È dal Governo Monti che non si attua una politica per la crescita, obiettivo primario per un Paese che deve assolutamente diminuire il peso del debito pubblico e ritornare a creare occasioni di lavoro.
Il nostro paese paga duramente, sulla propria pelle, la politica recessiva del “Governo dei Professori” che ha creato giovani disoccupati, precari e cassaintegrati e per la prima volta l’impoverimento del ceto medio. Nel frattempo, il debito pubblico è cresciuto, gli immobili si sono deprezzati e molte aziende italiane sono state bottino per gruppi cinesi, tedeschi e francesi.
Le pseudo riforme attuate dal Paese negli ultimi 5 anni stanno dando risultati molto al di sotto di quelli ottenuti dalle riforme strutturali di Schroeder, nei primi anni 2000 in Germania.
Per una politica della crescita efficace, occorre intervenire in almeno cinque direzioni:
1) riduzione strutturale della pressione fiscale attraverso un taglio della spesa pubblica non produttiva;
2) investimenti infrastrutturali atti a creare occupazione, nell’immediato, e rendere più attrattivo il Paese per gli investitori esteri;
3) riduzione della complessità della burocrazia italiana.
Un esempio: nel settore dello scambio delle merci, l’immediata costituzione dello sportello unico dei controlli nei nostri porti, in attuazione della legge di riforma Delrio, renderebbe gli stessi più competitivi, a costo zero;
4) riduzione del costo dell’energia;
5) investimenti nella manifattura 4.0 e nelle piattaforme telematiche;
6) piani di sviluppo del turismo e della logistica, in quanto polmoni di lavoro su cui hanno già puntato grandi Paesi europei come la Germania, Inghilterra, la Francia e l’Olanda.
Per fare tutto questo, occorre risvegliare una solidarietà sociale e nazionale che coinvolga tutto il mondo dell’impresa, ricreando lo spirito degli anni del boom economico in cui Di Vittorio non si sognò di dire “NO” agli investimenti in infrastrutture, come hanno fatto invece, in questi anni, una parte del sindacato e persino alcuni parroci valsusini.