L’acqua al di là dello Stato

guerra-del-agua

Cochabamba. Foto tratta da Utopia la Palabra http://utopialapalabra.blogspot.it/

L’accesso all’acqua è un diritto (non solo umano) universale e la sua gestione dev’essere pubblica. Sembra quasi ovvio, no? Siamo certi, però, di avere ben chiaro cosa intendiamo con “pubblica”? Vogliamo una gestione dello Stato o della gente? La domanda, niente affatto banale, rimbalza dalla Bolivia, il paese che con la cosiddetta “guerra” di Cochabamba, la prima straordinaria ribellione del millennio, ha fatto scuola per i movimenti di tutto il pianeta. Il governo del presidente indigeno Evo Morales promuove all’Onu la Convenzione sul diritto all’acqua e afferma la Dichiarazione dei diritti della Pachamama. Anche la Terra ha i suoi diritti, esemplare. Eppure Morales ha tolto alla gente la responsabilità e il potere di gestire le risorse idriche per affidarle allo Stato plurinazionale boliviano. I comitati per l’acqua della zona sud di Cochabamba difendono gli usi e costumi tradizionali, cioè l’autonomia, l’autogoverno e le loro forme organizzative orizzontali e partecipative. Il racconto della migliore amica boliviana diComune-info
di Marcela Olivera

L’autonomia e l’orizzontalità sono elementi che fanno parte delle tradizionali forme organizzative boliviane. Insieme danno forma a una modalità reale, concreta, quotidiana di pensare tutto ciò che riguarda la collettività e di vivere la democrazia partecipativa [rimanendo] ai margini dello Stato e dei governi di turno.

I comitati per l’acqua della zona sud di Cochabamba, per dimensione la quarta città della Bolivia, rappresentano un compendio delle forme autonomiste e orizzontali boliviane. Questa rete organizzativa ancora attiva, è diventata visibile a seguito della “guerra dell’acqua” del 2000, quando una vasta mobilitazione popolare ha fermato i tentativi di privatizzare nella città il sistema pubblico dell’acqua.

Sebbene molti associno la guerra dell’acqua con il concetto di vera democrazia, in realtà una descrizione del genere potrebbe contenere una contraddizione in sé: una guerra – qualsiasi guerra – implica violenza, perdita di energia e risorse, morti, discordia e la funzione della democrazia (così come la conosciamo in Occidente) è proprio quella di evitare tutto questo. Tuttavia il conflitto non è stato una semplice lotta per la difesa di una risorsa. Uno dei principali motivi di quel(i) conflitto(i) è stato proprio la storica e continua lotta dei boliviani e delle boliviane per difendere il diritto a decidere in maniera orizzontale e autonoma le proprie necessità: vale a dire la loro necessità di vivere in una reale democrazia. Una necessità tanto forte quanto sempre procrastinata.

10_guerra_agua42

Nel settembre 1999, il Servicio Municipal de Agua Potable y Alcantarillado (SEMAPA -Servizio Municipale per l’Acqua Potabile e la rete fognaria) di Cochabamba è stato venduto al consorzio Aguas del Tunari, una società che aveva la multinazionale Bechtel come socio maggioritario. Questa operazione è stata la diretta conseguenza di un ampio processo di aggiustamenti strutturali che, a partire dalla metà degli anni ’80, sono stati diretti e richiesti ai paesi latinoamericani, Bolivia compresa, da parte della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Dopo la privatizzazione, i cittadini della valle boliviana si sono trovati a dover far fronte ad aumenti eccessivi delle tariffe. Al contempo le cooperative e i comitati per l’acqua si sono ritrovati a gestire servizi idrici senza concessioni statali: questo significa che Aguas del Tunari poteva perseguirli giuridicamente per concorrenza illegale e poteva anche appropriarsi dei loro impianti. Questo minaccioso panorama ha dato origine al Coordinamento per la Difesa dell’Acqua e della Vita (Coordinadora de Defensa del Agua y la Vida comunemente chiamata Coordinadora del Agua). Dopo vari mesi di trattative con lo Stato e di scontri con le forze armate, il Coordinamento è riuscito a espellere la multinazionale.

|

A partire dalla Guerra dell’Acqua di Cochabamba nel 2000, molte realtà si sono palesate per la prima volta e con chiarezza: ad esempio, un’infinità di organizzazioni che non sono strutturate secondo il modello di democrazia occidentale. È il caso dei Comitati per l’acqua della città di Cochabamba che hanno avuto un ruolo centrale nell’azione del Coordinamento dell’acqua e che dopo le lotte del 2000, assieme agli altri settori che vi hanno preso parte attivamente, hanno creato tra loro reti di collegamento ed hanno iniziato un processo di coordinamento e di cooperazione reciproca.

