Dopo vent’anni la legge sugli Ecoreati. Una vittoria al ribasso, in pieno stile Italia

Tanto tuonò che piovve. Dopo oltre venti anni di vana attesa e mesi di traversie parlamentari, la legge parlamentare sugli Ecoreati è stata definitivamente approvata dal Senato. Successivamente alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il provvedimento entrerà in vigore tra le due settimane di “vacatio legis” previste per l’iter ordinario.

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La totale mancanza nel nostro ordinamento di strumenti penali per sanzionare le condotte delittuose relative alla contaminazione ambientale rende, in ogni caso, una novità positiva l’introduzione di reati ambientali nel codice penale. Ciononostante restano diversi i punti critici della normativa, piuttosto ammorbidita – rispetto alle potenzialità che vent’anni di gestazione potevano e avrebbero dovuto esprimere – dalle pressioni delle lobbies economiche e dei rispettivi protettorati politici.

L’Italia del Biocidio e la mancanza di strumenti punitivi.

Nel nostro paese la tutela dell’ambiente dal punto di vista giuridico sconta da sempre la mancanza di adeguate normative punitive in grado di colpire in modo esemplare le frequenti condotte inquinanti. Eppure non viviamo in un paese incontaminato, anzi. (Si visiti a tal proposito e a titolo esemplificativo la piattaforma web di mappatura partecipata Atlante Italiano dei Conflitti Ambientali)

Calcolando soltanto i 57 SIN, Siti di Interesse Nazionale censiti dal Ministero dell’Ambiente (di cui 18 declassati a SIR, Siti di interesse Regionale nel 2013) la porzione di territorio nazionale gravemente inquinato per cui occorre predisporre urgenti operazioni di bonifica è pari a 155mila ha in terra ferma e 180mila ha di aree marine. Un’area che corrisponde al 3% del territorio nazionale, entro cui vivono, secondo i dati dello stesso Ministero, oltre 5 milioni e mezzo di persone, un cittadino su dieci. Ai SIN si aggiungono poi gli oltre 25.000 SIR censiti dal MATTM, solo 3.011 dei quali bonificati (Fonte: Minambiente, Siti di interesse nazionale. Stato delle procedure di bonifica al 31 dicembre 2013).

Per capire quali siano le conseguenze in termini sociali e sanitari di tale condizione di grave contaminazione, basta scorrere le risultanze dello Studio Epidemiologico SENTIERI, realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità. Nei tre rapporti diffusi tra il 2010 e il 2014 si registrano, nelle zone sottoposte a studio, tassi di sovra mortalità e di incidenza di patologie tumorali e di altre malattie legate all’inquinamento ben più alto delle medie regionali di riferimento. Di fronte a tali e conclamate emergenze, causate ciascuna non da un caso fortuito, ma da condotte spesso deliberate, la sostanziale inazione dei governi che si sono succeduti negli ultimi decenni assume contorni di colpevolezza complice.

L’insostenibile limitatezza della normativa precedente.

Fino a questo provvedimento, in mancanza di strumenti normativi adeguati, per punire le condotte dannose in campo ambientale, i magistrati potevano appellarsi soltanto all’abusata fattispecie del “Getto pericoloso di cose”, contravvenzione prevista dall’art. 674 del Codice Penale (codice Rocco del 1930), secondo cui : “chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti“. Fattispecie debole con ancor più debole sanzione: arresto fino a un mese o ammenda fino a 206 euro.

É il caso, tra gli altri, della famosa causa intentata contro la contaminazione elettromagnetica di Radio Vaticana alla base dell’elevatissima incidenza di tumori infantili a Cesano, alle porte di Roma, e finita in prescrizione come molte altre cause intentate in questi anni per riconoscere e sanzionare le responsabilità di chi, spesso per decenni, ha inquinato indisturbato vaste aree del territorio nazionale.

Il contenuto della nuova normativa.Una vittoria all’italiana, ovvero al ribasso.

