Una nuova prescrizione salva i responsabili Montedison di un disastro ambientale senza precedenti
Una volta si faceva il bagno nel fiume, a Bussi sul Tirino, un paesino in provincia di Pescara, tra il Parco Nazionale del Gran Sasso e i Monti della Laga. Ci si bagnava, ma senza sapere esattamente cosa venisse scaricato in quelle acque dal vicino polo industriale che, dal 1901 ad oggi, ha visto avvicendarsi diversi proprietari: prima la «Franco-Svizzera di Elettricità», divenuta poi «Società Italiana di Elettrochimica», che lasciò il posto alla «Società Elettrochimica Novarese», fino all’arrivo negli anni ’60 della Montecatini/Montedison, che si concentrò sullo sfruttamento per la produzione di cloro, clorometani, cloruro ammonico, piombo tetraetile e trielina. Sostanze chimiche cha hanno trasformato il Sito di Bussi – certifica il ministero dell’Ambiente – in una delle 37 aree più inquinate d’Italia, perimetrate con decreto nel 2008 dopo i sequestri operati nell’area dal Corpo Forestale dello Stato nel 2007. Che trovarono 250mila metri cubi di sostanze tossiche e pericolose, sepolti a 5-6 metri di profondità in un terreno a due passi dal fiume Pescara.
Un disastro ambientale che, nel tempo, ha coinvolto falde acquifere, superficiali e profonde. Ma anche i terreni, oggi pieni di diossina, cloroformio, tricloroetilene, mercurio e altre sostanze cancerogene con valori migliaia di volte oltre i limiti. Su 43 parametri presi in esame in 35 sono stati riscontrati superamenti di legge per la falda superficiale e 23 per la falda profonda. E ancora, presenza di cloroformio in quantità 453mila volte superiori ai limiti consentiti, tricloroetilene 193mila volte fuori la soglia, mercurio 2100 volte, diclorometano in falda superficiale addirittura oltre 1 milione di volte il limite, tetracloruro di carbonio 666 mila volte nella falda superficiale, 3733 in quella profonda.
A diffondere questi dati è il Wwf sulla base dei monitoraggi ambientali, realizzati dalla Environ, per conto della Solvay, proprietaria del sito industriale dal 2001. Ma anche se la Solvay ha attivato sistemi di messa in sicurezza d’emergenza e interventi relativi alla contaminazione delle falde, sulla base del Testo Unico dell’Ambiente, è coinvolta: secondo la legge del 2006, infatti, anche il proprietario non responsabile della contaminazione di un sito è obbligato a certi adempimenti per la cosiddetta «Messa in Sicurezza d’Emergenza».
Come spiega Augusto De Sanctis, referente acque del Wwf Abruzzo, «la compromissione dell’ambiente a Bussi è veramente drammatica, uno dei posti peggiori in Italia e in Europa. Servono immediati provvedimenti per rendere completamente efficaci gli interventi di messa in sicurezza di emergenza in tutte le aree industriali e in quelle circostanti, per evitare la diffusione verso valle degli inquinanti. È un’area di enorme importanza idrogeologica posta tra il Parco Nazionale della Majella e il Parco Nazionale del Gran Sasso».
La ricchezza idrica che attirò in quella valle le grandi industrie elettriche nei primi del Novecento è, già compromessa: dal 2007 i pozzi a valle di Bussi sono stati chiusi, si teme per l’acqua potabile, per i terreni agricoli e per la salute umana. Si teme ma senza poter dimostrare le conseguenze sulla comunità, perché – come denunciano gli ambientalisti – ad oggi a Bussi non esiste un registro dei tumori, né si può contare su definitive banche dati delle ASL su dati di base come la mortalità della popolazione. Nel frattempo, si contano i danni: secondo l’Ispra ammontano a 8,5 miliardi di euro, con una contaminazione di circa 2 milioni di metri cubi di terreni e dell’acqua di falda.