FoTotempismo di Enzo Trifolelli

 

Lo spazio, il tempo, l’energia, la tridimensionalità: tutto, in un solo atto espositivo fotografico. Può essere la fotografia arte, oltre che rappresentazione? Rispondere di no a questa domanda significa ignorare il percorso che la fotografia ha fatto dalle avanguardie del 900 a oggi.

A cura di: Enzo Trifolelli da nikonschool

Quando la fotografia è arte? Questa è una domanda complessa, perché la definizione di arte è variabile e modulata nel tempo in relazione alla cultura che la genera. Credo che la fotografia sia arte quando esplora nuovi orizzonti per comunicare nuove sensazioni ed emozioni, con nuovi linguaggi, guardando al passato e proiettandosi al futuro. Con questo concetto inizia la mia ricerca e sperimentazione in fotografia di cui riassumo le linee teoriche che lo hanno ispirato.

Premessa
Gli elementi fondamentali di una fotografia sono tutt’oggi due: punto di ripresa e tempo di esposizione. Sintetizzando: spazio-tempo. Il punto di ripresa trasforma la visuale quadrimensionale dello spazio-tempo in una superficie bidimensionale in cui partecipa in maniera determinante anche il terzo elemento, cioè il tempo. La trasformazione dello spazio avviene con una resa prospettica che pone le sue origini nella camera obscura, predecessore della macchina fotografica ampiamente utilizzata dai pittori dal 500 in poi. Questa rispecchia le regole di prospettiva rinascimentale la quale ha influenzato, nei secoli, la cultura artistica occidentale e accompagnato la fotografia dalle origini a oggi.
Il movimento del futurismo, insieme alle altre avanguardie storiche del primo 900, ha liberato l’arte da questa limitazione, distruggendo la visione prospettica e dando luogo, in breve tempo, alle più grandi innovazioni nel campo artistico che mai siano state fatte precedentemente. Autori come Balla, Boccioni, Picasso e Kandinsky sono solo gli esempi più famosi.

Contemporaneamente i fratelli Bragaglia sperimentano la possibilità di rivelare fotograficamente il movimento di un soggetto in un singolo scatto.
Questa è la prima volta che ci si allontana dal concetto che fissa i movimenti per rivelarne, invece, la traiettoria ed è anche il primo esperimento spazio-temporale in cui il tempo gioca il ruolo di scopritore di fenomeni invisibili all’occhio umano.

Da un testo di Anton Giulio Bragaglia: “Noi vogliamo realizzare una rivoluzione, per un progresso nella fotografia: e questo per purificarla, nobilitarla ed elevarla veramente ad arte […]. Io affermo che con i mezzi della meccanica fotografica si possa fare l’arte solo se si supera la pedestre riproduzione fotografica […]”.
E ancora: “Eseguire una sola istantanea, delle innumerevoli che sono indispensabili a comporre un gesto, significa ritrarre un valore statico e non un valore dinamico; un valore di morte e non un valore di vita”.

Vi è, nei Bragaglia, non più una semplice registrazione e prelievo di porzione di realtà, come in tutte le fotografie a loro contemporanee e, direi, la maggioranza delle nostre attuali, ma un racconto nel tempo.
Lo stesso Anton Giulio fa notare che la stessa vibrazione e l’essenza riportata in superficie dalla fotografia fotodinamica, provocano nel fruitore un forte coinvolgimento emotivo: la fotodinamica non è quindi riproduzione ma creazione, arte. Comunque nel Fotodinamismo dei Bragaglia si rintraccia ancora un carattere essenzialmente conoscitivo che non si libera completamente dallo “specifico fotografico”, pur rappresentando una rivoluzione a cui, ancor oggi e dopo oltre 100 anni, non si è data la giusta considerazione in termini di portata storica.

Con la rivoluzione concettuale dei Dada e di Duchamp, si ha un ritorno alla ricerca e sperimentazione fotografica con Man Ray, Schad, Moholy-Nagy.
Poi tutto si ferma e bisogna arrivare agli anni 70 del secolo trascorso, per avere tramite Franco Vaccari, Mario Cresci, Ghirri, Mulas, Victor Burgin e altri, una nuova svolta nella ricerca e nella sperimentazione fotografica.

