Il laboratorio di eccellenza che minaccia la sorgente nel cuore della montagna

Nel cuore Gran Sasso convivono un delicato sistema idrogeologico e le “interferenze” dell’uomo. L’ultimo episodio di contaminazione causato dalla verniciatura dei tunnel, ma ci fu un precedente ad agosto ( da notizietiscali.it)

Il laboratorio di eccellenza che minaccia la sorgente nel cuore della montagna
di Paola Pintus

I laboratori dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare del Gran Sasso, fiore all’occhiello della ricerca italiana, sono una potenziale “bomba ecologica” sotto le viscere della montagna, in grado di minacciare a le riserve di acqua idrica potabile alimentate dalla sorgente che dà da bere a mezzo Abruzzo. L’istituto è un’eccellenza assoluta del nostro paese, nata trentacinque anni fa da un’intuizione dello scenziato Antonino Zichichi. Al suo interno vengono condotti esperimenti delicatissimi, sotto l’attenta supervisione del direttore dell’Istituto, Stefano Ragazzi. Tuttavia la presenza di stock di materiali tossici o addirittura radioattivi rende incompatibile la compresenza dei laboratori con diversi punti di captazione delle acque che vengono distribuite a uso potabile a mezza regione, dato il rischio di possibili incidenti, che infatti di tanto in tanto capitano.

L’ultimo in ordine di tempo è recentissimo: Toluene, Etilbenzene e Xilene sono stati rilevati nei campioni raccolti il 4 maggio e il 5 maggio 2017. In questo caso non si tratta di sostanze provenienti dai laboratori, ma si è trattato di interferenze dovute a vaporizzazioni di sostanze tossiche finite nelle acque di falda in seguito ai lavori di verniciatura dei tunnel del Gran Sasso. Un episodio che dimostra ancora di più se ce ne fosse bisogno quanto sia delicato il sistema idrogeologico del Gran Sasso e quanto la compresenza di attività altamente impattanti possa interferire con esso.

Risale invece all’agosto scorso il precedente incidente, tenuto nascosto alla popolazione per ben quattro mesi e i cui contorni sono emersi solo a dicembre 2016, dopo che la Regione ha dichiarato lo stato di Emergenza idrica autorizzando la società Ruzzo Reti Spa, che gestisce l’acquedotto, a proseguire nell’utilizzo del potabilizzatore della Val Vomano “a seguito di una contaminazione delle acque captate presso i laboratori del Gran Sasso”.

In quel caso si trattava di diclorometano (cloruro di metilene), sostanza classificata quale tossica, nociva e possibile cancerogeno per l’uomo, in un rilevata dalla Asl di Teramo in un campione di acqua destinata al consumo umano raccolto il 30 agosto 2016 presso il pozzetto 1917 INFN, proprio a ridosso dei laboratori di fisica nucleare. Il successivo primo settembre 2016 l’acqua veniva messa a scarico dalla Ruzzo Reti Spa fino alla ripresa della reimmissione in rete a gennaio 2017, dopo ben 4 mesi (nota ASL di Teramo 2880/17 del 12/01/2017).

L’episodio riguardante la presenza di diclorometano nelle acque destinate al consumo umano di agosto 2016 e quello relativo alla presenza di cloroformio pochi mesi dopo, sono stati entrambi contraddistinti da valori al di sotto dei limiti di legge oppure dei limiti indicati dall’Istituto Superiore di Sanità per le sostanze non tabellate nel D.lgs.31/2001 per le acque potabili (20 microgrammi/litro per il Diclorometano e 30 microgrammi/litro per il Cloroformio, ma superiori a quelli per le acque sotterranee fissati dal D.lgs.152/2006 (0,15 microgrammi/litro per entrambe le sostanze).

