La spesa per l’acqua in bottiglia raggiunge quella per il vino. Ecco perché

 La spesa per l'acqua in bottiglia raggiunge quella per il vino. Ecco perché
Le tariffe italiane per il servizio idrico sono le più basse d’Europa, ma la nostra rete “fa acqua” da tutte le parti: abbiamo problemi di sprechi, smaltimento e depurazione, ci sono troppi soggetti gestori e molta confusione. Servirebbero ingenti investimenti per risanare la situazione. E intanto la spesa pro capite per l’acqua in bottiglia si impenna.
Più che la sorpresa del sorpasso quasi alle porte dell’acqua minerale sul vino – si parla di spesa per famiglia – fa notizia che il fenomeno avvenga in un Paese che ha le tariffe più basse d’Europa per il servizio idrico. L’analisi incrociata di un recente rapporto Coldiretti sulla base degli ultimi dati ISTAT e di quelli contenuti nel quarto numero del Diario della transizione CENSIS fa riflettere non poco sul bere in Italia.

Partiamo dal rapporto tra i consumi di acqua e vino. Che il secondo sia in calo – è sceso sotto la soglia dei 40 litri annui procapite – è fatto acclarato e suscita analisi terrorizzate (in parte, sbagliando). Ma la Coldiretti ha registrato che ogni famiglia spende 11,96 euro al mese per acquistare acqua minerale, praticamente a ridosso della spesa per il vino, che è di 12,01 euro. Al di là che il budget utilizzato per vino e acqua vale il 55% della spesa complessiva in bevande (43,40 euro al mese), si è calcolata anche la quota a seconda delle aree: 12,22 euro nel Nord Ovest; 11,38 nel Nord Est; 12,38 nel Centro Italia; 11,53 nel Mezzogiorno e 12,43 nelle Isole.

Tutto questo, come dicevamo, nonostante l’acqua del rubinetto costi relativamente poco: 85 centesimi al giorno per famiglia. Le tariffe italiane per il servizio idrico sono le più basse d’Europa. In media una famiglia di tre persone – con un consumo annuo di 180 metri cubi – spende 307 euro all’anno, 25,6 al mese: più o meno il costo di una tazzina di caffè al bar (85 centesimi). Si tratta dello 0,9% della spesa media mensile. Per lo stesso servizio, in Spagna si spendono 330 euro all’anno, in Francia 700, in Austria, Germania e Regno Unito 770. Per la cronaca, dei 307 euro solo 143 euro riguardano il servizio di acquedotto. Il resto serve per pagare fognature e depurazione. Quindi, per avere acqua potabile in casa, una famiglia italiana spende circa 40 centesimi al giorno. Curiosamente tutto questo non ha impedito la sedimentazione nel tempo di tassi di morosità molto più elevati di quelli di energia elettrica e gas: 3,8 miliardi di euro di crediti scaduti, di cui 1,1 miliardi da oltre 24 mesi. Una cifra da capogiro, a pensarci.

Ma torniamo all’acqua in bottiglia: nonostante la crisi, siamo il Paese europeo con il più elevato consumo pro-capite di acqua e addirittura il secondo al mondo. Il 61,8% delle famiglie italiane acquista acqua minerale e il consumo medio è pari a 192 litri all’anno per persona. Il motivo principale? Lo spiega il CENSIS: il 31,2% della popolazione non si fida dell’acqua che esce dal rubinetto della propria abitazione: una percentuale che sale nettamente al Sud (si arriva al 60,4% in Sicilia), ma che aumenta ovunque nel caso di allarmi connessi alla potabilità (si pensi ai casi di acqua contenente arsenico). Siamo un Paese ricco di acqua, ma ne sprechiamo quantità enormi. Le nostre infrastrutture idriche sono carenti, obsolete e inadeguate. Le perdite di rete sono pari al 31,9% e ciò costringe ad aumentare il prelievo di acqua alla fonte impoverendo la risorsa ed esponendo alcuni territori a cronici disservizi: l’8,9% della popolazione italiana denuncia interruzioni di erogazione, con punte del 29,2% in Calabria. Anche in questo caso il confronto con i partner europei è impietoso: in Germania le perdite di rete sono pari al 6,5%, in Inghilterra e Galles al 15,5%, in Francia al 20,9%.

Il 20% delle acque reflue viene smaltito senza essere depurato, finendo per inquinare mari, fiumi e laghi del Belpaese. Proprio per questa mancata depurazione abbiamo già avuto due condanne in sede europea. Una quota consistente di popolazione (il 15%, con punte del 22% nel Mezzogiorno) non è allacciata ad alcuna rete fognaria e il 30% non è collegato a un impianto di depurazione. Anche nei Comuni capoluogo il 10% della popolazione non è servito da depuratore. Non bastasse, il servizio idrico in Italia fa capo a una platea eterogenea di soggetti gestori. Sono più di 300, con una grande variabilità di dimensioni e natura giuridica. Si va dal gestore di un solo Comune di 500 abitanti all’Acquedotto Pugliese (100% di proprietà della Regione) che serve 4 milioni di abitanti. L’11% dei Comuni se ne occupa direttamente in economia e non tramite un gestore vero e proprio. Da noi la presenza dell’impresa privata nella gestione, assoluta protagonista nel Regno Unito e maggioritaria in Francia e Spagna, è confinata a un ruolo marginale.

Il problema vero? Per recuperare il terreno perduto, rimettendo a posto acquedotti colabrodo e realizzando reti fognarie e impianti di depurazione delle acque reflue adeguati, servono investimenti rilevanti. Anche da questo punto di vista il confronto con l’Europa è preoccupante. In Italia si investe ogni anno l’equivalente di 30 euro per abitante, in Germania 80 euro, in Francia 90 euro, nel Regno Unito 100 euro. Si stima che, per riportare il livello delle infrastrutture idriche italiane in linea con gli standard europei, bisognerebbe investire 65 miliardi di euro in trent’anni: una cifra ingente, equivalente ad esempio a oltre 7 volte il costo della tratta internazionale della linea ferroviaria Torino-Lione tra Francia e Italia. Praticamente impossibile.

a cura di Maurizio Bertera

Lunedì, 09 Giugno 2014 17:16

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