Coltivare nocciole non fa bene al suolo. Per fortuna c’è chi lotta contro il degrado

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/11/coltivare-nocciole-non-fa-bene-al-suolo-per-fortuna-ce-chi-lotta-contro-il-degrado/5158085/

Voi tutti avrete presente la pubblicità della cioccolata con le nocciole. L’attore entusiasta declama: “Questo è il famoso Nocciolato Novi, fatto proprio con le nostre nocciole”. I bambini sorridono, i colori della campagna sono tenui e rassicuranti, la musica di sottofondo dolce. Ma cosa c’è dietro alla coltivazione delle … Continua a leggere

Petizione: No all’ingresso in Talete dei Comuni del viterbese ! L’acqua sia distribuita veramente potabile !

Chi vuole può scaricare il modulo, che è allegato sotto, stamparlo avanti e dietro, raccogliere le firme, quindi consegnarlo al Comitato acqua potabile viale della Resistenza 3- Ronciglione, che curerà l’inoltro al Presidente della Regione Lazio e alle Istituzioni


Clicca qui per la petizione su Change.org
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NO ALLA GESTIONE PRIVATA DELL’ACQUA! SI AI COMUNI CONSORZIATI PER PICCOLI AMBITI !

http://chng.it/kSKjkkfHqm

PER FIRMARE CONTRO IL PASSAGGIO DELLA GESTIONE DELL’ACQUA (SERVIZIO IDRICO INTEGRATO) ALLA TALETE clicca qui

AICS COMITATO PROVINCIALE VITERBO – COMITATO ACQUA POTABILE – ADUC RONCIGLIONE ha lanciato questa petizione e l’ha diretta a Presidente Regione Lazio

La Regione Lazio così come … Continua a leggere

LAGO DI BOLSENA – LAGO DI VICO – NOCCIOLICOLTURA

                                                            
                                                               Alle Istituzioni in indirizzo
                                    alla stampa

05 aprile 2019

E’ ormai chiara a tutti la necessità della preservazione dell’ambiente.

La giovanissima Greta Thunberg, a Katowice in Polonia, a dicembre del 2018, partecipando alla Conferenza sul clima (COP24), un importante … Continua a leggere

L’IMPORTANZA DELLA COLLABORAZIONE COMITATI DEI CITTADINI E ORGANIZZAZIONI SINDACALI PER LA FORMULAZIONE DI PROPOSTE PER L’AVANZAMENTO DELLA SOCIETA’ E CREAZIONE DI SVILUPPO

Comunicato stampa

Richiesta dal Comitato per la riapertura della Civitavecchia CapranicaSutri Orte della Ferrovia dei Due Mari e per lo sviluppo economico del Centro Italia, si è tenuta, il 18 marzo 2019, presso la sede della UIL , una riunione alla … Continua a leggere

Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute dei bambini di città

Cosa c’è scritto sull’ultimo report dell’Agenzia europea per l’ambiente

di GIOVANNA BORRELLI 13 febbraio 2019,07:30

Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute dei bambini di città

CAMBIAMENTI CLIMATICIBAMBINI

Ondate di calore e inquinamento dell’aria non colpiscono in modo omogeneo, ma hanno effetti diversi … Continua a leggere

FAI – I luoghi del cuore 7° posto al ponte ferroviario sul Vallone del Rio Vicano della Ferrovia dei Due Mari

https://www.fondoambiente.it/luoghi/ponte-ferroviario-sul-rio-vicano?ldc

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Acqua all’arsenico a Viterbo. L’Unione europea lancia l’ultimatum all’Italia. La Cassazione a sezioni unite da ragione al Comitato acqua potabile

Acqua all’arsenico a Viterbo. L’Unione europea lancia l’ultimatum all’Italia. La Cassazione a sezioni unite da ragione al Comitato acqua potabile Continua a leggere

Come e perché i cambiamenti climatici influiscono sulla nostra salute

Germana Carillo da greenme.it  04-12-2018

Cambiamenti climatici salute

Sono quasi 500 gli effetti negativi dei cambiamenti climatici individuati da un rapporto shock 

