Ambiente&salute: Italia maglia nera Ue per il cancro in età pediatrica

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Il rischio di sviluppare malattie oncologiche nelle aree più inquinate del nostro Paese è aumentato anche del 90% in soli 10 anni. Cancro alla tiroide, alla mammella e il mesotelioma sono i tumori più diffusi in queste zone, causati dall’esposizione a sostanze tossiche, come diossina, amianto, petrolio, policlorobifenili e mercurio. E l’Italia detiene la maglia nera in Europa per l’incidenza di cancro in età pediatrica. È quanto emerge da uno studio condotto in 62 Paesi dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc), in collaborazione con l’Associazione Internazionale dei Registri del Cancro e pubblicato recentemente su “Lancet Oncology” . La maggiore incidenza di tumori si registra nei bambini tra 0 e 14 anni e negli adolescenti tra i 15 e i 19 anni nell’area del Sud Europa che comprende, oltre all’Italia, Cipro, Malta, Croazia, Spagna e Portogallo. Un trend drammatico confermato anche dall’ultimo Rapporto Sentieri (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) a cura dell’Istituito Superiore di Sanità, che rileva un’ «emergenza cancro» tra i più giovani. I dati raccolti nel periodo 2006-2013 in 28 dei 45 siti italiani maggiormente inquinati hanno infatti sottolineato un incremento di tumori maligni del 9% nei soggetti tra 0 e 24 anni, registrando picchi del 50% per i linfomi Non-Hodgkin, del 62% per i sarcomi dei tessuti molli e del 66% per le leucemie mieloidi acute. A fare il punto oggi a Roma il convegno “Emergenza cancro – Fattori ambientali modificabili e stili di vita non corretti”, organizzato dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), in prima linea nella tutela della salute umana tramite la salvaguardia della natura, in collaborazione con Confassociazioni Ambiente.

«Generalmente si pensa al cancro come a una malattia della terza età – spiega Ernesto Burgio, membro dell’European Cancer and Environment Research Institute (Eceri) di Bruxelles – e si sostiene che il trend continuo di incremento di tumori nel corso del XX secolo in tutti i Paesi industrializzati possa essere spiegato mediante la teoria dell’accumulo progressivo di lesioni genetiche stocastiche e il miglioramento continuo delle nostre capacità diagnostiche». E in genere si afferma che i tumori infantili sono una patologia rara. Ma ormai da tempo non è più vero (leggi approfondimento di Ernesto Burgio per Sanità24 ) È opportuno però ricordare come, in termini assoluti, uno su 5-600 nuovi nati si ammalerà di cancro prima del compimento del quindicesimo anno d’età; come, nonostante i significativi miglioramenti prognostici degli ultimi decenni, il cancro rappresenti la prima causa di morte per malattia nei bambini che hanno superato l’anno d’età; come anche in questa fascia d’età, a partire dagli anni 1980-90, si sia assistito a un aumento significativo della patologia tumorale».

Così il cittadino può limitare il danno
Serve quindi una svolta dei decisori politici e del sistema produttivo per limitare le emissioni inquinanti nell’aria e nell’acqua. E nel frattempo ogni cittadino può limitare il danno puntando su scelte consapevoli, a partire dagli acquisti piccoli o grandi di tutti i giorni. «I nostri consumi possono modificare il mercato – dichiara Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale e docente di Prevenzione Ambientale del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano – e nello stesso tempo costringere le aziende produttrici a essere veramente ecosostenibili: pretendiamo, quindi, alimenti, elettrodomestici e prodotti di uso quotidiano che siano scientificamente validati da Enti pubblici italiani. Ci sono poi semplici regole che ognuno di noi può seguire a casa propria per fare prevenzione ambientale – dall’utilizzo di bottiglie d’acqua in vetro anziché in plastica ai piccoli accorgimenti per migliorare la qualità e ridurre lo spreco di acqua potabile – e per evitare i danni causati dall’eccessiva esposizione all’inquinamento indoor e ai campi elettromagnetici (www.prevenzione.life ). Quello che facciamo oggi avrà ricadute tangibili tra 30 anni: dobbiamo quindi agire subito per consegnare alle future generazioni un ambiente sostenibile».

