Diavoli e roghi nella Ronciglione del XV secolo

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Qualche anno fa, nel corso di una chiacchierata sui viaggiatori celebri transitati per la nostra città, il prof. Mariti ricordò che un suo collega tedesco aveva accennato a rapporti tra Martin Lutero e Ronciglione, dando per scontato che la vicenda fosse a noi molto nota. Sulla base di questa informazione è iniziata una ricerca che ha effettivamente confermato che Martin Lutero nell’inverno 1510-1511, dopo aver visitato i monasteri agostiniani d’Italia, nel suo viaggio verso Roma è passato da Ronciglione. La vera sorpresa è stata quella di rintracciare un interessante passo che riguarda Ronciglione nell’ultimo scritto del monaco protagonista della Riforma Protestante, un violento pamphlet contro la Chiesa di Roma dal titolo Wider das Papsttum zu Rom vom Teufel gestiftet (“Contro il Papato di Roma, fondato dal demonio”) pubblicato nel 1545, appena un anno prima della sua morte. In questo testo il monaco riporta un episodio di cui era venuto a conoscenza durante il suo soggiorno romano. Un fatto, scrive Lutero, “ dal quale chiunque può decidere cosa pensare di quei sacri mascalzoni e assassini della Santa Sede”, accaduto in un luogo “di nome Ronciglione a circa sette miglia tedesche da Roma”, dove al tempo di Paolo II “un funzionario papale che si rese conto della natura blasfema e diabolica del papa di Roma e della gentaglia al suo seguito” si rifiutò di corrispondergli le dovute tasse.
da carlozucchetti.it

BY • 19 OTTOBRE 2014 • IL DOMENICALECOMMENTS (0)110

Chi è questo “funzionario” di cui scrive Lutero? Di quale natura sono stati i suoi contrasti con la Chiesa? A nostro parere si tratta del Conte Deifobo dell’Anguillara, spregiudicato condottiero, signore di molti castelli della zona a nord di Roma, tra cui Vico, Caprarola, Capranica, Vetralla, Carbognano e Ronciglione, figlio dell’altrettanto spregiudicato Everso. Pio II nei suoi “Commentari” non sarà certo tenero con Everso:  « era per lui la rapina un diletto, avvezzo alle armi nocque non meno ai parenti e agli amici che ai nemici […] Bestemmiatore e crudele uccideva l’uomo con la stessa facilità che altri una pecora; escogitò supplizi dolorosissimi e mai prima conosciuti per martoriare i prigionieri che odiava. Mantenne con prede e latrocini quei sudditi che furono disposti a servirlo in armi, gli altri schiantò sotto il peso del più duro despotismo: dopo sei giorni di intenso lavoro nei propri campi, erano costretti, stanchi, per vivere liberi da tributi, a lavorare per lui nel settimo giorno che, secondo lui, si chiamava appunto domenica perché doveva esser dedicata al padrone, e il padrone diceva essere lui. Portava a forza nel suo palazzo le mogli e le figlie loro, e le prostituiva, procurando ovunque gravi disordini morali con stupri ed adulterii; né gli mancò la taccia infame dell’incesto, quasi avesse violato la castità delle figlie. Fustigò spesso i figli e li assalì col ferro, saccheggiò le chiese; timido con gli arditi, forte con i deboli, resistente alle fatiche e ai digiuni, se necessario; nel riposo ubriacone, ingordo e lussurioso…»

Sia Everso che Deifobo furono protagonisti di scorrerie e saccheggi in gran parte dell’Italia nel corso della metà del XV secolo e scelsero Ronciglione come loro residenza.

Nel luglio del 1456, qualche anno prima che accadessero i fatti ricordati da Martin Lutero, Everso aveva perduto Caprarola per opera di Menelao di Vico. Due anni dopo tenterà di riprendersela, provocando la reazione di Papa Callisto III che, per far cessare qualsiasi contrasto tra i due, avocò a sé il possesso dei castelli di Caprarola e di Vico.

Alla morte di Everso, avvenuta nel 1464, il figlio Deifobo prestò subito atto d’omaggio al nuovo papa Paolo II, con la promessa di consegnargli alcuni castelli e di mettere fine ai contrasti con le famiglie rivali. Tuttavia, non tenne fede ai suoi impegni, continuò le scorrerie nel territorio e l’anno successivo riconquistò Caprarola. Nel giugno di quell’anno il Papa, dopo avergli ingiunto inutilmente di restituire quei territori ai Vico, scomunicò in contumacia Deifobo dell’Anguillara.

Alcuni mesi dopo Paolo II inviò l’esercito pontificio sotto il comando di Federico da Montefeltro che in pochi giorni e senza combattere recuperò alla Chiesa il patrimonio degli Anguillara e mise in fuga Deifobo con i suoi. In tal modo tornarono alla Camera Apostolica, tra gli altri Vico, Carbognano,  Caprarola, Capranica, Vetralla, Blera e Ronciglione. Non ancora rassegnato, nell’agosto del 1484, Deifobo, approfittando della morte del papa Sisto IV, rientrò nel Lazio e si riprese Cerveteri, Anguillara Sabazia e occupò nuovamente le rocca di Ronciglione (e quella di Vetralla). Morirà poi nel 1490.

A proposito della condanna di Deifobo avvenuta nel 1465, Lutero scrive che “ il papa fece suonare le campane a morto per lui”, e lo scomunicò seguendo il rito previsto per gli eretici, con la maledizione dal pulpito e lo spegnimento delle luci della chiesa. Dopo la pronuncia della scomunica in contumacia il papa “fece preparare un ritratto del funzionario, con il capo circondato da molti diavoli, fece portare il dipinto in tribunale, e pronunciò l’accusa e la condanna al rogo. Subito dopo mise il ritratto sul fuoco e lo lasciò bruciare”.

Per nulla intimorito dalla condanna e dalle modalità con cui la sentenza era stata eseguita, il conte Deifobo “fece preparare un ritratto del papa e dei suoi cardinali, circondati da molti diavoli, riunì un tribunale e li accusò di essere i peggiori farabutti sulla faccia della terra”. Dopo aver sentite molte persone che confermarono le accuse, come riporta il riformatore tedesco, il Tribunale riconobbe le colpe degli imputati ed emise la condanna al rogo “e subito, nel nome di mille diavoli, il funzionario gettò il dipinto sul fuoco”.

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