Di inquinamento ci ammala e si muore. Ma si muore anche per il clima che cambia. E si morirà sempre … Continua a leggere

Cop24, tempo scaduto! Oltre gli accordi, bisogna agire

clicca qui  per l’articolo originale Francesca Mancuso

 03-12-2018

cop24

Al via ieri a Katowice la COP24, la conferenza sui cambiamenti climatici. I rappresentanti di 200 Paesi hanno avviato due settimane di negoziati, dal 2 al 14 dicembre, per contrastare l’aumento globale … Continua a leggere

Cambiamenti climatici, ISS: restano solo 20 anni per salvare la Terra

Tra 20 anni sarà troppo tardi per salvare la Terra. Questo l’allarme lanciato dall’Istituto Superiore di Sanità in relazione ai cambiamenti climatici, secondo il quale i mutamenti nel clima globale saranno responsabili ogni anno, nel corso … Continua a leggere

Fino a che punto gli accordi di Parigi sul clima sono stati rispettati?

Dal 3 dicembre a Katowice in Polonia i Paesi Onu faranno il punto sulle politiche di contrasto al surriscaldamento globale. Un punto sullo stato di attuazione degli obiettivi fissati nel 2015

Fino a che punto gli accordi di Parigi sul clima sono stati rispettati?

A fare la fortuna di Katowice a metà dell’Ottocento furono almeno due fattori. Innanzitutto, la posizione geografica nel cuore della Slesia, all’incrocio tra due importanti assi di comunicazione: quello est-ovest, che collegava Leopoli e il confine con l’Impero Russo con Breslavia e poi Dresda, e quello sud-nord, che collega, via Brno, Vienna con Danzica sul Mar Baltico. Katowice, che riceve lo status di città nel 1865, è anche uno dei motori industriali della Prussia in piena accelerazione industriale, poco prima che diventi Impero tedesco. Il carburante di quella stagione è il carbone, come racconta il Walcownia Cynku, il museo della storia industriale della città, che sorge appropriatamente a due passi dal terminal ferroviario.

È ironico che nel cuore del proprio distretto industriale la Polonia abbia deciso di ospitare la Conferenza delle Parti numero 24 (COP), il meeting annuale dell’Organismo quadro delle Nazioni Unite per il Cambiamento Climatico.

La Conferenza di Katowice (3-14 dicembre 2018) sarà un momento decisivo nel dibattito mondiale sul cambiamento climatico. Arriva esattamente a metà strada tra la firma degli Accordi di Parigi del 2015, quando 197 paesi si sono impegnati a contenere il surriscaldamento globale entro i 2 °C, e il 2020, quando è previsto che gli effetti degli Accordi si traducano in azioni dei governi. Il documento di Parigi, infatti, segnava un impegno ancora astratto da parte dei firmatari, che ora sono chiamati a indicare concretamente come intendono ridurre le emissioni di gas serra e limitare il consumo energetico in modo da riuscire a raggiungere quello che viene indicato come “obiettivo del secolo”: arrivare al 2100 senza che le temperature medie del Pianeta mettano a repentaglio la nostra sopravvivenza.

Geopolitica e clima

Sullo sfondo del lavoro attorno alle misure da intraprendere, ci sono le lunghe ombre di uno scontro politico tra Unione Europea e Cina da una parte, e Stati Uniti dall’altra. L’America di Trump è, finora, l’unico paese che abbia chiesto di uscire dagli accordi firmati allora da Barack Obama, in un clima politico interno ben lontano da quello attuale. Già l’anno scorso, quando il Presidente USA aveva ventilato l’ipotesi dell’uscita (con anche un ripensamento a inizio 2018), la Cina si era fatta sentire per bocca del viceministro degli esteri, Liu Zhenmin, che diffidava gli Stati Uniti a comportarsi come con il Protocollo di Kyoto, mai ratificato dagli americani.

