Microcredito, una leva che può sollevare il mondo

Secondo il Rapporto 2014 Grameen Italia, grazie a questo strumento nel nostro Paese sono già nate 5 mila imprese

16/06/2014

di CARLO VALENTINI

Luisa Brunori e Muhammad Yunus, vicepresidente e fondatore di Grameen

Matteo Renzi vuole provocare un piccolo ma significativo balzo in avanti del Pil? E intende  davvero darsi da fare per la Neet generation? Allora sviluppi il microcredito. Lo sollecita Grameen Italia, la fondazione creata dall’economista Muhammad Yunus in Bangladesh a metà degli anni ‘70 e che poi si è sviluppata nel mondo. Grameen è diventata il profeta del microcredito anche in Italia e ha presentato all’università di Bologna il Rapporto 2014: una parte della popolazione non sta partecipando allo sviluppo del Pil poiché non è inserita nel processo produttivo, si tratta di un punto di debolezza che andrebbe trasformato in opportunità.
Per uscire dalla crisi, sostengono i seguaci italiani di Yunus, bisogna affrontare di petto la questione Neet generation – l’acronimo sta per Not (engaged) in education, employment or training -, ovvero una generazione di giovani che, appunto, non lavorano, non studiano e non si formano per lavorare.
«La generazione degli scoraggiati – dice Daniele Ferraguti, economista alla fondazione Grameen Italia – non solo costituisce una grande quantità di risorse umane totalmente inutilizzate ma al tempo stesso consuma risorse erodendo, per esempio, il risparmio delle famiglie di cui tali giovani rimangono a carico».
Questa fascia di popolazione è composta (anno 2012) da 2,2 milioni di giovani (23,9% del totale), con un aumento del 21,1% rispetto al 2008. Quindi un giovane su sei nel Nord Italia è Neet, così come lo è un giovane su cinque al Centro e uno su tre al Sud.
L’economia e la politica si dimenticano della Neet generation. E più in generale di chi è escluso dai processi economici, tanto che una statistica di Grameen Italia è impietosa: un quarto dei residenti in Italia (sono compresi gli extracomunitari) non possiede un conto corrente presso un istituto di credito (in Europa sono il 16%). A cui va aggiunto chi possiede un conto corrente ma non riesce ad ottenere nemmeno un credito di minimo ammontare a causa della mancanza di garanzie reali o delle microdimensioni imprenditoriali.
Il microcredito cerca di sopperire a questo analfabetismo bancario. Nel 2012 i microcrediti erogati in Italia sono stati 7.167 (5.493 nel 2011) per un ammontare di 63 milioni di euro (5 milioni in più dell’anno precedente). Ma è stata soddisfatto solo il 45,9% della domanda. Inoltre una fetta consistente (75% del numero di microcrediti) è stata erogata per finalità socio-assistenziali (ma il 60% dell’ammontare delle risorse è stato destinato a progetti imprenditoriali). Un rapporto che dovrebbe evolversi a favore di questi ultimi per trasformare il microcredito in social business.
«Il social business – dice Luisa Brunori, docente all’università di Bologna e vice-presidente di Grameen Italia – è lo strumento più adeguato per risolvere problemi sociali attraverso la creazione di imprese “no loss, no dividend”. Il denaro in questo caso non viene “premiato” di per sé ma viene utilizzato per produrre altro denaro da destinare a esigenze sociali sia come creazione di lavoro sia come risposta a un problema determinato. Un aspetto cruciale del microcredito è la fiducia. Fiducia in se stessi ad intraprendere qualsiasi iniziativa, fiducia scambiata con i pari del gruppo, fiducia che si diffonde nella comunità».
Perché allargare ai Paesi occidentali il microcredito nato per rispondere alle esigenze di Paesi meno sviluppati?
«Sono due – risponde Luisa Brunori – le motivazioni che spingono all’applicazione del microcredito: nei Paesi in via di sviluppo è la lotta per la sopravvivenza, nei Paesi a economia avanzata si parla invece di lotta contro l’esclusione sociale».
In Italia vi sono già oltre 5 mila imprese nate grazie al microcredito. Gli operatori specializzati in questo tassello finanziario sono 712, per lo più partecipati o supportati da Confidi (55,7%), banche (31,4), associazioni e fondazioni no profit (8,7), enti pubblici (2,9), imprese non bancarie (1,1).
Tra gli operatori più attivi è PerMicro, che ha finanziato finora l’avvio di varie attività commerciali, negozi, sartorie, alimentari, parrucchieri. Crediti concessi a giovani tra i 25 e i 35 anni (39%), sotto i 25 anni (10%), stranieri (25%). È stato proprio con un prestito di 20 mila euro che Asli Haddas, italiana di origine eritrea, è riuscita ad aprire un caffè letterario poi ha sviluppato la propria attività fino a inaugurare il Gogol Ostello, a Milano. Un caso tra i tanti. Ma pure alcune Camere di Commercio (per esempio a Padova e Avellino), banche di credito cooperativo (Roma), organizzazioni no profit (Micropoli a Empoli, Microbo a Bologna e così via) si stanno impegnando su questo fronte.
Laddove applicato, il tasso medio di interesse è del 3%, ma è più contenuto nel caso del microcredito socio-assistenziale, dove raggiunge un valore medio del 2,5%. Quanto alle insolvenze, l’incidenza è del 14,1%.
La legge ha regolamentato il settore: prevede che l’ammontare del credito (per le iniziative imprenditoriali) non superi i 25 mila euro e non sia assistito da garanzie reali. Ma siamo ancora (anche qui) pigri nei confronti dell’Europa, che stanzia fondi rilevanti che vengono utilizzati solo in parte.
Il microcredito chiede più attenzione e soprattutto vorrebbe essere vissuto come opportunità e supporto dello sviluppo dell’economia (e del Pil). Conclude Luisa Brunori: «La carità non è la giusta risposta alla povertà, essa non fa che aiutare la povertà a durare, crea dipendenza e smorza le iniziative individuali volte ad infrangere il muro dell’indigenza. La giusta risposta alla povertà è la liberazione delle energie e della creatività in ogni essere umano».
Adesso il microcredito incomincia ad arrivare anche sul web. Una delle prime e più diffuse piattaforme èkiva.org, che concede prestiti a persone e gruppi di persone che non riescono ad accedere al credito attraverso i canali tradizionali. Chi richiede il finanziamento deve raccontare la sua storia e il suo progetto sul portale. A loro volta i visitatori del sito posso effettuare microprestiti del valore di 25 dollari a favore di un progetto che scelgono di sostenere, e per i quali verranno ripagati da colui che ne ha beneficiato secondo una tempistica prestabilita. È possibile scegliere tra diverse tipologie di progetti da finanziare, ad esempio decidere di aiutare donne imprenditrici, giovani, persone che vivono in zone di guerra, gruppi a rischio o progetti sostenibili dal punto di vista ambientale. Kiva sostiene che il 99% dei prestiti viene rimborsato, anche per questo si è espansa in 73 Paesi e ha già concesso prestiti per 491 milioni di dollari.

(riproduzione riservata)

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