Emergenza inquinamento, in Italia crescono i tumori infantili

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Emergenza inquinamento, in Italia crescono i tumori infantili

Aumentano le malattie oncologiche nelle zone più inquinate, e sale l’incidenza tra i più giovani. L’allarme degli epidemiologi in un convegno alla Camera dei Deputati

di SANDRO IANNACCONE 19 settembre 2018

• LA PORTATA DEL FENOMENO
I numeri parlano da sé: già nel 2016 il ministero della Salute aveva diffuso una mappa delle aree più contaminate d’Italia, associata al rischio di sviluppare malattie oncologiche: dai dati emergeva un incremento che arrivava fino al 90% in soli 10 anni, in particolare per tumore alla mammella, alla tiroide e mesotelioma, notoriamente legati all’esposizione a diossina, amianto, petrolio, policlorobifenili e mercurio. Ma c’è dell’altro: gli effetti dell’inquinamento colpiscono soprattutto i più piccoli. Uno studio condotto nel 2017 dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, dicono ancora gli scienziati al convegno romano, ha evidenziato una maggiore incidenza di tumori nei bambini tra 0 e 14 anni e negli adolescenti tra 15 e 19 anni nell’area europea che comprende Italia, Cipro, Malta, Croazia, Spagna e Portogallo. Il trend è confermato dall’ultimo rapporto Sentieri (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) dell’Istituto Superiore di Sanità, che senza tanti giri di parole rileva un’“emergenza cancro” tra i più giovani, con un aumento medio del 9% dei tumori maligni infantili (soprattutto linfomi non-Hodgkin, sarcomi e leucemie) in 28 dei 45 siti italiani maggiormente inquinati.

• NON SOLO NELLA TERZA ETÀ  
Per arginare il problema, dicono gli esperti, bisogna agire presto e su più fronti. Anzitutto lasciandosi alle spalle luoghi comuni duri a morire, e rendendosi conto che i tumori infantili non sono purtroppo così rari come vorrremmo: “Generalmente si pensa al cancro come a una malattia della terza età e si sostiene che il trend continuo di incremento di tumori nel corso del XX secolo in tutti i Paesi industrializzati possa essere spiegato mediante la teoria dell’accumulo progressivo di lesioni genetiche stocastiche e il miglioramento continuo delle nostre capacità diagnostiche”, ha detto  Ernesto Burgio,membro dell’European Cancer and Environment Research Institute (Eceri) di Bruxelles. “In genere si afferma che i tumori infantili sono una patologia rara. È opportuno però ricordare come, in termini assoluti, uno su 5-600 nuovi nati si ammalerà di cancro prima del compimento del quindicesimo anno d’età; come, nonostante i significativi miglioramenti prognostici degli ultimi decenni, il cancro rappresenti la prima causa di morte per malattia nei bambini che hanno superato l’anno d’età; come anche in questa fascia d’età, a partire dagli anni 1980-90, si sia assistito a un aumento significativo della patologia tumorale”.

• ATTENTI ALL’INQUINAMENTO
Si può fare molto, però, anche in termini di prevenzione. Perché molti dei fattori di rischio, e specie quelli legati a inquinamento e stili di vita, sono ben noti: “I cittadini si credono talvolta impotenti di fronte a questo tema ma invece sono proprio loro a poter cambiare la situazione con scelte consapevoli, a partire dagli acquisti piccoli o grandi di tutti i giorni. I nostri consumi possono modificare il mercato e nello stesso tempo costringere le aziende produttrici a essere veramente ecosostenibili: pretendiamo, quindi, alimenti, elettrodomestici e prodotti di uso quotidiano che siano scientificamente validati da Enti pubblici”, dichiara Alessandro Miani, Presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale e docente di Prevenzione Ambientale del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano. “Ci sono poi semplici regole che ognuno di noi può seguire a casa propria per fare prevenzione ambientale – dall’utilizzo di bottiglie d’acqua in vetro anziché in plastica ai piccoli accorgimenti per migliorare la qualità e ridurre lo spreco di acqua potabile – e per evitare i danni causati dall’eccessiva esposizione all’inquinamento indoor e ai campi elettromagnetici. Quello che facciamo oggi avrà ricadute tangibili tra 30 anni: dobbiamo quindi agire subito per consegnare alle future generazioni un ambiente sostenibile”. E ancora: prestare particolare attenzione all’inquinamento da radon, principale fattore di rischio di tumore polmonare dopo il fumo di sigaretta, per cui gli esperti chiedono oggi un piano di monitoraggio capillare su tutto il territorio nazionale.

• BIOMONITORAGGIO, UNO STRUMENTO IN PIÙ 
La comunità scientifica ha a disposizione anche un altro strumento per migliorare la prevenzione delle malattie oncologiche e rendere più efficiente, dal punto di vista economico, il sistema sanitario nazionale. Il biomonitoraggio, ossia la raccolta, catalogazione e conservazione di tessuti biologici umani, da mettere poi a disposizione della comunità scientifica per studi retrospettivi ed epidemiologici. Purtroppo, com’è emerso nel corso del convegno, il nostro Paese è ancora un po’ indietro rispetto a Svezia, Finlandia, Francia, Olanda e diversi altri stati europei. A lanciare l’allarme, e chiedere alle istituzioni di mettersi in moto al più presto, è Marialuisa Lavitrano, direttore del Nodo Nazionale della Infrastruttura di Ricerca Europea delle Biobanche e delle Risorse BioMolecolari: “Il biomonitoraggio”, spiega Lavitrano. “rappresenta una grande sfida scientifica e di sanità pubblica, con risvolti significativi per la salute delle popolazioni esposte. L’idea alla base è semplice: raccogliere e analizzare campioni biologici per indagare i possibili danni causati, per esempio, dall’esposizione prolungata agli inquinanti ambientali, o per caratterizzare l’efficacia terapeutica di trattamenti oncologici”.

Non sarebbe neanche così difficile, o costoso: “Basterebbe un euro in più per ogni paziente oncologico, per esempio, per conservare campioni biologici prima, durante e dopo la terapia”, continua Lavitrano. Qualcosa, effettivamente, in Italia si sta muovendo, ma è ancora troppo poco: “Il nostro Paese è stato tra i primi ad avviare un programma di biomonitoraggio, e attualmente abbiamo 90 biobanche su tutto il territorio nazionale. La pratica, però, non è stata portata avanti con sistematicità, e dunque i pochi programmi di biomonitoraggio sono ancora molto frammentati”. Ecco allora la necessità di lanciare un appello alle istituzioni: “Anzitutto”, dice ancora la scienziata, “è necessario avviare programmi sistematici e concertati di biomonitoraggio, affidati a esperti e portati avanti con protocolli condivisi. E poi creare dei centri di raccolta distribuiti su tutto il territorio che consentano un monitoraggio continuo e a tappeto”.

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