Dell’emergenza arsenico è competente il giudice ordinario

L’erogazione di acqua potabile non conforme ai livelli minimi di potabilità o di qualità, in relazione, tra l’altro, alla presenza di arsenico e fluoruri, deve essere prospettata come un inadempimento contrattuale del rapporto di utenza e pertanto la giurisdizione appartiene al giudice ordinario

La Regione Lazio aveva intrapreso una causa dinanzi al giudice di pace di Viterbo, per la condanna della società fornitrice dell’acqua potabile al risarcimento dei danni connessi alla medesima fornitura, in quanto priva dei requisiti di legge, oltre alla declaratoria del diritto di corrispondere nella misura del (solo) 50%, il canone per i periodi di non potabilità.

Dopo la sentenza di primo grado, con la quale era stata rigettata la domanda attorea, la questione veniva rimessa al Tribunale di Viterbo che, accogliendo il gravame principale della Regione Lazio ed in riforma della sentenza impugnata, dichiarava il difetto di giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria in favore di quella del Giudice Amministrativo.

Sulla questione si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 32780/2018).

Può ritenersi applicabile, alla fattispecie in esame l’art. 133, lett. c) c.p.a., nella parte in cui esclude dalla giurisdizione amministrativa le controversie in materia di pubblici servizi concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi?

Il giudizio della Cassazione

È evidente – affermano i giudici della Suprema Corte – come l’erogazione di acqua non conforme ai livelli minimi di potabilità o di qualità in relazione tra l’altro – alla presenza di arsenico e fluoruri sia prospettata come un inadempimento contrattuale del rapporto di utenza e, in quanto tale, la serie di condotte della pubblica amministrazione a tutela degli interessi pubblici coinvolti (che la qui gravata sentenza individua nella “salute pubblica, sicurezza, economia, etc.”) integra soltanto il presupposto o la causa mediata dell’evento lesivo; quest’ultimo invece, consiste nella non contestata fornitura in violazione di obblighi che trovano la loro fonte nel contratto di utenza e, comunque, nella disciplina, anche di rango Eurocomunitario o immediatamente da questa derivata, in materia (art. 9 della Direttiva del Consiglio CEE 3 novembre 1998, n. 83; art. 13 del d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 31).

A venire in considerazione è dunque, il singolo rapporto di utenza e, con esso, il diritto del singolo utente a vedersi risarcito il danno arrecatogli dall’inadempimento contrattuale della controparte, cioè il gestore unico del servizio idrico, nonché fornitore del bene acqua, come pure a vedersi ridotto il corrispettivo dell’acqua fornita, siccome priva delle qualità pattuite (cioè la conformità alle disposizioni di legge e regolamentari in materia di limiti massimi di arsenico e/o fluoruri).

Al contrario, non è in discussione l’attività di programmazione o di organizzazione del servizio complessivo di fornitura di acqua posta in essere dalla pubblica amministrazione incaricata della gestione del servizio.

Sicché, nonostante il carattere emergenziale della situazione venutasi a creare nei contesti territoriali per cui è causa ed il complesso sistema di riparti di competenze e di funzioni ai fini dell’erogazione dell’acqua potabile, rientra pur sempre nelle ordinarie obbligazioni dell’ente gestore del servizio idrico integrato e, comunque, di quello che in concreto eroga (in virtù di rapporti privatistici ordinari di utenza individuale) l’acqua ai privati, l’obbligo di somministrarla in condizioni tali da renderla conforme alle prescrizioni, circa il livello massimo di sostanze tossiche consentite.

Diversamente opinando, si garantirebbe non solo al medesimo rapporto privatistico di utenza, ma soprattutto alla stessa parte obbligata un giudice diverso solo in relazione alla diversa gravità del suo stesso inadempimento, qual è evidente nell’ipotesi della c.d. emergenza arsenico: ciò che è in insanabile contrasto con ogni principio di ragionevolezza e di uguaglianza anche formale davanti alla legge, di cui all’art. 3, comma primo, della Carta fondamentale della Repubblica.

In questo senso i giudici della Cassazione hanno concluso con il riconoscimento della giurisdizione ordinaria in luogo di quella amministrativa.

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