Franco Vaccari, con il suo libro “Fotografia e inconscio tecnologico”, riconsidera completamente il modo di fotografare. Secondo il suo pensiero: “La macchina fotografica opera sempre, con il proprio inconscio tecnologico, una strutturazione delle immagini secondo una serie di concetti che sono caratteristici dell’uomo occidentale rispetto allo spazio, al tempo, alla rappresentazione, alla memoria; la macchina fotografica ubbidisce, cioè, a un codice simbolico costituito dell’insieme delle convenzioni appartenenti e diffuse nelle cultura stessa in cui è sorto”. Con questi concetti Vaccari conferma la dipendenza della macchina fotografica dalla visione prospettica rinascimentale, e del fotografo dai canoni estetici derivati dalla pittura, con il loro evidente ripetersi.
Fondamentale, nel suo pensiero, anche la frase: “La fotografia è realmente tale se ci aiuta a scoprire quello che non sappiamo invece che a confermarci in quello che conosciamo”.

Ancora ai nostri giorni, i milioni di fotografie in circolazione, con tutte le varianti possibili di soggetti e di punti di ripresa, sono dominate dalla trasposizione prospettica rinascimentale e da tutte quelle regole estetiche di composizione derivate dall’arte pittorica classica.

La critica fotografica è, nella maggioranza dei casi, allineata a questi concetti e lascia poco spazio alla ricerca e alle novità, limitando a molti nuovi autori la possibilità di far conoscere le proprie opere. Si critica solamente quello che rientra nelle proprie conoscenze.

La componente tempo gioca, tuttora, il ruolo di fissare il momento di ripresa con l’esposizione più breve possibile, “l’istante alla Cartier-Bresson”. Non si è raggiunto, quindi, quel concetto di quarta dimensione, il tempo appunto, che il genio di Picasso ha introdotto nella pittura con il cubismo, indipendentemente dal momento in cui un altro genio, Albert Einstein, ne rivelava i principi teorici.

Il FoTotempismo
Per quanto finora esposto, la mia idea era di trovare il modo di liberami dalla costrizione prospettica della macchina fotografica, dalle regole estetiche prevalenti nella nostra attuale cultura, cercando nella fotografia una nuova libertà e il superamento dei percorsi fino ad ora effettuati.

Dopo numerosi studi ed esperimenti, mi sono reso conto che per raggiungere il mio scopo, dovevo costringere e forzare la macchina fotografica per rimuoverla dalla sua rigidità gestionale, agendo sia sul tempo di esposizione, sia, soprattutto, sullo spostamento rispetto al soggetto.

Così facendo do modo all’inconscio tecnologico della macchina di registrare quell’invisibile che era già nella mia mente, quello che l’occhio non vede e non potrà mai vedere, facendo così emergere un mondo fino ad ora sconosciuto nel campo fotografico, con una evidenziazione della quarta dimensione. Tutto questo ottenendolo con un singolo scatto fotografico e senza interventi di post-produzione capaci di alterare il contenuto originale. Ho chiamato questo concetto di riprese “FoTotempismo”, con evidente riferimento allo spazio-tempo.

Lo spazio è quello in cui sono immersi sia il soggetto sia l’autore.
Nel FoTotempismo, il tuttuno autore-fotocamera si sposta nello spazio durante l’atto espositivo e, dosando questa componente, costringe la fotocamera a una ripresa sia di prospettive multiple, sia a rappresentare i soggetti successivamente raggiunti e messi in campo, creando così una tridimensionalità fino ad ora sconosciuta.

Il tempo, nel FoTotempismo, non è solo il tempo fissato dell’apertura dell’otturatore, ma anche quello che la fotocamera è costretta a subire dall’autore, percorrendo un viaggio nello spazio-tempo con soste, accelerazioni e decelerazioni opportunamente dosate.

Questi movimenti della macchina fotografica fanno affiorare nuovi comportamenti “controllati” dell’inconscio tecnologico della stessa, così che più è forte la costrizione del mezzo, più è forte la reazione dell’inconscio tecnologico, generando una sinergia con risultati intensamente espressivi ed emotivi.

Le energie sprigionate dai soggetti vengono rivelate ed evidenziate dalle linee di forza, evidenza della smaterializzazione che li unisce a loro stessi, per poi, materializzandosi e fondendosi con tutta la scena, creare una sinergia di valenza moltiplicativa all’episodio.