A complicare la situazione si sono messi di mezzo i risultati delle elezioni di metà mandato, che hanno consegnato la Camera ai Democratici, ma rafforzato il Senato a maggioranza Repubblicana. In questa distribuzione della forza politica, appare difficile che i Democratici possano fare sufficiente pressione sulla Casa Bianca perché la discussione sul clima e gli Accordi di Parigi possa tornare al centro dell’azione di governo. Inoltre, lo scenario geopolitico attorno al clima potrebbe cambiare ulteriormente con l’elezione di Jair Bolsonaro che, per sua stessa ammissione, vuole far diventare il Brasile un ulteriore ostacolo alla decarbonizzazione mondiale.

Nel frattempo, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha pubblicato, su richiesta proprio delle parti firmatarie dell’Accordo di Parigi, un nuovo report che tratteggia le conseguenze di un scenario a fine secolo non più a +2 °C, ma a +1,5 °C. Il report è da considerarsi un allarme in piena regola. Occorre agire subito, senza indugiare ulteriormente, altrimenti il tempo rischia di non essere sufficiente.

La Terra del 2018: CO2, acqua, foreste

Gli obiettivi fissati da Parigi e ricordati in modo pressante dall’IPCC nel report di ottobre 2018 passano tutti attraverso un imperativo ormai categorico: la riduzione drastica delle emissioni di gas serra. Secondo l’IPCC, contenere il riscaldamento globale entro il grado e mezzo in questo secolo vorrebbe dire concretamente raggiungere le emissioni zero di gas serra entro il 2050. Un obiettivo che nei fatti pare irrealistico, soprattutto considerando i nostri modelli economici e anche gli scenari geopolitici ed energetici da qui al 2040, scenari che non prevedono in alcun modo l’uscita di scena dei combustibili fossili. I combustibili fossili, infatti, sono i principali colpevoli dell’emissione di gas serra, tra cui il diossido di carbonio, meglio conosciuta come anidride carbonica (CO2).

Ci sono diversi dati che quantificano quanta COviene emessa da attività umane legate alla produzione di energia primaria (elettricità, trasporti). Nel 2017, il Global Energy & CO2Status Report dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) fornisce la cifra (record) di 32,6  miliardi di tonnellate di anidride carbonica emessa, un aumento di 1,4% rispetto al 2016. Aumento dettato dalla crescita economica mondiale e dall’abbassamento dei prezzi di petrolio e carbone nel 2017. La IEA specifica che l’aumento di emissioni dal 2016 non è uniforme nel mondo: rallentano un po’ quelle di USA, Regno Unito, Messico e Giappone, mentre crescono quelle della Cina (+2%). Ma ad aumentare è in generale la richiesta di energia mondiale: 2,1% in più rispetto al 2016.

Se guardiamo invece a livello territoriale, le emissioni totali di CO2 sono guidate dalla Cina, così come emerge dai dati forniti da Global Carbon Atlas. La Cina è dal 2006 – da quando ha scalzato gli Stati Uniti, da lì stabilmente secondi – il paese che emette più diossido di carbonio: nel 2016, Global Carbon Atlas riporta di 10,2 giga tonnellate emesse dal colosso asiatico, quasi 4 giga tonnellate in più rispetto al 2006.

In ogni caso, il dato che conferma quanto sia urgente limitare le emissioni di gas serra è la quantità di CO2 in atmosfera. La NASA riporta una serie storica di registrazioni effettuate alle Hawaii, presso l’Osservatorio Mauna Loa: a settembre 2018 il diossido di carbonio in atmosfera era di 409 parti per milione (ppm). Nei 400 mila anni precedenti l’età industriale, la CO2atmosferica è sempre stata sotto quota 300 (il Greenhouse Gas Bulletin della World Meteorological Organization fissa la cifra massima a 280 ppm nell’età preindustriale). Dopo il 1950, la CO2 atmosferica è schizzata ben oltre la quota 300, raggiungendo e superando pure quota 400 ppm. In questo aumento il contributo umano è inequivocabile. Si stima che delle emissioni totali derivate da attività umane nella decade 2006-2015, il 44% della CO2 sia stata accumulata in atmosfera, il 26% nell’oceano e il 30% nel suolo.