La nuova legge raddoppia gli attuali termini di prescrizione per i crimini ambientali e introduce cinque nuove fattispecie di reato, che in caso di condanna o patteggiamento per il reato, prevedono la confisca dei beni e il ripristino dello stato dei luoghi:

Inquinamento ambientale (pene detentive da 2 a 6 anni, multa da 10 a 100mila euro). La fattispecie prevede che sia punibile chi “abusivamente compromette e deteriora in modo significativo o misurabile la biodiversità o un ecosistema o la qualità del suolo, delle acque o dell’aria“. Tra le aggravanti sono previste: lesioni personali, gravi e gravissime e morte della persona; in questo ultimo caso la pena può arrivare fino a un massimo di 12 anni. Se la condotta criminosa è causa di lesioni plurime a danno di più persone si applica la pena più grave aumentata fino al triplo, entro il limite massimo dei 20 anni di reclusione.

Disastro ambientale (pene detentive da 5 a 15 anni). La fattispecie punisce “chi abusivamente altera gravemente o irreversibilmente un ecosistema o compromette la pubblica incolumità“. È prevista specifica aggravante per disastro ambientale in aree protette. Sia inquinamento che disastro ambientale vedono, pur in presenza di aggravanti, le pene ridotte fino a un massimo di due terzi in assenza di dolo.

Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività ( pene detentive da 2 a 6 anni, multa fino a 50mila euro) Punisce chi “abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona materiale di alta radioattività“.

Impedimento del controllo ( pene detentive da 6 mesi a 3 anni), punisce “chi nega o ostacola l’accesso o intralcia i controlli ambientali“.

Omessa bonifica: ( pene detentive da 1 a 4 anni, multa fino a 80mila euro). Punisce “chiunque avendone l’obbligo non provvede alla bonifica e al ripristino“.

Alcune di queste prescrizioni presentano evidenti punti di criticità. Anzitutto il ricorrente utilizzo dell’avverbio “abusivamente” nelle fattispecie di inquinamento e disastro ambientale e di traffico di materiale radioattivo. L’utilizzo di tale ulteriore elemento qualificante della condotta comporterà con ogni probabilità diverse difficoltà circa la punibilità di alcuni reati. Tale specifica non appartiene, del resto, ad altre condotte criminose, che, com’è noto, sono punibili in caso di sussistenza di dolo o colpa. In secondo luogo, nella fattispecie di omessa bonifica lascia non poche riserve la previsione del cosiddetto “ravvedimento operoso”: la pena è diminuita dalla metà ai due terzi per chi si impegni a evitare che la condotta illecita sia portata a conseguenze ulteriori o provvede alla messa in sicurezza, bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi, “prima che sia dichiarata l’apertura del dibattimento di primo grado”. Ulteriore rilievo riguarda l’indeterminatezza di termini come “deterioramento significativo o misurabile”, “grave alterazione” che potrebbero rendere eccessivamente discrezionale la valutazione delle condotte.

Per quanto riguarda le pene, la riduzione fino a due terzi in assenza di dolo delle pene, porterebbe ad esempio, nel caso di disastro ambientale, a una pena detentiva massima di 5 anni, molto meno di quanto previsto per reati le cui conseguenze sociali e sanitarie sono ben inferiori rispetto alle fattispecie in esame. Infine, nell’ultimo passaggio alla Camera è stato soppresso il divieto di utilizzo della tecnica dell’Air gun ovvero le perforazioni esplosive per lo sfruttamento di idrocarburi (per cui si prevedeva la pena della reclusione da 1 a 3 anni). Resta chiaro, che, come ogni norma penale, la legge non ha effetto retroattivo. Rimangono quindi fuori dall’applicazione della legge le condotte criminose risalenti a prima dell’entrata in vigore della legge. Come resta da definire un importantissimo punto: la bonifica dei territori contaminati.

In definitiva, dopo quattro passaggi parlamentari e vent’anni di attesa, di fronte all’entità e alla gravità dell’emergenza ambientale nazionale, era lecito aspettarsi un provvedimento più contundente, che potesse concretizzarsi in una tutela integrale per l’ambiente e le comunità umane esposte a fattori di rischio ambientale. Anche questa volta, tuttavia, la logica del compromesso e l’effetto delle pressioni esercitate dalle lobbies, in primo luogo Confindustria e mayor dell’industria petrolifera hanno portato al raggiungimento di un risultato parziale, che speriamo possa essere sostanzialmente migliorato quando la politica, dismessa la sua veste di protezione di interessi di parte, rivestirà quelli, ormai impolverati, del difensore di interessi diffusi e generali.

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