TERZIARIO, IL LAVORO NERO NEL LAZIO. LE TESTIMONIANZE E IL RAPPORTO DELLA UIL

TERZIARIO, IL LAVORO NERO NEL LAZIO. LE TESTIMONIANZE E IL RAPPORTO DELLA UIL

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“Un esercito di invisibili. Passano inosservati sotto i riflettori dell’abitudine, non riconosciuti perché parte attiva e sempre presente dei luoghi che frequentiamo quotidianamente. Sono i lavoratori in nero del terziario. Centinaia, migliaia di giovani, donne e uomini che per vivere si ‘accontentano’ di misere retribuzioni senza contratto e regolarità”. A dichiararlo è Giancarlo Turchetti, segretario generale della Uil Viterbo, sulla base di un rapporto dedicato al lavoro nero nel settore terziario della Uil di Roma e del Lazio.

“Le stime ufficiali – prosegue Turchetti – parlano di 168 mila nel Lazio, e tale cifra sale a 333 mila se si considerano anche i lavoratori irregolari. I dati sono costantemente in crescita dal 2008 ad oggi (con l’unica eccezione del 2011), sia a livello regionale (erano 140 mila nel 2008), sia in Italia, nonostante il numero delle ispezioni sia fortemente diminuito negli ultimi anni. In realtà, come emerso durante l’inchiesta appositamente realizzata dalla Uil di Roma e del Lazio, sono molti di più. Nei bar sotto casa o vicino l’ufficio, nelle frutterie, nei mercati rionali, nei centri estetici e in quelli sportivi, presso elettrauti, meccanici, autolavaggi. Dal parrucchiere o dal barbiere che frequentiamo ai negozi di abbigliamento, arredi, alle segreterie degli studi medici, alle farmacie, alle agenzie di sicurezza. Sono ovunque”.

“Situazioni di illegalità e irregolarità molto più diffuse di quanto si immagini – commenta il segretario generale della Uil di Roma e del Lazio, Alberto Civica – abbiamo sentito moltissimi lavoratori ai margini, persone che spesso rifiutano di parlare davanti alle telecamere per paura di essere riconosciuti e perdere qual poco che hanno. Un minimo che permette loro di sopravvivere. Senza tutele, lavorando sabato domenica e sanza orari, senza alcuna sicurezza nei luoghi dove lavorano. E poi si continua a fare un gran parlare di questi temi. Non servono le chiacchiere, serve la volontà politica a intervenire ed agire. Noi, come sindacato, ce la mettiamo tutta, anche rischiando a volte, ma se alle nostre denunce, tutte documentate e confermate purtroppo dalle testimonianze, non si da’ seguito, si potrà ottenere poco”.

Molti raccontano la propria storia lontano dai datori di lavoro, ma guai a tirar fuori una telecamera o un iPad. Si dileguano. I titolari ovviamente rifiutano di parlare, anche se qualcuno racconta di contratti non proprio corrispondenti alla realtà.

“L’ho messo in regola, ma solo per quattro ore al giorno – ammette Marco, titolare di un bancone in uno dei mercati storici della Capitale, indicando un suo dipendente – il nostro lavoro è fortemente diminuito negli ultimi anni e non possiamo più permetterci dipendenti full time. Non ce la facciamo. Così ci siamo venuti incontro. Io verso i contributi solo per le 4 ore in cui lui si relaziona col pubblico. Mentre il tempo del rifornimento prima dell’apertura…lasciamo perdere… lo può intuire da sola”.

E Marco è uno dei più in regola. Al banco accanto i dipendenti sono due, ma il titolare ci allontana in malo modo. Qualcuno, invece, ci ha rinunciato davvero, coinvolgendo i propri figli nell’impresa di famiglia. “Altrimenti avremmo dovuto chiudere – raccontano – la crisi, le tasse elevate e la forte concorrenza degli stranieri che usufruiscono delle agevolazioni fiscali per i primi tre anni hanno ridotto del 50% i nostri incassi. Ogni tanto, evitiamo di battere qualche scontrino – ammettono – almeno con i clienti abituali”. E c’è chi, invece, ai dipendenti ha rinunciato di recente, dopo la nuova normativa sui voucher. O almeno così sostiene. “Fino a due settimane fa – racconta Cristina, titolare di una tintoria – avevo due persone che mi aiutavano soprattutto a stirare, ma adesso senza voucher non me lo posso più permettere e mando avanti il negozio da sola”, salvo poi intravedere dallo specchio divisorio una signora alle prese con un ferro da stiro. Mohamed invece lavora in un minimarket gestito da un connazionale nella zona est di Roma, non vuole assolutamente farsi riprendere dalla telecamera, è schivo e a bassa voce sussurra di lavorare senza alcun contratto, come molti suoi amici. Poi si allontana rapidamente, esortandoci questa volta a voce alta a rivolgerci al proprietario per qualsiasi informazione.