Per abbassare questo livello di CO2 nell’atmosfera e porre un freno al riscaldamento dovuto all’effetto serra di questo gas non occorrerebbe soltanto limitare e poi portare a una soglia prossima allo zero le emissioni, ma anche togliere CO2accumulata, cioè produrre emissioni negative. Sul tavolo ci sono alcuni progetti tecnologici all’avanguardia, ma non solo: un naturale alleato sono le piante, ovvero naturali consumatrici di CO2. Eppure, invece di affrettarci a stringere questa alleanza, a livello globale continuiamo a produrre deforestazione.

I dati sulla distruzione delle foreste, forniti da Global Forest Watch sono sconfortanti: tra il 2000 e il 2017 abbiamo perso 337 milioni di ettari di foreste (-8,4% dal 2000), causando emissioni di 24,7 Gt di diossido di carbonio. Secondo un rapporto del World Resources Institute, solo nel 2017 sono andati perduti 16 milioni di ettari. La perdita di alberi e vegetazione contribuisce drasticamente all’aumento di CO2 in atmosfera, risultando una delle cause più drammatiche del cambiamento climatico.

Il riscaldamento globale, inoltre, ha evidenti conseguenze sulle acque del nostro pianeta. In questo senso, la NASA riporta dati allarmanti. Nell’ultima decade, i ghiacci del Mar Glaciale Artico sono calati del 12,8%. In calo anche l’estensione dei ghiacciai della Groenlandia (-286 Gt di ghiaccio all’anno) e anche quelli dell’Antartide (-127 Gt all’anno).

Diretta conseguenza dello scioglimento dei ghiacci è l’innalzamento del livello dei mari. I satelliti NASA riportano un tasso di crescita media annua di 3,2 millimetri, per altro in accelerazione di anno in anno (un’accelerazione stimata di circa 0,084 mm all’anno, così come indicato da uno studio dell’Università del Colorado citato da National Geographic). Secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), inoltre, il livello medio dei mari globali nel 2017 è di 77 millimetri maggiore rispetto alla prima rilevazione, avvenuta nel 1993. Inoltre, il 2017 è stato il sesto anno consecutivo – e il ventiduesimo su ventiquattro anni di rilevazioni – in cui c’è stato un aumento rispetto al precedente.

Il riscaldamento globale innalza i mari sia perché scioglie i ghiacci ma anche, specificano NASA e NOOA, perché causa l’aumento del volume delle acque marine. Non solo: gli effetti del riscaldamento globale danneggiano anche le acque continentali (fiumi, laghi, torrenti), portando siccità nelle zone interne e mettendo a rischio alluvioni e allagamenti le aree costiere. Per cui gli effetti del cambiamento climatico avranno conseguenze diverse a seconda delle aree: la zona mediterranea in particolare, scrive NOOA, è fortemente indiziata a soffrire di severe e drammatiche carenze di acqua potabile nel prossimo futuro.

Scenari futuri: energie rinnovabili e modelli sostenibili

La IEA ha recentemente pubblicato il rapporto World Energy Outlook 2018, nel quale l’Agenzia esamina e propone tre scenari sul futuro dell’energia e, di conseguenza, sul futuro delle emissioni e dell’ambiente da qui al 2040.

Se il nostro modello geopolitico ed economico non dovesse cambiare da qui al 2040 – non mettendo quindi in pratica nemmeno le INDC, Intended Nationally Determined Contributions, ovvero i contributi previsti stabiliti a livello nazionale, seguenti all’accordo di Parigi – i combustibili fossili tra due decenni occuperanno il 78% della quota di produzione di energia primaria (oggi questa quota è all’81%). Il calo della quota percentuale sarebbe irrisorio. Se traduciamo questo dato in termini assoluti vediamo che le emissioni, da qui al 2040, in questo scenario aumenterebbero di 10 giga tonnellate annue (arrivando alla quota di 42,5 Gt). Di fatto, stando al report IPCC, questo scenario suona come una macabra visione per il futuro del nostro pianeta.

Se invece si metteranno in atto politiche più sostenibili, atte a contenere il peso dei combustibili fossili, le emissioni ne beneficeranno e sarà un primo passo per cercare di contenere il riscaldamento globale sotto i 2 gradi centigradi. Anche perché la chiave, in termini di emissioni ed energia, è esattamente quella di limitare il più possibile l’impatto di carbone, petrolio e gas nell’approvvigionamento di energia. Nella migliore delle ipotesi, la IEA vede la quota di energia prodotta da combustibili fossili (petrolio-carbone-gas) ridursi al 60%. In questo caso, le emissioni sarebbero ridotte in termini assoluti a 17,6 Gt di CO2 annue.

