VELENI IN MARE DOPO L’ESPOSTO IN COMUNE SONO STUPITI, IL SINDACO GIRA IL CASO ALL’ASSESSORE

Da Il Resto del Carlino, cronaca di Pesaro, del 19.09.2014

Briglia: «Intervengano Arpam e prefettura»

SORPRESI e attoniti. Sembrano reagire così in Municipio di fronte all’emergenza bombe chimiche sepolte davanti alle nostre coste. Come se la questione non fosse già cosa nota. Eppure, sia Ceriscioli che Giovanelli, ma anche l’allora presidente della Provincia Ricci, hanno firmato lettere dirette al Ministero della Difesa. Ci sono state interrogazioni parlamentari, audizioni in Senato. Ma interpellati ieri in Comune sulle future intenzioni, sembravano cadere dal pero. La questione, è vero, è di quelle spinose, difficili da risolvere da Pesaro. Ma forse i cittadini si aspettano qualcosa in più.
IL SINDACO Ricci, ieri impegnato in un convegno a Roma sulla sicurezza della scuola, ha passato la patata bollente al neo assessore all’Ambiente Rito Briglia, che dopo aver studiato velocemente le normative vigenti, ha scaricato a sua volta la palla all’Arpam e alla Prefettura. «Esiste un ente che ha il compito di valutare se gli ordigni siano pericolosi o no — ha dichiarato Briglia — ed è l’Arpam». Sì, ma la città deve ancora sapere esattamente dove si trovano, per questo il Coordinamento nazionale di bonifica ha chiesto un monitoraggio. «Il coordinamento di operazioni di questo genere spetta alla Prefettura – replica Briglia – ed è quest’ultima che deve attivarsi con il governo». Ed il Comune? «Non faremo mancare il nostro appoggio sia per far sentire la voce dei cittadini — promette Briglia — che nel sensibilizzare gli organi competenti affinché la questione sia affrontata. Ma dovremo lavorare tutti insieme».
POI, come succede spesso in Italia, ognuno dice la sua. «Accogliamo positivamente il lavoro di ricerca svolto dal professor Lelli — afferma Davide Ditommaso, coordinatore regionale di Forza Nuova —. E’ sicuramente un problema sottovalutato e la bonifica è un obiettivo irrinunciabile. Ma che dire dei veleni scaricati dalla Nato negli ultimi 20 anni, in particolare nella guerra in ex Jugoslavia. Non è un segreto — incalza Ditommaso — che nel 1999 aerei del Patto Atlantico abbiano scaricato tra Rimini e Lussino e tra Pesaro e Zara centinaia di ordigni che a tutt’oggi giacciono sul fondale, rappresentando una minaccia ben più grave di quelli del secondo conflitto mondiale. Si tratta di bombe a grappolo, con sostanze chimiche e fosforo».
Francesca Pedini

 

Da Il Resto del Carlino, cronaca di Pesaro, del 18.09.2014

Pesaro, 18 settembre 2014 – Ha coraggio il professor Alessandro Lelli. Non si ferma davanti a niente e per cercare una soluzione al problema delle bombe chimiche fatte scaricare da Hitler nei fondali davanti alle nostre spiagge, ora farà anche un esposto alla Procura della Repubblica. Parallelamente, la consigliera di “SiAmo Pesaro”, Roberta Crescentini, proporrà un’interrogazione in consiglio comunale perché si possa attivare al più presto un Numero Verde per la denuncia anonima in caso di ritrovamento durante le operazioni di pesca. Sono queste le ultime novità emerse nel corso dell’incontro pubblico organizzato martedì sera dal Movimento 5 Stelle nella sala del consiglio provinciale. Un appuntamento voluto per riportare l’attenzione su un problema scottante, sollevato quattro anni fa dal libro di Gianluca Di Feo, che ha ricostruito la mappa dei “Veleni di Stato” ancora abbandonati nei fondali italiani. Un’inchiesta che vede coinvolta in primo piano anche la nostra città, insieme a Molfetta, al lago di Vico Ronciglione, all’Università La Sapienza di Roma e tanti altri. Del problema in questi anni si sono interessati anche molti politici locali, scrivendo lettere al Ministero della Difesa, interrogazioni parlamentari, audizioni in Senato, ma senza cavare un ragno dal buco.

Ma il professor Lelli (nominato presidente del Coordinamento nazionale bonifica armi chimiche) non si rassegna e ieri, dopo aver esposto alla platea dati, fatti e documenti, ha annunciato la presentazione dell’esposto. «Sarà un documento ben circostanziato — assicura Lelli — e riporterà nel dettaglio quanto è accaduto fino ad oggi. L’obiettivo è che qualcuno prenda atto che il problema esiste, e chiederemo anche di valutare se ci sono responsabilità per la permanenza delle bombe fino ad oggi. Ci hanno anche accusato di essere terroristi perché potevamo danneggiare l’industria e il commercio collegati alle attività turistico balneari — afferma amaramente — ma io mi chiedo: è terrorista chi dice “lì c’è un ordigno”, o chi sa e non fa niente per valutare e rimuovere il pericolo?».