I Comitati per l’acqua di Cochabamba, sebbene siano diffusi in tutta l’area periurbana, hanno una tradizione particolarmente forte soprattutto nella zona sud della città. La zona sud comprende sei distretti ed è abitata da oltre duecentomila persone, la metà della popolazione della città. Secondo quanto riferito da Stefano, Arcidiacono della ONG CeVi, in questa zona ci sono tra i cento e i centoventi Comitati per l’acqua ai quali vanno aggiunti i 400 presenti in tutta l’area metropolitana di Cochabamba. Stiamo quindi parlando di migliaia di persone organizzate non solo ma anche sul problema dell’acqua.

04_guerra_agua57

Per quanto in Bolivia non esistano due organizzazioni che operino allo stesso modo, è chiaro che nel caso dell’acqua, le organizzazioni del tipo dei Comitati, conservano una visione dell’acqua come di un qualcosa vivo, divino, come la base della reciprocità e della complementarietà. Qualcosa che è di tutti e di nessuno, che viene percepito come espressione di flessibilità e adattabilità, che aiuta la natura a creare e a trasformare la vita e permette la riproduzione sociale. La crescita delle assemblee di questi Comitati per l’acqua riflette gli usi e costumi della comunità; queste organizzazioni sono un modo di creare in città comunità analoghe a quelle esistenti nelle zone rurali.

Molti fanno risalire all’impero incaico l’origine delle pratiche autonome adottate dai comitati per l’acqua, passando poi per il periodo coloniale fino ad arrivare ai nostri giorni. Di conseguenza, i comitati per l’acqua sono spesso considerati espressioni moderne di antiche pratiche comunitarie. In un articolo dal titolo Estado y Autonomia en Bolivia, una Interpretación Anarquista, pubblicato nel 2001 suBolpress, Carlos Crespo spiega che, in Bolivia, l’autonomia “non è un ideale da conseguire bensì una pratica quotidiana della popolazione, delle comunità e dei gruppi di affinità”. Questi processi orizzontali, costituiscono da sempre il modo di agire sociale e politico del boliviano nei confronti dello Stato e del potere imperante: fin dall’impero incaico e passando per il periodo coloniale, la repubblica e lo Stato plurinazionale.

Come accade per le lotte indigene e la loro specifica organizzazione sociale, anche i comitati per l’acqua rappresentano una visione antistatale dell’autonomia dato che sorgono nei quartieri e nelle zone ai margini della città, nei cosiddetti “cinturones de pobreza. In queste aree è presente una interessante mescolanza di soggetti. Ci sono i contadini immigrati, che hanno portato nelle loro nuove comunità, ora urbane, le tradizioni andine di lavoro solidale e a rotazione conosciuto come l’“ayni”. E ci sono i minatori trasferiti [in città] i quali hanno portato in queste comunità dimenticate dallo Stato, tutta l’esperienza organizzativa acquisita attraverso i sindacati delle miniere.

17_guerra_agua1

I Comitati per l’acqua, sono il risultato dello sviluppo e del rafforzamento del potere e dei processi di autonomia della gente. Si fondano su pratiche autonome che non sono riconosciute –non hanno alcuna necessità di esserlo – né dallo Stato né dalla comunità internazionale. I membri della comunità suddividono e distribuiscono i ruoli per offrire una risposta alla richiesta di fornire acqua al vicinato. Per tale motivo stanno creando reti che permettono loro di organizzarsi e condividere strategie su come accedere e approvvigionarsi di acqua nelle proprie comunità. Non sono organizzati contro i sistemi pubblici dell’acqua bensì a favoredel diritto di decidere come e fino a dove devono collegarsi a questi sistemi idrici. Sono in modo chiaro l’espressione più genuina di come fare politica in maniera autonoma.

Nei Comitati per l’acqua, i problemi sociali più importanti devono essere considerati e affrontati a livello comunitario: in questo si differenziano dall’ottica statale dei movimenti sociali che svolgono azioni “pedigüeñas” [di continua richiesta, ndt] (o di rivendicazione) da parte della comunità nei confronti dello Stato. Nei Comitati per l’acqua, la gente si organizza al fine di stabilire e migliorare le proprie condizioni di vita, non per chiedere favori ai governi di turno. Per questo motivo, la loro azione si spinge oltre al tema dell’acqua, perché sebbene siano stati creati attorno al problema dell’assenza, scarsità o abbondanza di questo elemento, essi si occupano anche di molte altre questioni: il benessere dei propri membri, la sicurezza, le feste, il calcio, ecc.

