Possiamo dirci cristiani? di Agostino G. Pasquali

da lacitta.eu

Viterbo PROVOCAZIONE : Possiamo dirci cristiani? di Agostino G. Pasquali


     Il filosofo Benedetto Croce scrisse nel 1942 un saggio dal titolo “Perché non possiamo non dirci cristiani”, la cui essenza è questa: il nostro mondo occidentale, il suo progresso, la sua impostazione culturale e organizzativa sono stati ‘rivoluzionati’, rispetto alla concezione classica greco-romana, dall’affermarsi storico del cristianesimo; il quale cristianesimo agì come istituzione sociale e politica piuttosto che come messaggio etico religioso.

Quindi chiunque appartiene al mondo occidentale, che sia credente o ateo, è necessariamente cristiano perché, dal momento che nasce e vive in una terra cristianizzata, il cristianesimo è per lui un ‘imprinting’ iniziale e un condizionamento continuo.

Al contrario, Piergiorgio Odifreddi, matematico, divulgatore e scrittore di chiara impostazione atea, ha scritto un saggio dal titolo “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)”.

La sua argomentazione è strettamente logica, basata sullo studio dei testi sacri, degli scritti teologici e della storia delle religioni. La sua critica si è concentrata nella ricerca di errori, contraddizioni, affermazioni irrazionali che si trovano nei testi sacri (in particolare nella Bibbia) e nella letteratura religiosa. Questi errori e incongruenze minano la credibilità del credo cristiano per cui, secondo lui, è illogico essere cristiani e cattolici in particolare. Anche lui, come Croce, si è curato poco del messaggio di Gesù e della sua predicazione, ha dato poco rilievo alla ‘buona novella’ e agli effetti che dovrebbe avere sul comportamento degli uomini.

Odifreddi è un logico matematico e di logica vive, ragiona e scrive, ma non è affatto avulso dalla realtà. Quindi non si può dare torto alla sua critica demolitrice, perché, a guardare bene ciò che avviene in concreto, la religione è vissuta dalla maggioranza dei praticanti come una serie di norme, di dogmi, di costruzioni teologiche, di formule e cerimonie, che di razionale hanno poco o nulla, ma hanno invece tantissimo di artificiosamente sceneggiato e recitato, come in una rappresentazione teatrale.
Mi permetto, rischiando di passare per presuntuoso, di rivedere l’affermazione di Odifreddi trasformando il ‘non possiamo essere cristiani’ nel ‘non possiamo dirci cristiani’. Se siamo battezzati noi ‘siamo cristiani’ e in particolare ‘cattolici’, anzi in senso crociano noi siamo cristiani anche se non battezzati e del tutto estranei alla religiosità, e questa cristianità deriva dal solo fatto di essere occidentali, di far parte di un mondo che ha radici cristiane. Dunque ‘formalmente’ siamo cristiani e non lo possiamo negare, come vorrebbe Odifreddi. Ma possiamo ‘dire’ con piena coscienza di essere anche ‘sostanzialmente’ cristiani? cioè che ci comportiamo da cristiani?

Per spiegarmi meglio vorrei lanciare un sassolino nello stagno, cioè far nascere un dubbio e invitare ad un esame di coscienza.
In via preliminare faccio un esempio: un uomo che dorme ‘è un uomo’, ma finché dorme ‘non può dirsi uomo’. Ha la forma di un uomo, ma non pensa da uomo né agisce da uomo. La stessa cosa vale, ma qui il paragone diviene sgradevole (ne chiedo scusa), per chi è in coma oppure soffre di Alzheimer in fase terminale. Per ‘dire’ di se stessi di essere uomini bisogna dunque agire da uomini ed esserne coscienti. Lo stesso principio vale per ‘dire di essere cristiani’. A me sembra invece che ci siano molti cristiani, anche cattolici, che praticano le chiese, ricevono i sacramenti e recitano le preghiere, ma si comportano poi in modo assolutamente contrario alla predicazione di Gesù. Sì, è vero che osservano formalmente le prescrizioni del catechismo, ma sostanzialmente ignorano o addirittura si oppongono alla pratica dell’amore cristiano (= enunciato da Cristo) che è l’essenza del Vangelo. Per dirla con Gesù sono ‘farisei’ (Parabola del fariseo e del pubblicano. Luca 18,11).