Un calo di circa il 40% rispetto a oggi. Le rinnovabili salirebbero di 20 punti percentuali dal 2017: un salto incoraggiante, ma ancora insufficiente per togliere la maggioranza assoluta ai combustibili fossili. E questo è lo scenario più ottimistico fornito dall’Agenzia.

Tuttavia, l’IEA propone anche uno scenario in cui vengano praticate soltanto le politiche energetiche promesse a livello nazionale dopo Parigi. Questa prospettiva è troppo timida. Se attuate anche fedelmente, queste politiche farebbero letteralmente il solletico ai combustibili fossili, riducendo in quota percentuale solo di 7 punti l’ampia leadership attuale sulla quota totale di energia, che scenderebbe solo al 74%. In questo caso, poi, le emissioni di CO2 aumenterebbero rispetto a oggi: da 32,6 Gt a 35,9 in questo 2040.

Queste simulazioni dell’IEA non lasciano spazio a troppi dubbi. Sul versante energetico, serve un cambio di rotta deciso. Leggeri aggiustamenti del timone non bastano. E l’unico modo per virare in modo efficace è limitare i combustibili fossili. Oggi, le rinnovabili considerate complessivamente (idroelettrico, solare, eolico, ecc…) forniscono 1334 Mtoe (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) su una domanda totale di energia primaria stimata su poco meno di 14 mila Mtoe. Il nucleare fa circa la metà.

Nello scenario più conservativo, le rinnovabili al 2040 raddoppierebbero, in quello di cambiamento “timido” arriverebbero a 3014 Mtoe mentre nello scenario più sostenibile dovrebbero superare quota 4000 Mtoe. E tutto questo con una retrocessione della triade petrolio-carbone-gas ancora troppo lenta, così come troppo lenta sembrerebbe la crescita delle rinnovabili, anche nelle più rosee previsioni.

Mezzo grado fa la differenza

La pubblicazione dell’ultimo report dell’IPCC ha messo a confronto il futuro del nostro Pianeta se si contiene il surriscaldamento a 1,5 °C rispetto ai 2 °C sui quali si sono già impegnati i firmatari di Parigi. Mezzo grado sembra poca cosa, ma in realtà può fare un’enorme differenza in termini di conseguenze sull’ambiente e sul numero di persone colpite dalle conseguenze del cambiamento. Per esempio, a +1,5 °C, gli esperti prevedono che la copertura di ghiaccio del mare Artico si manterrebbe anche d’estate. A +2 °C, la probabilità di estati senza ghiaccio sono 10 volte maggiori, mettendo a repentaglio l’habitat di orsi polari, balene e molte altre specie di animali.

A essere colpite sarebbero comunque tutte le specie di animali e piante, compresi gli insetti, con i ruoli fondamentali che ricoprono negli ecosistemi del mondo, come per esempio quello di impollinatori. E come più volte segnalato dagli esperti di tutto il mondo, le barriere coralline potrebbero già essere condannate senza appello: nello scenario a +1,5 °C assisteremo a “molto frequenti morti di massa” dei coralli, mentre a +2 °C la loro scomparsa è praticamente certa.

Per quanto riguarda la popolazione umana, a +2 °C la calura estrema che già colpisce alcune aree della Terra diventerebbe più comune, facendo aumentare i giorni con una temperatura eccezionalmente alta. A farne le spese saranno soprattutto le fasce della popolazione più deboli (anziani e malati) e le nazioni più povere.

Un’altra delle conseguenze dell’aumento delle temperature medie è la diffusione di fenomeni di siccità estrema. E tra le zone più colpite, secondo gli esperti dell’IPCC, è da contare l’area mediterranea, dove “l’incremento della siccità sarà particolarmente forte”.

