Roberto Bolle: “I quarant’anni? Sto bene e mi go

La superstar della danza è il 24 al Mandela con uno spettacolo che unisce stili diversi

di FULVIO PALOSCIA

MA se l’altra “edizione” di Roberto Bolle & Friends (che culminò, nel 2009, in una notte al Giardino di Boboli così indimenticabile che il ballerino più amato del mondo ha voluto documentare in un dvd) vedeva la superstar circondata da colleghi di diverse prestigiose compagnie, stavolta ne è stata privilegiata una: l’American Ballet Theatre, di cui Bolle è principal.

“Abbiamo ideato un programma multitasking pensando a chi assisterà per la prima volta ad uno spettacolo di danza – spiega Bolle – Ci piace che i neofiti abbiano la possibilità di scegliere tra il classico e il contemporaneo secondo la propria indole, il proprio gusto. Non vogliamo imporre niente, ma solo proporre. E chi invece alla danza è già avvezzo, potrà scoprire pezzi nuovi “.

Ad esempio?
“Ci sarà Passage, una pièce che il coreografo Marco Pelle ha tratto da un video che ho realizzato con Fabrizio Ferri e che mi farà da scenografia, con la quale interagirò. Mentre con Massimiliano Volpini stiamo lavorano ad una creazione che prevede l’uso di una telecamera ad infrarossi: mi riprenderà in diretta creando effetti visivi in tempo reale grazie ad un software molto innovativo”.

La tecnologia ha “invaso” già molti settori dello spettacolo dal vivo. Che giovamento può portare alla danza?
“Già da tempo lavoro dal vivo con dei video, ma stavolta osiamo davvero di più. Lo facciamo sia per una questione estetica sia perché tutto ciò che è innovazione può essere utile, per portare un nuovo pubblico attratto da sguardi inediti sul futuro. Per quanto mi riguarda, io amo sperimentare e mi incuriosisce molto l’idea di un pas de deux con l’imponderabile, con effetti che sono l’amplificazione visiva del mio stesso movimento”.

A Firenze lei si esibirà in un palasport, il Mandela Forum. Come cambia il rapporto con il gesto in luoghi così ampi?
“Dal punto di vista emozionale cambia molto: ogni spazio procura sensazioni diverse, fare uno spettacolo all’Arena di Verona come mi è successo questa estate, davanti a 15 mila persone, è un batticuore continuo, una magia senza limiti. La danza ha una prerogativa molto bella: se fatta bene, ogni piccolo gesto arriva anche all’ultima fila di una gradinata lontana. Senza dubbio certi luoghi sono una sfida, ma tutto rimane uguale ad un teatro più piccolo, il nostro modo di interpretare è identico. Perché il gesto, quando è vero, arriva sempre”.

Durante l’estate Maggiodanza, la compagnia del Maggio Musicale Fiorentino, ha tenuto uno spettacolo, insieme ad Eleonora Abbagnato, allo Stadio Franchi. Troppo?

“Bè, strutture simili sono davvero molto difficili, impongono sfide rischiose, ci vogliono megaschermi per apprezzare davvero le coreografie. Però riesci a coinvolgere un pubblico ancora maggiore, e questo per me è vitale. Per quanto mi riguarda, io tendo a non precludermi mai niente. E’ un bel modo di rompere le barriere di pubblico”.

Lei è un artista dalle tante patrie. L’Italia, l’Inghilterra, la Francia. E l’America, della quale avrà con sé un pezzo in questo tour. Cos’ha portato di nuovo a Roberto Bolle l’esperienza statunitense?
“Mi ha messo duramente alla prova. Ogni anno facciamo due mesi intensi di spettacolo al Metropolitan, a New York, e lì sei davvero sotto i riflettori della danza mondiale con una performance al giorno e almeno due nuove produzioni la settimana. Un impegno gravoso ma bello. Io sono entrato nell’American Ballet Theatre non solo da principal, ma soprattutto come parte di un gruppo affiatato che, pur di portare in scena uno spettacolo con successo, non guarda troppo alle gerarchie: davanti alla difficoltà di una sfida siamo tutti alla pari; certo, c’è l’individualità, ognuno vuole dare il meglio, ma sempre nel rispetto di chi ti sta accanto. Tra di noi c’è un’amicizia che nasce dalla stima”.

E’ alla vigilia dei quarant’anni. Il tempo che passa è determinante per un ballerino.
“Tutto è molto soggettivo. Un compleanno non è che ti cambia troppo dal punto di vista artistico. Io sto vivendo un momento molto produttivo, di forma fisica ma anche di maturità, e il problema di chi fa danza spesso è che le due cose sono disgiunte: non fai in tempo ad acquisire saggezza interpretativa che devi lasciare le scene. Per adesso, il corpo continua a darmi ottime risposte. E io me lo godo”.

Corpo apparentemente poco adatto alla danza, soprattutto per l’altezza.
“Per alcune cose le difficoltà sono state maggiori: nei passi più veloci, o nel trovare un balance. Chi è di statura più piccola è avvantaggiato. Ma l’altezza è stata anche una grande fortuna: ha avuto un ruolo determinante nella presenza scenica, nell’armonia, nella forza evocativa dei personaggi. E mi ha permesso di lavorare con meravigliose partner femminili che condividono la mia statura, come Sylvie Guillem e Svetlana Zakharova”.

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