Schiavi del passato, schiavi di oggi

Il 23 agosto è stata la Giornata internazionale per la commemorazione della tratta degli schiavi e della sua abolizione, un’occasione di riflessione tanto sul passato quanto sul presente. Nel febbraio 1807 il Parlamento britannico abolì la tratta degli schiavi. Non è il primo atto del genere ad avere luogo in Europa o nelle Americhe, ma certamente è quello che segna con maggiore incisività un’inversione di rotta nel commercio legale di esseri umani.

Prima della Gran Bretagna, già nel 1792 la Danimarca aveva abolito la tratta degli schiavi non tanto per ragioni che potremmo definire “umanitarie”, quanto per lo scarso valore commerciale e la ridotta convenienza economica della pratica.

La Mauritania, piccolo Stato dell’Africa nord-occidentale solo nel 1980 ha abolito ufficialmente la schiavitù (l’ultimo al mondo a procedere normativamente in tal senso) ma attualmente si contano 600.000 “moderni schiavi”, pari al 20% della popolazione, ridotti in tale status per debiti o per un matrimonio forzato, o vittime della tratta. Una situazione parificata a quella di schiavitù anche per i numerosi immigrati impiegati come domestici nei Paesi del Golfo Persico, una condizione da tempo denunciata come inumana da diverse ong impegnate nel campo della tutela dei diritti umani.

L’Italia purtroppo può vantare anch’essa delle forti criticità in materia di tratta, essendo stato più volte identificato come un paese di destinazione, di transito e di origine per donne, bambini e uomini vittime del traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale o lavorativo.

Le prostitute delle periferie delle città e i braccianti nei campi di pomodori sono solo la faccia italiana di un nuovo tipo di schiavismo, basato anch’esso sullo sfruttamento e su condizioni disumane e degradanti del lavoro. (Miriam Rossi  da unimondo.orgleggi

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