L’esposto inizialmente doveva essere firmato da Lelli, Nicolò Di Bella e Italo Campagnoli (che da anni si sono presi a cuore il problema), ma martedì sera, dopo aver ascoltato i fatti, quasi tutti i presenti hanno siglato il documento. Tante le domande del pubblico per cercare di capire la pericolosità. «Le bombe sono ancora lì e il nostro mare sta subendo i loro effetti — diceLelli —. Per questo occorre agire subito e avviare, come è successo in Puglia e nel Lazio, azioni di monitoraggio e bonifica. Sarebbe bene creare un comitato più ampio possibile ed invito i pesaresi a mobilitarsi».

di Francesca Pedini

 

 

Da Il Resto del Carlino, cronaca di Pesaro, del 16.09.2014
“Le bombe chimiche sepolte in mare. Rompiamo questo assordante silenzio”

L’intervista, il professor Lelli: “Dopo la denuncia del 2010 nulla si è fatto”

Pesaro, 16 settembre 2014 – «Le bombe chimiche sepolte davanti alle nostre coste? I nostri amministratori preferiscono mettere la testa sotto la sabbia, mentre in Lazio e in Puglia sono già iniziate le bonifiche». A parlare è il presidente del Coordinamento nazionale bonifica armi chimiche, il professor Alessandro Lelli, docente di Economia all’Università di Bologna ma pesarese d’adozione, che questa sera, invitato dal Movimento 5 Stelle, farà il punto sulla situazione nella sala del consiglio provinciale, in via Gramsci, alle 21. Il suo obiettivo e ripulire i nostri fondali dai “Veleni di Stato”, ovvero 4300 grandi bombe contenenti iprite ed arsenico che Hitler, il 10 agosto del 1944, diede ordine di disperdere in Adriatico proprio davanti a Pesaro e Cattolica.“Bagagli velenosi” su cui, fino adesso si è preferito non indagare troppo. Fino a che, nel 2010, è intervenuto “l’esplosivo” libro di Gianluca Di Feo, che ha ricostruito la mappa dei “Veleni di Stato” ancora abbandonati nei fondali italiani.

Professor Lelli, a quattro anni dalla denuncia cos’è cambiato? 
«Da noi poco o nulla purtroppo. Mentre a Molfetta e a Vico-Ronciglione, grazie anche alla forte mobilitazione civile, sono già iniziati i monitoraggi, e in qualche caso la bonifica».
Eppure sono state fatte interrogazioni parlamentari. Lei stesso è riuscito ad ottenere con il Coordinamento nazionale un’audizione in Commissione Ambiente in Senato con Di Feo…
«E’ vero. Inizialmente tutti i politici si appassionano al problema, ma poi si scontrano con la criticità della situazione, e tutto muore nel nulla».
Ma la situazione è critica?
«Certo, le bombe sono ancora lì. Non si sa se si siano aperte, o quanto siano pericolose. Quello che è certo è che i pescatori molto probabilmente le pescano ancora, poi ributtano tutto in mare, compreso il pescato».
Eppure verificare dove sono è possibile…
«Ci sono documenti ufficiali e noti che riportano le coordinate precise dei cimiteri sottomarini».
Sono le coordinate già contenute in una risposta del sottosegretario Tambroni all’interrogazione parlamentare dell’onorevole fanese Capalozza del 1951. Con le moderne tecnologie a disposizione, non dovrebbe essere difficile individuare le bombe.
«In realtà delle sei coordinate indicate, due risultano a terra, probabilmente per un errore di trascrizione, quindi andrebbero verificate. Ma con la tecnologia e i mezzi della Marina Militare, la loro individuazione dovrebbe essere veloce e non troppo costosa. Un’azione doverosa, soprattutto perché il mare è un elemento fondamentale per la nostra economia».
Nell’incontro di presentazione del libro di Di Feo, è intervenuta anche l’Arpam, e il dirigente Massimo Mariani ha evidenziato rischi e pericoli derivanti da arsenico e iprite…
«E’ vero. L’Arpam ha anche effettuato prelievi del sedimento in alcuni punti non rilevando, per l’arsenico (l’iprite non la si può rilevare in acqua) valori superiori a quelli consentiti, ma si è verificato solo su alcuni punti, forse pochi per comprendere se il problema esiste».
Cosa auspica?
«Che si crei una mobilitazione civile forte, perché più siamo, maggiore sarà la nostra forza. E continueremo a lottare. Ho già contatti con personalità importanti».

di Francesca Pedini

 

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