Tale è l’indipendenza nell’azione da parte dei Comitati per l’acqua che da qualcuno sono stati chiamati “zone liberate dallo Stato”. In Bolivia si vivono tempi confusi e i problemi che i Comitati per l’acqua devono affrontare sono molti: si va dalla limitatezza [delle risorse] tecniche e finanziarie dei Comitati alle trattative con lo Stato affinché sia rispettata la loro autonomia.

12_guerra_agua28

Il problema tecnico è trasversale ai diversi processi di formazione e potenziamento dei comitati per l’acqua di Cochabamba. Di questo c’è piena coscienza come è dimostrato dalla partecipazione di Gastón Zeballos, dirigente del comitato San Miguel Km 4, al Primo Scambio Internazionale di Esperienze tra operatori dell’acqua di Uruguay, Colombia e Bolivia che si è tenuto a Montevideo nell’ottobre 2013. Durante le giornate dell’URCOLBOL, i partecipanti boliviani hanno mostrato più interesse per gli aspetti tecnici relativi alla clorazione, potabilizzazione e trattamento delle acque reflue che per qualsiasi altro tema. Gastón Zeballos, che ha partecipato all’evento, dice: “Ci interessa di più l’aspetto tecnico perché gli indicatori sociali di cui disponiamo sono sufficienti. Nei nostri comitati c’è partecipazione, controllo sociale e rotazione. Quello che ci manca è il resto”.

I limiti economici sono importanti quanto quelli tecnici, soprattutto quando si tratta di progetti che non possono essere assolutamente realizzati con le sole proprie risorse economiche disponibili. È il caso ad esempio della rete fognaria nella zona corrispondente a ciascun comitato: oltre al problema del costo, deve essere necessariamente progettata come parte di un sistema più vasto che includa tutti gli altri sistemi, siano essi alternativi o meno. Questi progetti hanno indiscutibilmente bisogno dell’appoggio e dell’investimento statale: un appoggio che dovrebbe tradursi nella volontà di rispettare l’autonomia dei comitati per l’acqua, la loro specifica visione in merito alle esigenze e contestualmente [dare] un contributo effettivo in maniera tale che l’acqua e la sua appropriata gestione siano accessibili a tutti. Tuttavia, nei periodi elettorali, quella che predomina è un’ottica clientelare.

Quando nel 2006 Evo Morales è salito al potere, c’era la speranza che con il suo governo si sarebbero ampliati l’autonomia e l’autogoverno dei movimenti sociali. Invece è successo il contrario. Lo Stato ha intrapreso un processo di espansione verso nuovi settori: e l’acqua è uno di questi. C’è una crescente ingerenza dello Stato verso ambiti tradizionalmente al di fuori dalle sue prerogative. Questi interventi hanno avuto un impulso molto centralizzato. La recente legislazione in merito all’acqua, dà allo Stato il potere di decidere e intervenire sui sistemi comunitari e sulle pratiche autonome che finora non aveva mai riconosciuto.

Con la Convenzione sul Diritto all’Acqua, promossa presso l’ONU dal governo boliviano, e con la Dichiarazione dei Diritti della Madre Terra, il governo di Morales ha dichiarato che la natura è titolare di diritti. Creando questo nuovo ambito di “diritti”, vengono trasferiti allo Stato sia la responsabilità che il potere di gestire le risorse idriche della gente. Queste scelte sono state celebrate a livello internazionale e Morales è visto come il leader nelle riforme per l’ambiente, mentre questa sua politica trasferisce dalla gente allo Stato la responsabilità e il potere nella gestione dell’acqua. Le forme tradizionali di gestione dell’acqua vengono invalidate e svuotate di senso e coloro che cercano di accedere all’acqua devono ricorrere allo Stato, alla legge e ai tribunali.

Nel loro cammino, i comitati per l’acqua dovranno affrontare sfide tecniche ed economiche oltre che i continui tentativi di cooptazione da parte dello Stato. Tuttavia il loro successo, riassunto in modo simbolico nella guerra dell’acqua, ha dimostrato che, organizzandosi in modo orizzontale, i boliviani possono recuperare la capacità di amministrare i loro beni comuni in modo autonomo, contro il potere stabilito e le forme tradizionali di intendere la “democrazia”. Oggi la gente non si sta organizzando per fare richieste allo Stato, bensì per decidere e migliorare le condizioni in cui vive.

.

Traduzione per Comune-info: Daniela Cavallo

 

Tags:, , , , , , ,,

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *