Acqua del lavandino non potabile: riduzione della bolletta

L’utente paga il canone di depurazione, ma non c’è alcun servizio: si può ottenere il rimborso della bolletta.

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Bollette dell’acqua “salate” tre volte: una prima per il pagamento di un servizio – quello della depurazione – che spesso non viene prestato; una seconda (conseguente alla prima) per l’inquinamento che avvelena ciò che il rubinetto ci eroga; una terza per gli importi pagati a titolo di “ristrutturazione delle tubature”, che invece sono come dei colabrodo. Insomma, il consumatore paga, ma non riceve un servizio pari agli importi richiesti dai gestori.

 

Almeno a ripristinare la giusta bilancia tra le prestazioni ci pensa la magistratura (almeno per quei pochi consumatori che possono permettersi di fare causa con l’avvocato anche per cause di poche centinaia di euro); ed ecco che, dopo i giudici di merito, arriva anche la Cassazione, con una sentenza depositata ieri [1], a ricordare che il canone dell’acqua non è una tassa – che quindi va pagata a prescindere dalla controprestazione – ma è il normale corrispettivo per un servizio (così come, ad esempio, si paga la bolletta della luce): pertanto se tale servizio non viene fornito o viene fornito in modo non consono al dovuto, al consumatore spetta il rimborso e il risarcimento del danno.

 

Nella bolletta dell’acqua gli italiani pagano anche il canone di depurazione: se però l’acqua non è potabile, il canone va rimborsato.

 

Nel caso deciso dalla Corte, la Pubblica Amministrazione non è riuscita a provare l’esistenza di progetti relativi al depuratore. Così il cittadino matura il diritto alla restituzione della cifra versata per il “servizio di depurazione delle acque”.

 

Oltre a ciò i giudici di merito hanno spesso riconosciuto anche il diritto al risarcimento per il danno economico conseguente all’approvvigionamento dell’acqua da fonti alternative (per esempio gli scontrini per le bottiglie acquistate al supermercato).

 

La sentenza della Cassazione è inequivoca: si ha diritto alla restituzione del canone tutte le volte in cui il Comune sia sfornito di impianto di depurazione centralizzato delle acque. Ciò perché «la tariffa del “servizio idrico integrato” si configura, in tutte le sue componenti, come il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa che, anche se determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo, bensì nel contratto di utenza.

 

Di conseguenza, è irragionevole l’imposizione all’utente dell’obbligo del pagamento della quota riferita al servizio di depurazione anche in mancanza della controprestazione.

 

L’amministrazione che voglia ribattere alle pretese dell’utenza deve fornire prova dell’esistenza di un impianto funzionante nel periodo in considerazione dimostrando l’effettiva fruizione del servizio di depurazione.

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LA SENTENZA

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 12 novembre – 14 dicembre 2015, n. 25112
Presidente Finocchiaro – Relatore Armano

