenne di Libera più rispetto e memoria di mio padre di quanti ne trovi in chi ebbe modo di vivere l’incubo sanguinoso degli anni di piombo, in chi poté assistere in diretta all’annuncio pubblico del suo assassinio durato quattro mesi in una Palermo infuocata.  

 
Parlo di quei giornalisti o intellettuali (o politici) che, anziché restare sgomenti davanti  alla terribile grandezza di quanto successe in quei mesi palermitani, e usare la propria intelligenza per trarne insegnamenti radicali sulla politica, sulle burocrazie, sui valori del Palazzo, sulla storia di una grande città mediterranea e dell’Italia tutta, hanno pensato di dimostrare meglio il loro valore professionale rifiutando il teatro della tragedia, per cercare in carte segrete da nessuno mai trovate in trent’anni il senso degli avvenimenti. 
 
Purtroppo ciò che accadde fu lampante, e andò in scena davanti a tutti proprio al centro del palcoscenico:  un delitto politico, l’assassinio di uno dei migliori servitori dello Stato repubblicano, per difendere un sistema di potere. Che cosa ci può essere di più sconvolgente di questo? Come lo si può rimuovere? Eppure lo si è voluto fare, e si è tentata la costruzione di una realtà altra rispetto a quella vera. La società virtuale, finta, immaginata, non è dunque solo frutto delle televisioni berlusconiane. Di più. Una volta rimosso il fatto, con la sua memoria, è stato rimosso anche il rispetto per chi, nel fatto, versò il sangue. Posso quindi approfittare della attenzione che si risveglia in queste occasioni per chiedere che la memoria non venga più umiliata? Per chiedere che abbiano forza di monumento gli insegnamenti di chi andò in prima fila a esporsi per tutti, e che capì (fu costretto a capire) prima di noi alcune cose che ci ridiciamo tra gli applausi dimenticandone il valore nella vita quotidiana? Due per tutte. Assicuriamo ai cittadini i loro elementari diritti, impediamo che vengano elargiti loro sotto forma di favori dalla mafia. E facciamo sì che le istituzioni siano sempre più importanti di una tessera di partito. Sembra poco ma è una rivoluzione. E le rivoluzioni si fanno se le sostiene un’anima vera. Fatta di ideali, di sentimenti. E di memoria.

 

 

 

 

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