Samuele, invece, manda avanti la reception di un albergo all’ombra del Cupolone. E’ lui a gestire le stanze e i clienti che arrivano e partono ed è sempre lui a fare le veci del proprietario, in sua assenza. Il tutto rigorosamente in nero. Lavora qui da qualche anno, è ben apprezzato dal resto del personale e dai datori di lavoro, ma di contratto non se ne parla. Troppe spese, meglio rimanere nell’ombra. Un’ombra per la previdenza, per il fisco, per la sua incolumità, non certo per i turisti con cui si relaziona, ne’ per i colleghi che coordina. “Sto cercando un altro lavoro da tempo – racconta – ma è davvero difficile. Nel frattempo, rimango qui perché ho una bimba e non posso permettermi di rimanere senza stipendio”. E sono sempre le necessità quotidiane a spingere Gianfranco ad accettare un lavoro in nero in un altro albergo, questa volta al Tiburtino. “Lavoravo 12 – 13 ore al giorno – racconta – per poco più di 800 euro al mese. Ho chiesto più volte di essere messo in regola, ma inutilmente. Alla fine non ho retto e sono andato via. Con tutte le difficoltà economiche del caso. In primis il mutuo”. C’è chi, invece, in nero ha lavorato per 18 anni, come Antonello, meccanico all’interno di un garage della Capitale, “dove – racconta – ho trascorso tutto il periodo della crescita di mio figlio. Ci siamo accordati col proprietario – dice – e sono andato avanti così per anni: lui non pagava tasse e previdenza e io ho potuto mandare avanti la mia famiglia dignitosamente. Fino ad avviare due anni fa un’impresa in proprio”.

“Come si fa a lavorare per 18 anni senza che nessuno se ne accorga – domanda Civica – com’è possibile che nella Capitale d’Italia, spesso nel suo centro storico, situazioni del genere passino completamente inosservate? Ci chiediamo se in molti casi non vi sia la voglia di non vedere, come gli stessi lavoratori coinvolti dichiarano senza mezzi termini. Raccontano anche davanti a un microfono la loro sensazione di ispezioni programmate e preannunciate. Ispezioni che, tra l’altro, sono diminuite negli ultimi anni”.

Non si può permettere di perdere il lavoro nemmeno Kaskif, da cinque anni in Italia, che serve ai tavoli di un ristorante del centro. “Forse a breve mi faranno un contratto”, dice a bassa voce per non farsi udire dai colleghi mentre sparecchiano i tavoli accanto. E c’è chi ai tavoli ha servito in nero quando aveva solo 16 anni, come Danilo che, racconta, “se stavo male ovviamente non venivo pagato e anche le mance andavano soltanto ai camerieri più anziani”.

Prassi frequente quella del “nero” pre contratto, come risulta dall’ufficio vertenze della UIL Tucs che ha visto aumentare le richieste di aiuto da parte dei lavoratori “invisibili” del commercio. Basti pensare che soltanto nell’ultimo anno, le denunce di lavoro nero hanno rappresentato il 28,25% delle vertenze seguite dalla UilTucs di Roma. Di questi, il 16,9% sono relative al lavoro domestico, seguite dal commercio (4%), pubblici esercizi (2,6%) e studi professionali. A ciò si aggiunge un 42,9% di vertenze per lavoro definito “misto”, ovvero un periodo, solitamente lungo, di nero seguito dal contratto e viceversa. Un gruppo questo che, oltre le attività commerciali, vede in prima linea farmacie e alberghi.

In farmacia, come responsabile dell’area amministrativa e contabile, lavorava Antonella: quattro anni in nero, prima di un contratto regolare. “Contratto che – racconta – ha avuto breve vita: un solo anno. Poi è scattato il licenziamento per problemi economici dell’azienda”. E c’è chi come Luisa, laurea in farmacia e ottima dialettica, decide di accettare di lavorare in nero per un periodo post lauream con la promessa di un’assunzione regolare a breve. Ma trascorrono i mesi, poi gli anni e di contratto non se ne parla, nonostante la giovane dottoressa sia divenuta un punto di riferimento per la clientela della nota farmacia di Roma nord. E così Luisa, dopo due anni, decide di abbandonare e cercare altrove, animata dal coraggio dell’età e da una forte consapevolezza del suo valore. Ma Luisa è anche consapevole di avere dei genitori alle spalle che le danno una mano.

Completamente diversa la situazione di Tim da diversi anni cuoco di una scuola cattolica dove, ci dice, prepara 300 pasti al giorno. “Guadagno dai cinque ai dodici euro al giorno – dice in un italiano ancora molto stentato – è come se facessi volontariato. Riesco ad ottenere qualche contratto regolare, anche se a giornata, soltanto quando faccio la comparsa in qualche trasmissione televisiva. Per il resto vivo così. In un monolocale in campagna, alle porte di Roma per spendere il meno possibile. E al mattino prendo l’autobus per venire in città”. Un intero universo di lavoratori irregolari o in nero popola le officine di cambio gomme, assistenza automobilistica, autolavaggio. Un mondo dove spesso diventa arduo avventurarsi, perché controllati a vista e poco propensi al dialogo. Solo qualcuno tra i titolari decide di intervenire al posto del dipendente completamente a nero, per giustificare la scelta con uno sfogo contro le tasse, il Jobs Act, gli aumenti dei costi nello smaltimento delle gomme “che – sostiene il proprietario di un’officina in zona Portuense – a volte bisogna arrangiarsi a proprio modo, perché non siamo in grado di sostenere i costi per lo smaltimento tutti i mesi”.

IL REPORT DELLA UIL DI ROMA E DEL LAZIO SUL LAVORO NERO NELLA REGIONE LAZIO

IL VIDEO SUL LAVORO NERO NEL SETTORE TERZIARIO DEL LAZIO REALIZZATO DALLA UIL DI ROMA E DEL LAZIO

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