Il viaggio di Martina: vi racconto la mia Africa africa

MISSIONE UMANITARIA DI UNA STUDENTESSA CATANESE

26 novembre 2014

Dopo averlo tanto desiderato Martina Manoli, studentessa di medicina e fotografa, è riuscita a realizzare uno dei suoi sogni: fare un viaggio diverso, lontano dalle classiche capitali europee, a contatto con mondi e culture differenti dalla nostra. Ed è così che è partita con la Cooperazione Paesi Emergenti, COPE. Destinazione Tanzania, Africa.

Da dove nasce la voglia di fare un viaggio “alternativo”? “Ho sempre voluto fare questo tipo di viaggio. Quando ero più piccola stressavo i miei genitori con questa storia “Ci andiamo? Ci andiamo?” chiedevo ad ogni vacanza, ma non si è presentata mai l’occasione giusta. Che finalmente per me è arrivata quando mi hanno consigliato di rivolgermi al COPE”.

Com’è iniziata la tua avventura? “Inizialmente ero un po’ scettica perché solitamente questo tipo di organizzazioni richiede un grande preavviso e una lunga preparazione. Con il Cope invece ho trovato la formula ideale: hanno accettato la mia prenotazione dell’ultimo momento e ho frequentato per un week end un corso di preparazione. Sono partita con altri tre ragazzi italiani e da subito siamo stati seguiti sul posto da una volontaria che ci ha dato tutte le dritte necessarie”.

Quali sono state le prime impressioni a contatto con una nuova cultura? “Non appena entri in città ti ritrovi in una specie di mega villaggio, un agglomerato di case e di baracche, dove non esistono strade asfaltate, se non le poche collegate alle ambasciate o comunque strategiche. I palazzoni che si vedono sono tutti palazzi occidentali, hotel nella maggior parte dei casi, oppure sedi di multinazionali. E poi quello che colpisce è che c’è una confusione anarchica, le strade sono stracolme di gente vestita con abiti colorati, i kanga, che crea un effetto bellissimo.

Ci si rende subito conto di come è diverso lo stile di vita rispetto all’Italia. Non puoi assolutamente bere acqua, a volte i denti dovevamo lavarli con l’acqua potabile, ma poi si vedono le persone che vivono la che la prendono tranquillamente dal pozzo, senza troppi problemi e paranoie.  Inoltre non utilizzano le mani, ma portano tutto sulla testa, cestini e vasi”.

Com’è stata l’esperienza da volontaria? “E’ cominciata con un viaggio estenuante in treno e con un giro in un pickup tutto scassato sotto il cielo pieno di stelle, in mezzo alla foresta. La mattina ci svegliavamo presto, andavamo a visitare i progetti che il Cope ha sul territorio, per esempio quello di scolarizzazione e di diritto al cibo che prevede un asilo con una mensa. Chi non può permettersi di pagare la piccola somma richiesta ha la possibilità di contribuire al pasto portando le loro produzioni, grano e frumento per esempio.

Un altro progetto riguarda l’agricoltura: si punta ad avviare un’attività, in modo che quando il Cope va via i locali possano portarla avanti senza problemi. Un progetto che mi ha colpita molto è quello che vede una casa tessile dove molte donne hanno trovato lavoro. Coordinate da una volontaria le donne lavorano vestiti, borse e accessori e li vendono in giro per il Paese.Un modo per dare loro un futuro alternativo, spesso per toglierle dalle strade, per permettere una sorta di emancipazione.

Tra le altre attività abbiamo aiutato in lavori di manutenzione per una scuola, trasportando mattoni e legni da una parte all’altra, spalando la terra e aiutando fin dove è possibile”.

Un ricordo che porterai sempre con te? “Sicuramente uno dei ricordi sarà quello dei bambini, sono minuscoli e sveglissimi e quando ti vedono ti guardano come se avessero davanti un dinosauro, solo perché sei bianco!”.

 

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