La religione, qualsiasi religione e quella cristiana prima di ogni altra, dovrebbe essere regola di vita, guidare l’uomo nei suoi comportamenti secondo principi etici di giustizia altruismo e soprattutto ‘amore’. Devo citare le parole di Gesù  (si trovano uguali nei Vangeli di Luca, Marco e Matteo): “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Il Vecchio Testamento non dice questo perché è ante Cristo, oserei dire anti Cristo, e non parla mai di ‘amore’ nel senso detto da Gesù. L’essenza del Cristianesimo è nel Nuovo Testamento, nel Vangelo, ed è appunto l’amore.
Proprio questo Gesù ha predicato ma pochi cristiani praticano. In fondo è a questo che Papa Francesco si riferisce quando parla di un rinnovamento della Chiesa. Ma i cristiani in genere e i cattolici in particolare lo ascoltano meravigliati, sembra che non lo capiscano; alcuni lo deridono, lo attaccano con accuse volgari dandogli del comunista, del peronista, dell’eretico, o quanto meno del sognatore fuori della realtà e affermano che sta distruggendo la tradizione cattolica (e questo forse è vero perché va contro la tradizione formale, rituale, sclerotizzata); nessuno ha però l’ardire di accusarlo di tradire la predicazione di Gesù; tradimento che i critici praticano tranquillamente nella casa cattolica sparando a raffica parole di odio e di disprezzo contro il prossimo che non gli è simpatico, e insultando Papa Francesco con precisione meditata.

*     *     *
Oggi viviamo egoisticamente alla ricerca del benessere, preoccupati di difendere agi e vantaggi, che spesso sono privilegi immorali; manifestiamo avversione e disprezzo, anche odio, verso chi sentiamo estraneo; pratichiamo una guerra virtuale e talvolta reale contro chi sentiamo avversario o concorrente.

Si dice: “È la lotta per la vita!” cioè una forma naturale di concorrenza spietata che ci deriva dalla parte animale che condividiamo con le bestie.
‘Lupus est homo homini’ scrisse Plauto intorno all’anno 210 a.C. e Thomas Hobbes gli fece eco, venti secoli dopo, con ‘Homo homini lupus’. Ma i Greci, già prima di Plauto, avevano elaborato la dottrina del ‘politikòn zoon’ (Aristotele, quarto secolo a.C.), cioè una dottrina che concepisce l’uomo come un animale razionale portato a organizzare la convivenza socialmente. Questo concetto è stato sviluppato in tempi più recenti da Rousseau con la teoria del ‘contratto sociale’.  Ma in tutte queste affermazioni e teorie c’è solo e sempre l’attacco  e la difesa per contrattare un armistizio provvisorio. Però mai amore.
Dunque l’affermazione di Croce deve essere interpretata nel senso che le strutture religiose che si sono evolute nel nome di Cristo, e perciò si dicono cristiane,  hanno condizionato l’evoluzione del mondo occidentale (e poi anche di altre zone colonizzate e cristianizzate), però del messaggio di Cristo è stato preso, praticato ed esportato qualche aspetto formale, ma non l’essenza che, come ho detto, è l’amore.
Oggi filosofi e sociologi studiano la società, sviluppano e aggiornano la  linea di pensiero nata in Grecia (uomo = politikòn zoon) e ripresa da Rousseau (contratto sociale), elaborando teorie e prevedendo scenari futuri alquanto pessimistici. I politici, quelli che contano in ambito nazionale e internazionale, si affannano a costruire alleanze e a tradirle, e a preparare guerre d’attacco o di difesa. La gente comune, quella che incontriamo tutti i giorni in casa, in strada, nel posto di lavoro, al bar, vive la sua lotta quotidiana. Come ho detto sopra:  sempre l’attacco e la difesa per contrattare un armistizio provvisorio. Però mai amore.
Tutto questo è conforme all’insegnamento di Gesù Cristo? Direi proprio di no. La sua predicazione di pace, di amore, di tolleranza, di perdono, di misericordia è del tutto ignorata o comunque  trascurata.