Un altro modo in cui la variazione di temperatura colpirà direttamente l’uomo è con l’innalzamento dei livelli dei mari, che come abbiamo visto è un trend non solo in corso, ma anche in aumento. Anche qui, mezzo grado può stabilire a che velocità procederà questa accelerazione. Oltre a preoccuparci per la scomparsa potenziale di siti archeologici e storici come Venezia, dovremmo preoccuparci della scomparsa di intere isole, soprattutto nell’area pacifica, dove i piccoli stati-arcipelago hanno più volte – ma di fatto senza reali effetti – alzato la voce contro le potenze mondiali, accusate di non prendere sufficientemente in considerazione il pericolo della scomparsa di intere nazioni.

Infine, con il contenimento a +1,5 °C, i raccolti agricoli rimarrebbero più abbondanti. Questo è vero soprattutto per le aree più sensibili all’innalzamento della temperatura perché già fragili, come l’Africa subsahariana, nel Sudest asiatico e in America Latina.

Questi sono i temi sui quali si vedranno gli effetti delle decisioni prese a Parigi, Katowice e nelle prossime COP da qui alla fine del secolo. Lo scenario dipinto dal report dell’IPCC, sommato alle previsioni sulla domanda e sulla produzione di energia dei prossimi anni, mette di fatto il mondo di fronte a due strade da percorrere. Una porta alle peggiori conseguenze e agli scenari più negativi per la vita di milioni di persone in tutto il mondo, ed è quella con una temperatura globale media più alta di 2 °C; l’altra a +1,5 °C è probabilmente più faticosa e, comunque, non eviterà del tutto che molte persone e l’ambiente soffrano drammatiche trasformazioni. Tertium non datur.

Articolo realizzato in collaborazione con Eni.

Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it

Invasione di nocciole turche con aflatossine cancerogene

 28 Novembre 2018 da lacitta.eu  Coldiretti Viterbo 

Alberto Frau, direttore di Coldiretti Viterbo

Coldiretti Viterbo: Fortificare, monitorare e salvaguardare subito il prodotto locale.

E’ in atto in questi giorni una vera e propria invasione di nocciole dalla Turchia, con un aumento del 30% … Continua a leggere

Effetti sulla salute associati all’esposizione ai PFAS

06/11/2018 07:45

L’audizione presso il Congresso degli Stati Uniti d’America del NIEHS in tema di PFAS è stata l’occasione per presentare i risultati di alcune ricerche in materia

Effetti sulla salute associati all'esposizione ai PFAS

Dalle sale del Congresso degli Stati Uniti ad un raduno internazionale a Zurigo, oggi scienziati, ricercatori, legislatori, politici stanno cercando di rispondere alle crescenti preoccupazioni per la salute umana derivanti da una classe di sostanze chimiche note con l’acronimo PFAS.

Le sostanze per-fluoro-alchiliche (PFAS), per le loro peculiari caratteristiche fisiche e chimiche, sono state ampiamente utilizzate dagli anni ’50 nell’industria e nel commercio e sono pertanto presenti in diversi prodotti comuni (pentole antiaderenti, indumenti idrorepellenti, tessuti e tappeti resistenti alle macchie, alcuni cosmetici, alcune schiume antincendio e prodotti resistenti a grasso, acqua e olio).

Le stesse peculiarità rendono tuttavia queste sostanze altamente persistenti e diffuse in tutti i comparti ambientali con una presenza particolarmente rilevante nel comparto idrico e ne sono ormai riconosciuti gli effetti sulla salute umana.

Gli esseri umani sono esposti ai PFAS attraverso una miriade di pratiche e prodotti. L’ingestione, in particolare attraverso l’acqua potabile, è la via di esposizione umana predominante; dopo anni di utilizzo, i PFAS sono stati infatti trovati sia nelle acque superficiali che in quelle sotterranee, causando esposizione, oltre che attraverso l’ingestione, anche per inalazione durante la doccia e per assorbimento cutaneo. I contenitori per gli alimenti, l’abbigliamento e i mobili resistenti alle macchie costituiscono altri possibili percorsi di esposizione per l’uomo.

