La soprintendente Anna Imponente: Valorizziamo i tesori del Lazio

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13/10/2014 06:05 da iltempo.it

Realizzati quattro video dedicati ai «Luoghi sacri nascosti» del territorio. Un «viaggio» dalla Certosa di Trisulti alla chiesa di San Pietro a Tuscania

Beati gli antichi che non avevano antichità, sospirava Diderot. Ci viene in mente ascoltando Anna Imponente, soprintendente ai Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Lazio, che dice a Il Tempo: «Beato il direttore di museo, che espone e tutela opere pur eccelse ma racchiuse in un unico manufatto. Invece questa soprintendenza si trova a occuparsi di realtà artistiche sparse in un’intera regione. Un museo diffuso, che comprende dimore nobiliari così come chiese e conventi magari nascosti tra boschi, serviti da strade bianche, fuori dagli usuali circuiti turistici. Come Bassano Romano, alla ribalta solo ora che il suo Cristo michelangiolesco è andato in mostra a Roma». Per questo Imponente ha realizzato con i propri funzionari quattro video di 15 minuti (presto se ne aggiungeranno altri due) dedicati ai “Luoghi sacri nascosti del Lazio”.

Soprintendente, quali sono questi scrigni snobbati dai flussi turistici?

«La Certosa di Trisulti, in provincia di Frosinone, per cominciare. Ha otto secoli di storia, una farmacia settecentesca, dispensatrice alle popolazioni del territorio di medicamenti tratti da erbe officinali, decorata nel secolo successivo dal Balbi, passata dai certosini, cui venne assegnata nel XIII secolo, ai cistercensi, che la rilevarono a metà del ‘900. Come vede, un intreccio interessante di arte, storia, usanze. Ma ancora meno conosciuto è l’ex convento di San Francesco a Canino, nel Viterbese, probabile luogo di sosta del Poverello. E poi, quanti hanno potuto visitare la Badia di San Sebastiano, ad Alatri, dove passò San Benedetto nel viaggio da Subiaco a Montecassino? O il Santuario della Madonna del Tufo, a Rocca di Papa, dove si prega la Vergine che salvò miracolosamente un viandante dal crollo di un masso, inglobato a perenne memoria nella chiesa?».

Bastano questi supporti multimediali a rilanciare il Lazio sconosciuto?

«Certo che no, anche se la loro diffusione dal nostro sito è potente cassa di risonanza, come tutto su Internet. Però saranno l’antefatto di altre iniziative».

Quali, visto che molti di questi monumenti sono chiusi al pubblico?

«Alla conoscenza virtuale dei luoghi, dove peraltro abbiamo curato restauri, devono seguire visite guidate in loco. E soprattutto l’abitudine delle istituzioni a fare sistema. Sovrintendenza, Regione, Enti locali, Diocesi, organizzazioni turistiche come l’Opera Romana Pellegrinaggi devono collaborare per il rilancio».

Ci faccia un esempio virtuoso.

«La chiesa di San Pietro a Tuscania. Sorge su una necropoli etrusca, pensi dunque quanto possa intrigare i visitatori. Ebbene con il nuovo sindaco e l’Assotuscania abbiamo smosso le acque dell’indifferenza. Un incontro effettuato con il sottosegretario del Mibact, Ilaria Borletti Buitoni, può portare buoni risultati».

Che cosa invece non funziona nella organizzazione ministeriale?

«Il Lazio ha una prerogativa negativa. Le dimore storiche del Mibact – Villa d’Este a Tivoli, Palazzo Farnese a Caprarola, Villa Lante a Bagnaia, Palazzo Altieri a Oriolo, Palazzo Giustiniani a Bassano Romano che nel convento di San Vincenzo conserva appunto il Cristo Portacroce di Michelangelo – sono sì aperte al pubblico ma la gestione è delle sole soprintendenze architettoniche».

Una separazione di poteri, il contrario insomma del “fare sistema”.

«Proprio così. Noi storici dell’arte non abbiamo mano libera in questi luoghi per attività espositive o divulgative. Siamo ospiti, senza alcuna responsabilità di valorizzazione».

Il ministro Franceschini punta invece a ripristinare le soprintendenze uniche.

«Gli ho segnalato l’anomalia. Spero che in una soprintendenza mista anche gli storici dell’arte abbiano un ruolo-guida».

Lei su quali fondi conta?

«Dal 2011 a oggi abbiamo ottenuto un milione di euro per i restauri. In particolare, nel 2012 s’è registrata un’impennata verso l’alto, ora siamo alla metà, 500 mila euro».

Le bastano?

«Rispondo con la frase di un noto artista contemporaneo: gli artisti non sono mai poveri. Credo che le idee non abbiano prezzo. Se chi è al vertice è solidale con i colleghi e prova l’orgoglio di appartenenza, come ho visto accadere nei Musei Vaticani, si possono ottenere risultati. Certo, serve anche l’impegno a raggiungere flussi turistici emergenti, e penso ai paesi Bric o alla Cina, che devono contare su guide nella loro lingua. E servono sponsor, intrigati da manufatti che non hanno la risonanza di un Colosseo. Magari ditte del territorio, che forniscano i ponteggi per i restauri. Ma il lavoro comune resta la prima necessità per illuminare la nostra cosiddetta Italia minore finora oscurata».

Lidia Lombardi

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