Un’icona della città torna finalmente a casa

Viterbo – La pietà di Sebastiano del Piombo riconsegnata ai cittadini è un’avventura di infinito amore e intelligenza sottile

di Antonello Ricci da tusciaweb.eu

Antonello Ricci
Viterbo - Chiesa di San Francesco - La pietà di Sebastiano del Piombo torna a casa

Viterbo – Almeno fino all’avvento della Modernità (fatta di giri di valzer, di gazzette fruscianti sfogliate nel chiacchiericcio dei caffè ma soprattutto di ferrovie: Leopardi docet), i viaggiatori del Grand Tour di passo da e per Roma potevano decidere di sostare a Viterbo più a lungo di un semplice cambio di cavalli per due sole ragioni. Due soltanto.

Una di queste era certo la splendida tavola del “Cristo morto con nostra Signora che lo piagne” dipinta al principio del Cinquecento dal veneziano Sebastiano del Piombo, su commissione del viterbese Giovanni Botonti, per l’altare di famiglia nel transetto della chiesa di San Francesco.

L’altra meraviglia era invece la polla sulfurea del Bulicame, già immortalata nell’immaginario medievale da padre Dante (si vedano i canti XII e XIV dell’Inferno). Con una sorpresa che non tutti forse conoscono (restituita anni fa alla coscienza cittadina, in tutta la sua portata, dal valente storico dell’arte Andrea Alessi): e cioè che il bellissimo “paese tenebroso” (maliziosamente lodato a suo tempo dal Vasari) raffigurato da Sebastiano alla spalle delle due figure sacre, coi suoi sulfurei bagliori/vapori e le sue stecconate e quel borgo (con rovine di ponte romano a 5 arcate), altro non sarebbe che il Bulicame stesso. Bulicame al quadrato, voglio dire. E il ponte: ponte Camillario (per chi non lo sapesse: sta ancora lì, appena dietro le ex-Terme Inps). E la città murata che chiude l’orizzonte? Nient’altro che Viterbo.

La Pietà di Sebastiano, in altre parole, come paesaggio di paesaggio. Paesaggio “dentro” (col suo “contenuto” iconografico: Viterbo e il Bulicame ai tempi di Sebastiano, panorama idealizzato ma non troppo).

Ma anche paesaggio “fuori”: brano, e dei più pregni, del patrimonio visivo identitario viterbese (e non soltanto viterbese). Veduta locale ma non localista. Poiché, sarà bene non scordarlo, nei fondamenti storici e antropologici della nostra ormai millenaria civiltà, il paesaggio dipinto – sempre inteso come esplicita presa di coscienza di sé da parte di un territorio, come “manufatto” esemplare di gruppo umano che ascende al grado di civitas – sempre esprime il punto più alto di una consapevolezza civile, grado di civiltà tesaurizzato dal convivere della comunità.

Ecco, chiara come acqua fresca, la valenza forse più forte di questo ritorno nella sua sede originaria di una copia 1/1 della Pietà di Sebastiano. E, vi giuro, fa una certa impressione vedersela venire incontro dal braccio sinistro del transetto, questa meraviglia, mentre percorriamo a passi pieni di fretta e di rispetto la penombra della navata di San Francesco: così millimetricamente ricollocata nel rettangolo dell’altare Botonti, stretta tra il monumento funebre di Clemente IV e quello del cardinal Vicedomino Vicedomini; così “naturalmente” rifilata nel nido per cui Sebastiano la dipinse. Vero namework del grande pittore veneziano. Icona indiscussa dalla grande pittura di primo Cinquecento.

E non si storca il naso solo perché trattasi di copia: è proprio qui che si misura infatti la virtù estetico-conoscitiva inscritta in potenza nella risorsa tecnologica. Poiché questa copia high fidelity dialoga a distanza in modo assai intrigante con l’originale (tornato di recente disponibile al pubblico nel (finalmente) riaperto museo civico della Verità): e l’alta risoluzione digitale permette di tornare a cogliere dettagli e delizie che nell’originale, attualmente (debitamente) schermato, l’occhio fatica ormai a ritrovare. Questa copia riempie dunque un vuoto ben più grande del semplice alveo fisico, rettangolo svuotato e lasciato deserto fin dagli anni Settanta del secolo XIX.

Ma questa iniziativa, così umile e preziosa, voluta e realizzata da soggetti privati pieni di pubblico amore (in primis Tusciaweb, Takeoff e Sodalizio dei Facchini), restituisce anche, alla comunità tutta e al turista “virtuoso”, da oggi e per sempre, un prolungato drammatico fecondo brano della storia viterbese (ma leggi: italiana) recente: dalla confisca dei beni ecclesiastici all’indomani dell’annessione di Viterbo e la Tuscia al novello Regno d’Italia (1870) alla esposizione della pala nel neo-inaugurato museo civico (1912; con sede allora entro la chiesa di Santa Maria della Verità) ai giorni delle bombe alleate (1944) alle vicissitudini della messa in salvo di questa e altre opere pittoriche viterbesi di pregio (si pensi al quattrocentesco Cristo benedicente di Liberale da Verona) narrate in presa diretta nel suo diario dal protagonista dell’operazione, Emilio Lavagnino. Poi venne il restauro “critico” curato da Cesare Brandi per l’Istituto centrale per il restauro di Roma (1946) e l’approdo infine, tanti – troppi – anni dopo (eravamo già agli anni ’80 del secolo scorso, se la memoria non mi fa difetto) della Pietà nella nuova sede del museo civico (l’ex-convento della Verità).

Proprio come la fedele e amorevole Lassie di quel vecchio film, La Pietà di Sebastiano del Piombo, un’icona della città (la città allo specchio dell’arte), torna finalmente a casa. Altro che Vicenza, altro che Milano. Ma mi si faccia il piacere. Troppo a lungo ne eravamo rimasti orfani. Anche per questo rendiamo grazie, dal più profondo del cuore, ai virtuosi protagonisti di questa bella avventura. Fatta di infinito amore e intelligenza sottile. Grazie, grazie davvero, Carlo, Silvio, Massimo. Grazie e buon lavoro.

 Antonello Ricci


Ricordando Padre Giovanni Auda

PROGRAMMA DELLA GIORNATA DI SABATO 13 DICEMBRE

Ore 17 –  Solenne concelebrazione presieduta da monsignor Lino Fumagalli, vescovo di Viterbo

A seguire:

Illustrazione storico-artistica della Basilica

(prof. dr. Alessandro Marcoaldi).

Padre Giovanni Auda, un grande francescano, un testimone di un grande Amore

(padre Vittorio Trani, Ministro Provinciale OFM Conv).

Inaugurazione della Riproduzione della pala d’altare “La Pietà” di Sebastiano Del Piombo

che, per l’occasione, torna definitivamente nella sua sede originaria all’interno della Basilica di San Francesco. Evento realizzato dal quotidiano on-line Tusciaweb in collaborazione con Associazione culturale Take Off, Sodalizio Facchini di Santa Rosa e Tipografia Grazini & Mecarini (presentazione di Carlo Galeotti).

Esecuzione in anteprima dell’Inno a S. Rosa di Padre Tarcisio Auda 

(voce solista Luisa Stella, al pianoforte il M° Fabrizio Viti e Ensemble vocale “Il contrappunto” diretta da Fabrizio Bastianini che ha anche trascritto l’inno per coro polifonico) a cura delle associazioni “Orizzonte degli eventi”, “Take Off” e Sodalizio Facchini di Santa Rosa (saluti dei presidenti Fabrizio Viti, Silvio Cappelli e Massimo Mecarini).

12 dicembre, 2014 – 2.40
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