Le attuali conoscenze relative agli effetti sulla salute umana derivano da studi condotti su animali e da indagini epidemiologiche su lavoratori e popolazioni esposte, svolti principalmente negli Stati Uniti. La ricerca condotta fino ad oggi ha rilevato associazioni tra esposizione a PFAS e specifici effetti negativi sulla salute umana; qui riportiamo gli esiti di alcune ricerche che sono stati presentati in occasione dell’audizione del National Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS) e del National Toxicology Program (NTP) presso il Congresso degli Stati Uniti d’America lo scorso settembre 2018.

Possibili effetti avversi sulla salute umana

  • Disfunzioni del sistema immunitario: nel 2016, il National Toxicology Program (NTP) ha concluso che il PFOA e il PFOS (due PFAS più comunemente usati e trovati nell’ambiente) sono considerati un rischio per la funzione del sistema immunitario sano negli esseri umani; l’esposizione degli adulti ai PFAS è stata anche associata ad una diminuzione nella produzione di anticorpi.
  • Cancro: i dati epidemiologici sulle associazioni tra PFAS e rischio di cancro sono limitati, gli studi condotti mostrano che le persone esposte ad alti livelli di PFAS possono avere un aumento del rischio di cancro al rene o ai testicoli, tuttavia, questi studi potrebbero non aver esaminato altri fattori come il fumo. Altre ricerche condotte su animali hanno dimostrato come PFOA e PFOS possono causare cancro al fegato, ai testicoli, al pancreas e alla tiroide. Tuttavia, alcuni scienziati ritengono che gli esseri umani potrebbero non sviluppare gli stessi tumori degli animali.
  • Sviluppo cognitivo e neurocomportamentale dei bambini: alcuni studi epidemiologici sull’uomo hanno mostrato associazioni tra alcuni PFAS ed effetti sullo sviluppo. Uno studio sull’uomo ha rilevato un’associazione tra esposizione ai PFAS durante la gravidanza e diminuzione del peso alla nascita e della circonferenza della testa, solo nei maschi. Altri studi hanno dimostrato relazioni tra esposizione prenatale a determinati PFAS (soprattutto PFOS) ed effetti neurocomportamentali come, ad esempio, abilità cognitive, sviluppo psicomotorio, disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività.
  • Disturbi endocrini: gli studi suggeriscono che l’esposizione precoce ad alcuni PFAS può contribuire allo sviluppo di malattie metaboliche, tra cui l’obesità e il diabete di tipo 2. Sebbene sia necessaria un’ulteriore conferma, i risultati di uno studio suggeriscono che l’esposizione ad alcuni PFAS durante la gravidanza possa influenzare il metabolismo dei lipidi e la tolleranza al glucosio. Sembra che alcuni PFAS possano anche influenzare il peso corporeo più avanti nella vita. La fertilità è un altro risultato correlato agli effetti endocrini: una revisione della letteratura sulle recenti prove epidemiologiche umane sull’associazione tra esposizione ad alcuni PFAS e misure di fertilità umana mostra il potenziale di effetti sulla fecondabilità femminile (cioè la probabilità di concepimento).

Dalla sommaria rassegna degli studi condotti, emerge senza dubbio come sia necessario intensificare la ricerca in questo campo; se infatti negli ultimi anni la conoscenza delle associazioni epidemiologiche è costantemente cresciuta, molte domande rimangono ancora senza risposta ed occorre migliorare la comprensione dei potenziali meccanismi e processi biologici attraverso cui i PFAS possono avere un impatto sulla salute umana. Un gruppo di oltre 50 scienziati e regolatori internazionali si è riunito nel novembre 2017 a Zurigo, in Svizzera, e ha identificato e condiviso esigenze ed obiettivi in materia di PFAS, formulando raccomandazioni per tutti coloro che svolgono ricerca, legiferano ed utilizzano tali sostanze, esortandoli a collaborare. Al termine del workshop è stato redatto un documento (così detta dichiarazione di Zurigo), che è stato anche pubblicato ad agosto scorso sulla rivista Environmental Health Perspectives.

Per approfondimenti visita anche il sito Web dell’Agenzia statunitense per le sostanze tossiche e il registro delle malattie

Testo di Maddalena Bavazzano