“I punti di captazione all’interno del Gran Sasso non sono a norma, sia quelli presso i laboratori sia quelli autostradali”, denuncia in una lettera-esposto il responsabile del Forum abruzzese per l’Acqua, Augusto de Sanctis. “Infatti non vengono rispettate previsioni dell’Art.94 del Testo Unico dell’Ambiente sulla presenza di sostanze chimiche pericolose e/o radioattive e, in particolare, gli obblighi relativi alla Zona di Tutela Assoluta, cioè 10 metri attorno al punto di captazione, e alla Zona di Rispetto, ampia 200 metri, che devono essere liberi da questi materiali. Anche la stessa presenza dell’asse autostradale pone seri
problemi”.
“Tale condizione è certificata addirittura da una nota dell’Istituto Superiore di Sanità (Prot.28289 del 19/07/2013) e da molteplici documenti della ASL. Ad esempio, la lettera di prot.666/G del 24 giugno 2014, in cui l’ente ribadisce di aver espresso parere negativo anche rispetto alla regolarizzazione della
concessione delle acque ai fini idropotabili”
“Uno dei principali problemi è la presenza di sostanze che vengono usate all’interno dei Laboratori, alcune delle quali tossiche o radioattive. Facciamo riferimento all’elenco aggiornato che recentemente l’INFN ha inviato alla ASL di Teramo. Ebbene- prosegue De Sanctis- la presenza di 1.040 tonnellate di nafta pesante, 1.292 tonnellate di trimetilbenzene (un neurotossico), 45 sorgenti radioattive, dal Cesio137 all’Americio 241- seppur utilizzate in appositi contenitori, è completamente ed inequivocabilmente incompatibile con la presenza di punti di captazione”.

Ma non basta: è stato un servizio delle Iene di qualche giorno fa a riportare alla luce un episodio lontano nel tempo ma ancora più grave: lo sversamento, nel 2002, di trimetilbenzene nelle acque del Gran Sasso, in seguito al quale i laboratori finirono sotto gestione commissariale e che dette il via ad un adeguamento delle strutture per una spesa com4 plessiva di 80 milioni di euro. Peccato che da un accertamento successivo dell’Istituto superiore di Sanità la messa in sicurezza della pavimentazione prevista a protezione dell’acquifero risulta non essere stata mai completata.

Intanto i cittadini non sanno più cosa pensare, mentre è già partito il rimpallo di competenze fra gli enti coinvolti.

“Siamo indignati per le condizioni di rischio in cui versa uno degli acquiferi più grandi d’Europa, risorsa strategica fondamentale per la vita di centinaia di migliaia di persone e per la biodiversità”, dice De Sanctis. “I fenomeni di contaminazione si stanno ripetendo e non si può rincorrere i problemi perchè con l’acqua si deve fare prevenzione. Le scene di panico che abbiamo visto in seguito all’ultimo incidente, sono nulla in confronto con quello che accadrebbe con un eventuale incidente massivo con il coinvolgimento delle migliaia di tonnellate di sostanze tossiche stoccate nei laboratori del Gran Sasso (tra l’altro, 1.250 tonnellate di trimetilbenzene e 1.000 tonnellate di acqua ragia). In tal caso è lecito aspettarsi conseguenze per decenni visto che tali materiali sono stoccati praticamente all’interno di una montagna piena d’acqua e uno sversamento causerebbe danni probabilmente permanenti in un tale contesto geologico”.

“È del tutto evidente che le importanti ricerche in corso nel Gran Sasso devono tener conto dei rischi per vastissimi territori, che comprendono tre province” (l’acqua del Gran Sasso sgorga nelle sorgenti dell’aquilano, teramano e pescarese, Sorgenti del Pescara incluse ndr). “Un incidente più rilevante stravolgerebbe per anni l’intera area. Per questo devono essere imposti limiti severi all’uso delle sostanze. Ovviamente sia sul versante laboratori sia su quello autostradale servono anche interventi infrastrutturali sulle captazioni ma questi ultimi non inciderebbero se non di poco sui rischi di incidente rilevante”, conclude De Sanctis.

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