Primo passo della prevenzione: tutelare la salubrità dell’acqua
Ma il primo passo della vera prevenzione è evitare di immettere e disperdere sostanze cancerogene nell’ambiente che poi finiscono inevitabilmente per interessare le acque e, con esse, il cibo e ogni altra materia prima. «Nel “vettore acqua” le sostanze inquinanti possono essere presenti in soluzione – spiega Vito Felice Uricchio, Direttore CNR IRSA – o possono essere adese a solidi sospesi, microplastiche, sostanze organiche di varia natura, olii emulsionanti e pertanto sono più facilmente assimilabili dagli organi bersaglio, generando processi di carcinogenesi. In realtà le sostante chimiche registrate dalla European Chemicals Agency (ECHA) e potenzialmente presenti nelle acque sono oltre 100.000, a cui si sommano i loro prodotti di degradazione».

Tra queste veri e propri killer, come i composti organici persistenti e gli interferenti endocrini, metalli pesanti come Cromo (VI), Nichel, Arsenico, Berillio, Idrocarburi policiclici aromatici (Ipa). Sostanze cancerogene presenti in beni quali cosmetici, creme solari, indumenti, mobili, cicche di sigarette, pesticidi, vernici, pellami, alimenti, gas di scarico. E che finiscono nelle acque con cui laviamo noi stessi, i nostri beni e i nostri alimenti. «È quanto mai opportuno ridurre le produzioni e gli impieghi di sostanze persistenti e/o dotate di attività biologiche significative – conclude Uricchio – per evitare che raggiungano le acque e che possano comportare un rischio cancerogeno o epigenetico, esponendo gli organi bersaglio tra cui reni, apparato uro-genitale, digerente, fegato».

Conversione green anche per l’Ict
Come è noto, il regolamento sulla condivisione degli sforzi contro il global warming condiviso dai leader Ue, ha stabilito degli obiettivi nazionali (per l’Italia -33% di riduzione entro il 2030 rispetto al 2005) per la riduzione delle emissioni di gas serra nei settori come trasporti, produzione di energia, agricoltura, attività civili e domestiche, gestione dei rifiuti.

E sotto la lente, nel contesto della produzione dell’energia, ci sarebbero anche le tecnologie legate all’informazione e comunicazione (ICT), che rischiano di contribuire in maniera significativa all’aumento dell’emissione globale di gas serra. «Secondo autorevoli analisi statistiche (aggiornate al 2017) -sottolinea Luciano Mescia , professore associato di Campi Elettromagnetici Poliba – è risultato che gli utenti connessi a Internet nel mondo è in continuo aumento e ha sorpassato la soglia dei 4 miliardi di persone così come il numero globale di “oggetti” e “apparati” (smartphone, tablet, computer, sensori di vario tipo, ecc.) connessi in rete in modalità IoT (Internet of Things) passerà dagli attuali 20 miliardi a circa 75 miliardi nel 2025».

Numeri che implicano un enorme incremento di infrastrutture (router, data center, centri di broadcasting, base stations, reti di telecomunicazione, ecc.) e la conseguente crescita esponenziale di richiesta energetica. «Secondo un recente studio, il solo settore dell’industria ICT – continua Mescia – potrebbe utilizzare nel 2030 fino a circa la metà dell’elettricità mondiale e contribuire fino al 23% dell’emissione globale di gas serra. È quindi evidente che anche le tecnologie ICT sono chiamate a fare la loro parte in relazione al raggiungimento degli obiettivi climatici globali per garantire un impatto più sostenibile sull’ambiente e la salute pubblica. In relazione a tali obiettivi, sarà quindi necessario aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo di nuove tecnologie, prodotti, servizi, sistemi e modelli (sintetizzati con il termine Green ICT) finalizzate all’aumento del rendimento delle apparecchiature dell’ICT, al miglioramento dell’equilibrio fra prestazioni e consumi dei grandi server informatici, all’incremento dell’efficienza energetica delle reti di telecomunicazione, all’abbattimento della produzione di rifiuti elettronici».

I big sono già in movimento. «Attualmente colossi come Google, Microsoft, Facebook e Apple stanno implementando soluzioni tecnologiche per alimentare le proprie attività con energie rinnovabili e a basso impatto ambientale – conclude Mescia – ma ad oggi solo circa il 20% dell’energia elettrica utilizzata dai data center globali proviene da tali fonti, mentre il restante 80% è ancora fornita da fonti di energie fossili».

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