La storia ingrata che ha cancellato Castro

Alessandro Gatti

 

Patrimonio di san Pietro e Ducato di Castro

Il Museo Civico di Ischia ha fatto da teatro a un confronto tra due esperti riguardo uno dei capitoli più affascinanti, anche se meno noti, della Storia della Tuscia: Romualdo Luzi, per la famiglia dei Farnese, e Colombo Bastianelli per i Pamphilj, hanno tenuto un vibrante comizio su Castro.

Questa era la capitale dell’omonimo ducato e un tempo fiorente città il cui territorio ora è parte di quello di Ischia di castro, poi distrutta nel 1649 per motivi non ancora del tutto chiari.

L’incontro fa parte del programma “Sulle Orme di Olympia”, promosso dalla Confraternita del Santissimo Sacramento e del Santo Rosario di San Martino al Cimino. Hanno contribuito la Pro Loco di San Martino e delle associazioni sammartinesi impegnate per la riapertura del palazzo Doria Pamphilj di San Martino al Cimino, chiuso e non più riaperto dal 2012.

Le tesi dei due storici concordano sul motivo che mise la città della Maremma contro il potente Stato della Chiesa: Innocenzo X aveva messo gli occhi sugli ingenti possedimenti dei Farnese per foraggiare le opere pubbliche indirizzate alla celebrazione del Giubileo alle porte. Quel che resta delicato oggetto di discussione sono quelle dinamiche che poi sfociarono in una cruenta guerra che portò all’annientamento di Castro.

I debiti contratti dai Farnese presso i Montisti Romani, parallelamente alla nomina di Cristoforo Giarda a Vescovo di Castro, pedina del Papa, portò i Pamphilj a scatenare un blitz che decreterà l’assedio della città. Successivamente, venendo a mancare l’atteso intervento dell’esercito dei Farnese in favore di Castro, si giunse alla resa.

Questa fu firmata dal Colonnello dello Stato di Castro e Ronciglione Sansone Asinelli David Widman e comandata dai corpi armati pontifici, con la condizione che “gli abitanti non dovevano essere molestati né in vita né in morte”.

Gli accordi non vennero mai rispettati: i Castresi vennero cacciati a forza, mentre la ricca città, fino ad allora invitta, venne messa a ferro e fuoco. Il 3 dicembre 1649 Monsignor Giulio Spinola dichiarò pubblicamente il totale annientamento della città: la furente volontà di cancellare dalla Storia Castro ricorda quella con cui i Romani rasero al suolo Cartagine nel celeberrimo epilogo delle Guerre Puniche.

Motivo di incertezza e discussione è il peso nella vicenda della nobildonna Olimpia Pamphilj per via della penuria di fonti: Luzi individua nella sua persona il vero architetto della distruzione della città della Tuscia. Il movente risiederebbe nell’odio covato nei confronti dei Farnese, non perdonando loro la protezione che concessero alla principessa di Rossano Olimpia Aldobrandini, loro cugina e moglie dell’unico figlio maschio che ebbe l’altra Olimpia. Il matrimonio in questione mandò all’aria i piani della Pamphilj, che progettava per il figlio una carriera ecclesiastica culminante nell’investitura papale.

Diverso è il parere di Colombo Bastianelli: la donna avrebbe giudicato la mossa troppo dispendiosa alla luce del fatto che dopo la fine del conflitto Papa Innocenzo X avrebbe inglobato le ricchezze della città per rivenderle proprio alla famiglia di lei. Bastianelli propugna l’ipotesi per cui la Corona Spagnola avrebbe spinto per l’annichilimento di Castro per liquidare una scomoda presenza dei Farnese vicino allo Stato della Chiesa.

Il Ducato di Castro e della Contea di Ronciglione nacque per volere del Cardinale Alessandro Farnese, salito al soglio di Pietro col nome di Papa Paolo III.  Il Ducato divenne ricco e la sua capitale splendente: molti accorsero attratti dalle possibilità di guadagno rese possibili dall’impulso economico che diedero gli investimenti della famiglia Farnese. Questa investì per rendere la città un prospero sito rinascimentale, caratterizzato da bellezze artistiche e benessere diffuso tra i cittadini.

La scure si levò improvvisamente su Castro con inaudita ferocia e appare voluto il fatto che i documenti, atti a ricostruire l’accaduto, siano stati quasi del tutto assenti. Forse il motivo va ricercato nella tracotanza dei suoi signori Farnese, che indispettì qualcuno dal  potere ben più grande del loro.  Proprio come la“hýbris” della cultura greca  portava i mortali che volevano sfidare la grandezza degli Dei a finire annientati da questi ultimi, puniti per aver troppo osato. Poco ci è dato sapere e la Storia non può che sfumarsi nel mito, le cui nubi diradano le tracce di un passato incantevole quanto ancora troppo oscuro.

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