Ora tocco un tasto dolente, moltissimo dolente: il rapporto con l’Islam, in particolare il rifiuto assoluto verso chi pratica quella religione e anche verso chi la pratica da  ‘moderato’, e chiedo:
“Questo rifiuto è un atteggiamento cristiano, evangelico?”
Evidentemente no, ma aggiungo che non è neppure ammissibile cristianamente l’avversione contro il così detto Islam estremista, quello dello Stato Islamico. Secondo Gesù dovremmo amare e perdonare anche gli attentatori e i kamikaze, e se non li amiamo non siamo in accordo con il suo precetto, e se abbiamo buone ragioni per sostenere che sia inevitabile la nostra resistenza e se siamo nel giusto giuridico, non possiamo però dirci cristiani.

Mi rendo conto che ‘dirsi o non dirsi cristiani’ è un bel dilemma, anzi un dilemma molto problematico. Per quel che mi riguarda io non amo gli islamici, ma li rispetto e cerco di capirli. Veramente non amo nemmeno i cristiani, o meglio, li rispetto tutti ma ne amo pochi che conosco e stimo. Quindi la mia posizione, anche se disponibile, non è tale che io possa dire di essere cristiano.
E lei, gentile lettore, può dire di essere cristiano?

Agostino G. Pasquali

P.S.  Un amico, al quale ho fatto leggere in anteprima il ‘sassolino’ di oggi, mi ha fatto notare che il mio giudizio è troppo drastico. Ammetto che ha ragione: ho fatto il classico fascio con tutte le erbe, le buone e le cattive. Infatti esistono cristiani che non solo rispettano, ma amano il prossimo e gli dedicano tempo ed energie: si tratta di buoni sacerdoti, di laici impegnati nel volontariato, di singoli altruisti; tutte persone che assistono chi soffre e ha bisogno di aiuto  e lo fanno ‘gratis et amore Dei’ (formula significativa ma purtroppo fuori moda, sostituita dalla moderna ‘cooperazione onlus’ a rimborso spese). I veri cristiani applicano proprio ciò che Gesù ha detto e che ho il dovere di riportare esattamente:

« Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Da’ a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. »   (Luca 6,27-36)

Questo amico carissimo che frequenta con regolarità la chiesa, è amico di molti sacerdoti e per anni ha fatto del volontariato cristiano, mi ha detto anche che lui purtroppo non è un seguace di Cristo perché non ama il prossimo suo, quello che ammazza e tortura, quello che ruba non per fame, ma per proprio tornaconto, quello che tratta i suoi simili come sudditi o schiavi, quello che offende avvalendosi magari della possibilità di avere a disposizione mezzi di comunicazione. Addirittura non ritiene prossimo suo l’automobilista che fa il furbo, il prepotente, né la donna che al supermercato ti passa avanti all’entrata o alla cassa. Lui è convinto che Gesù, pur avendo conosciuto la crudeltà romana, se facesse una capatina sulla terra oggi, modificherebbe quanto detto più di duemila anni fa: “ama il prossimo tuo come te stesso finché puoi, quando non ce la fai più, mena”.

Ma, anche se non ci fa comodo e non ci convince, la predicazione di Gesù è quella riferita da Luca (6,27-36) e non cambia. Se la ignoriamo possiamo dirci onesti laicamente e cristiani formalmente (crocianamente), ma non possiamo dirci sostanzialmente cristiani come ci vuole Gesù Cristo, perché il nostro agire ci smentisce.

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