Nella maggioranza delle fotografie attuali, la forma, cioè il tipo di rappresentazione, esaurisce il contenuto del soggetto, e ci basta osservarle una sola volta per comprenderle e trarne il senso ultimo e la verità finale. Con il FoTotempismo si rientra nel concetto di arte, lasciando che la forma sviluppi un incessante fluire di rappresentazioni e contenuti sempre differenti verso i fruitori e la certezza che ci sia sempre qualcos’altro che l’opera può narrare, perché per ogni interpretazione e comprensione restano sempre una ulteriore possibile lettura e un contenuto ancora non giunto in superficie.

Tutto questo dona all’opera quella vita che le permette di non morire al primo sguardo.

Il mondo che si apre con il FoTotempismo è dunque onirico e si avvicina più alla pittura che alla fotografia e come la pittura allontana dalla ripresa del soggetto quella sensazione di morte espressa da Roland Barthes nella sua Camera Chiara: “Ecco cosa avvicina la fotografia alla morte: il senso “macabro” di un essere – senza – futuro”. L’unica cosa a disposizione è un “è stato”, ormai non più modificabile. Andrzej Drag afferma: “Un’opera d’arte nasce dalla perfetta armonia tra il concepibile e l’inconcepibile. Il soggetto, il fotografo e il materiale, si uniscono per diventare qualcosa di unico”.

Il primo lavoro, effettuato con immagini in FoTotempismo, “Pierrot e la nostra società”, racconta la storia della società in cui viviamo.

Il dialogo duale che ogni immagine rappresenta è già espressione completa di un capitolo del racconto. Le immagini, espresse con il FoTotempismo, possono essere composte comprendendo anche altre prospettive del medesimo soggetto con eventuali inserimenti di altre realtà.

Pierrot e la nostra società
La tutela del Padre, della Madre, nella società dei poteri e del popolo, vista dagli occhi del Pierrot che è in noi. Si accorge degli abbagli, delle luci, delle feste, delle ricchezze e delle falsità rappresentate dalle maschere. Si inorridiscono gli animi, ma ancora persistono affascinanti falsità. I pagliacci ci invadono con il loro mondo “spettacolare”. Nonostante tutto cresciamo, rendendoci conto che dietro quelle maschere ci siamo anche noi e troviamo conforto nei sentimenti, che sono un accogliente approdo. Pierrot rimane comunque smarrito e non troverà più una soluzione, come sua consuetudine. La speranza dei giovani troverà riferimento nei saggi del passato, e poi… ; il futuro.

Attrezzatura e utilizzo
Per esprimere il concetto del FoTotempismo, mi sono avvalso nella tecnica di ripresa, da me messa a punto, della fotocamera Nikon D300 e degli obbiettivi AF–S Nikkor 10-24mm f/3,5-4,5G ED e AF-S Nikkor 18-135mm f/3,5–5,6G ED. I tempi di esposizione variano da 2 secondi a 3 minuti, mentre il modo di esposizione è manuale o programmato con il bilanciamento del bianco in automatico. La sensibilità utilizzata è la minima consentita, tra i 200 ISO e L 1.0.

Nell’intento di promuovere il FoTotempismo nel 2012 è stata allestita la prima esposizione dal titolo “Pierrot” a Palazzo Farnese di Caprarola (VT) .

Successivamente è nata la mostra itinerante “Pierrot e la nostra società” con esordio a Fiuggi (FR), presso la sala espositiva “Officine della Memoria e dell’Immagine”, dal 14 al 29 giugno 2014, su richiesta prolungata fino al 10 luglio.
La collezione esposta, di 19 (ad oggi 20) immagini, è stata stampata in Fine Art di dimensioni 150×100 cm, su carta 100% cotone.

Tutte le immagini in FoTotempismo non subiscono modifiche con programmi di post-produzione, ma solo “sviluppo” come se derivassero da pellicola.

L’occasione è gradita per complimentarmi con Nikon che mi accompagna fin dagli anni 70 dello scorso secolo con la Nikomat FT2, poi con la FE, la D300 in kit con l’obbiettivo 18-135mm e il 10-24mm. E ancora da agosto 2014 con l’acquisto di una Nikon D610 e infine da gennaio 2015 con la D750 in kit con l’obiettivo AF-S Nikkor 24-120mm f/4G ED VR.
Il giorno della mia nascita, il 22 novembre 1951 a Bassano in Teverina (VT), Nikon aveva già raggiunto il suo trentaquattresimo anniversario.

Ringrazio NIKON che con i suoi apparecchi mi ha permesso di esprimere al meglio quello che la mia mente vuole.

 

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