Ritenuto in fatto

E’ stata depositata la seguente relazione
1.La GOBI S.P.A propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del tribunale di Torre Annunziata, depositata il 28 novembre 2011, con la quale era stata confermata la decisione dei giudice di pace che aveva disposto la restituzione a S.A. della somma di euro 521,28, versata da quest’ultimo per il servizio di depurazione acque.
L’intimato non ha presentato difese.
II ricorso é soggetto alla disciplina dettata dagli arti, 369 bis 375, 376 e 380 bis come formulari dalla legge 18-6-2009 ,n.69 e può essere trattato in camera di consiglio e rigettato per manifesta infondatezza.
2.11 ricorso contiene quattro motivi.
Con il primo motivo si deduce l’erroneità della sentenza in ordine al rigetto del motivo di impugnazione relativo alla incompetenza per valore del giudice di pace. Deduce il ricorrente che la clausola di contenimento formulata nell’atto di citazione dei S. si riferiva unicamente alla domanda di restituzione delle somme, mentre la domanda di rivalutazione monetaria ed interessi era stata aggiunta successivamente ed era esclusa pertanto dalla clausola di contenimento.
3.11 motivo é inammissibile per difetto di interesse.
Il Tribunale ha affermato che la domanda proposta rientrava nei limiti del valore della competenza dei giudice di pace perché era stata formulata una clausola di contenimento che riguardava sta la domanda di restituzione che la richiesta di interessi e rivalutazione monetaria; che, anche nell’ipotesi che fosse stata fondata l’eccezione di incompetenza per valore, la causa avrebbe comunque dovuto essere decisa dallo stesso tribunale, non essendo possibile il rinvio al primo giudice, essendo stata la sentenza impugnata anche nel merito.
Delle due rationes decidendi, ciascuna autonoma,che sostengono la decisione la ori ha impugnato solo la prima.
Giusta insegnamento assolutamente pacifico presso la giurisprudenza di questa Corte, quando la sentenza é sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di uria sola di esse, rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, essendo divenute definitive le autonome ragioni non impugnate.
Nella specie i1 ricorrente non ha impugnato tutte le ragioni che sostengono il rigetto dell’eccezione di incompetenza per valore, per cui l’eventuale accoglimento della sola ratio impugnata non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza, Del resto il motivo é anche infondato, in quanto la domanda di interessi e rivalutazione é stata formulata fin dalla proposizione dell’atto di citazione e dï conseguenza la clausola di contenimento si riferisce a tutta la domanda così formulata,
4. Con il secondo motivo si denunzia erroneità della sentenza ex art 360 c. p.c , omessa motivazione e violazione dei principio della corrispondenza tra quanto richiesto e quanto pronunziato e vizio di ultra petitum.
Sostiene la ricorrente che il giudice di secondo grado ha omesso di pronunziarsi sulla motivo di impugnazione relativo al vizio di ultrapetizione commesso dal giudice di pace, in quanto il S. non aveva richiesto alcun importo a titolo di restituzione dei canoni di depurazione ,ma aveva chiesto esclusivamente la condanna al pagamento di una somma a titolo di consumo medio idrico relativa al periodo 3 ottobre 2000/ 3 ottobre 2008.
5.11 motivo inammissibile per difetto di specificità.
Dalla lettura della sentenza impugnata non risulta proposto il motivo di impugnazione relativo all’asserita ultrapetizione.
Si osserva che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un ”error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non ë dispensato dall’onere di specificare e riportare nel ricorso (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto del motivo di appello la cui valutazione deduce omessa dal giudice di appello.
Nella specie la ricorrente solo genericamente afferma di avere eccepito la mancata corrispondenza fra chiesto e pronunciato, senza riportare in ricorso con la dovuta specificità il motivo di impugnazione il cui esame deduce essere stato omesso.
6. Con il terzo motivo si deduce erroneità della sentenza ex articolo 360 n.3 e 5 c,p,c errata applicazione e interpretazione della legge n. 13 del 2009. Il motivo è infondato,
Si rileva, in ossequio alla lettura costituzionale della disciplina relativa alla debenza dei canone di depurazione delle acque, che non vi è luogo al pagamento laddove il Comune sia sfornito di impianto di depurazione centralizzato delle acque (Cass.12 aprile 2011, n, 8318).
Invero la Corte costituzionale dichiarando costituzionalmente illegittimo l’ari. 14, co. L, legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall’ari, 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita at servizio di depurazione é dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi” (Corte cost., io ottobre 2008, n. 335) – ha inequivocabilmente stabilito che la tariffa dei servizio idrico integrato si configura, in tutte le sue componenti, come il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nei suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza. La connessione di tali componenti é evidenziata, in particolare, dal fatto che, a fronte dei pagamento della tariffa, l’utente riceve un complesso di prestazioni consistenti, sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione. E poiché la quota di tariffa riferita ai servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare à inserito automaticamente nel contratto (LL n. 36 del 1994, art. 13), é irragionevole l’imposizione all’utente dell’obbligo del pagamento della quota riferita al servizio di depurazione anche in mancanza della controprestazione, non potendosi ritenere, stante l’unitarietà della tariffa, che le sue singole componenti abbiano natura non omogenea, e, conseguentemente, che anche solo una di esse, a differenza delle altre, non abbia natura di corrispettivo contrattuale ma di tributo (Cons. Stato, 30 giugno 2011, n. 3920).
7.Ció posto e precisato che – come risulta nella decisione impugnata- nella specie si controverte degli oneri riferiti al servizio di depurazione delle acque reflue domestiche nel periodo 03.10.2000/31.10,2008, correttamente il Tribunale ha escluso il diritto alla riscossione per non essere stato fornita la prova dell’esistenza di un impianto funzionante net periodo in considerazione, erga per non essere stata dimostrata, con riferimento a detto periodo, l’effettiva fruizione del servizio di depurazione cui, per la rilevata natura sinatlagmatica del rapporto, risultava condizionato l’accoglimento della pretesa di pagamento. Cass.4-6-2013 n.14042
Secondo la legge n, 13 ¡2009 gli importi da restituire agli utenti dovevano essere identificati in virtù dei criteri stabiliti dal Ministero dell’ambiente e dalle autorità d’ambito, dai quali in ogni caso dovevano essere dedotti gli oneri connessi alle depurazione . L’importo doveva essere individuato dallo rispettivi rispettive autorità d’ambito entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge numero 208 /2008,
8.11 tribunale ha rilevato che la Gori non aveva provato che progetti per l’impianto di depurazione erano stati depositati e che la progettazione era in esecuzione, circostanze che non sono state dedotte neanche con il ricorso in oggetto. Inoltre l’autorità d’ambito non aveva provveduto, come era stato suo preciso obbligo, ad individuare l’importo da restituire entro 120 giorni dalia data di entrata in vigore della legge, avvenuta il 28 febbraio 2009.
Però la mancanza di tali elementi non impediva l’accoglimento dell’azione di ripetizione, essendo l’utente non tenuto al pagamento per una prestazione non ricevuta.
9.La decisione del tribunale è conforme ai principi espressi dalla Corte Costituzionale ed alle norme dal in materia di obbligazioni corrispettive.
Il mancato tempestivo calcolo delle somme da restituire da parte delle autorità competenti non è motivo per non accogliere la domanda di restituzione delle somme ingiustamente pagate dell’utente.
10. Con il quarto motivo si denunzia inversione dell’onere probatorio e carente ed omessa motivazione.
II motivo è inammissibile per novità della censura.
Infatti la Gori non risulta aver mai eccepito nelle precedenti fasi dei giudizio la mancanza di prova dell’importo complessivamente corrisposto dal S. per la somministrazione del servizio idrico.
Si propone pertanto il rigetto del ricorso.
La relazione è stata comunicata alla parte che non ha presentato memoria. Ritenuto in diritto
La Corte, riunita in camera di consiglio, ha condiviso i motivi di diritto esposti nella

relazione e la soluzione consigliata,

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

[1] Cass. sent. n. 25112/2015 del 14.12.2015.

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