Il dibattito sulla formazione del governo e del programma: le proposte del Nuovo Centro Destra

Cafevirtuel pubblica il dibattito e le proposte programmatiche per la formazione del governo.

Il Nuovo Centro Destra propone: PROGRAMMA DETTAGLIATO, MAGGIORANZA UNITA E MODIFICHE ALLA BOZZA DI RIFORMA ELETTORALE 

di Stefano Carluccio

NCD a Renzi “Il governo non è la segreteria del PD”

Sergio Pizzolante (NCD) anticipa i temi del confronto con Matteo Renzi e il quadro politico per la formazione del governo

“Il governo potrà nascere se ci sarà una maggioranza. Affinchè ci sia una maggioranza ci deve essere un programma chiaro articolato, punto per punto”.

Alla vigilia dell’incontro tra Matteo Renzi, incaricato con riserva di tentare la costruzione di un governo che dice “essere di legislatura” e le forze politiche che dovrebbero dar vita alla maggioranza, Sergio Pizzolante, deputato del NCD, già socialista e craxiano, molto vicino a Fabrizio Cicchitto e molto ascoltato nei vertici della sua forza politica, peraltro membro del comitato editoriale della Critica Sociale, illustra alla rivista la posizione che il NCD, alleato indispensabile a Matteo Renzi, terrà negli incontri che già da oggi dovrebbero vedere di fronte le due parti. Pizzolante sottolinea due punti invalicabili per il NCD: la precisione del programma e l’unità della maggioranza nel confronto parlamentare sulle riforme istituzionali a partire dalla legge elettorale. “Occorre – dice Pizzolante – un programma condiviso nei dettagli, occorre una maggioranza certa, e Renzi deve capire che nel momento in cui chiude un accordo sul programma e si definisce il profilo della maggioranza, questi due elementi devono avere per lui un valore “sacrale”.

Programma Per noi i temi centrali sono:

– Un piano per l’abbattimento dell’oppressione fiscale.

– Un ridimensionamento reale e molto duro del peso della burocrazia favorendo controlli ex post in luogo della farraginosità della selva di adempimenti ex ante.

– Un piano shock di abbattimento del debito attraverso un programma deciso di dismissioni e di privatizzazioni pubblici sia mobili che immobili.

– Una riforma del mercato del lavoro che non sia impostata sul Job Act che propone Renzi, perché quel piano creerebbe in pochi mesi circa 3 milioni di disoccupati: il contratto lungo di lavoro con il mantenimento dell’articolo 18 significa introdurre nuove rigidità nel mercato; e i piani di settore che propone – di antica memoria – sono un’operazione di spesa pubblica che non ci possiamo permettere. La riforma del mercato del lavoro deve prevedere una regolazione flessibile in entrata ed una regolazione flessibile in uscita. L’apprendistato deve essere il il contratto principale per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. La riforma del mercato del lavoro nel segno della flessibilità non può che essere accompagnata da una parallela riforma degli ammortizzatori sociali e del welfare.

– Un piano di promozione e di sostegno alla volontà delle persone di creare lavoro, una implementazione, un investimento a favore di tutte le iniziative, pubbliche e private, ma soprattutto private, che operano sulla formazione e sulla creazione di lavoro e sull’ ingresso nel mondo del lavoro.

– Una riforma della giustizia “possibile”. Non siamo in grado ora di fare una riforma costituzionale della giustizia, però il tema del riequilibrio dei poteri, il tema della carcerazione preventiva, ad esempio, sono temi che devono entrare nel programma di governo.

 

Il profilo politico della maggioranza 

 

Il profilo politico deve essere chiarissimo, i confini della maggioranza devono essere netti e stabili. Primo, perché è evidente che se per le riforme istituzionali e costituzionali occorre una maggioranza più ampia, queste non possono che essere condivise e valutate dalla maggioranza di governo, altrimenti la strada diventa corta. Deve cioè essere chiaro sin da subito che le proposte che si sottopongono al Parlamento e alle forze politiche debbono essere condivise all’interno della maggioranza di governo.

 

Legge elettorale

 

La legge elettorale ha preso una forma. Ora si tratta di apportare le necessarie ed indispensabili modifiche. Innanzitutto il tetto per raggiungere il premio di maggioranza è troppo basso, deve superare, invece, il 40 per cento. Non esiste che una coalizione che prende il 37 per cento dei voti, possa avere il 57 per cento dei seggi.

E non esiste neppure che gli alleati di un partito che prendesse il 20 per cento, per ipotesi, possa “godere” del risultato dei suoi alleati che non superano il 4 per cento senza che queste forze, che in tal modo concorrono a far vincere il premio di maggioranza, non siano nemmeno rappresentate. Sarebbe unacannibalizzazione dei partiti minori che sono utili per prendere il premio ma che non possono entrare in Parlamento. E’ una distorsione di rappresentanza improponibile, inaccettabile. Al di là dei rapporti squilibrati nella coalizione, c’è una propria e vera distorsione della rappresentanza democratica, con un partito del 20 per cento che in teoria potrebbe giungere al 57 per cento dei seggi. Se a questo si aggiunge il dato reale, come dimostrano anche le elezioni in Sardegna, dell’astensionismo che ormai ha raggiunto il 50 per cento dell’elettorato, un partito del 10 per cento – come capacità di rappresentanza popolare – avrebbe la maggioranza assoluta dell’assemblea che fa i governi. E’ mostruoso. Il divario tra istituzioni – politica – Stato ed elettori, e popolo, diverrebbe incolmabile ed ingestibile. Occorrono dunque delle correzioni di fondo alla prima ipotesi di riforma della legge elettorale che costituiscano delle clausole di salvaguardia dei principi minimi e basilari della rappresentanza popolare.

 

L’Europa

Per uscire dalla crisi abbiamo bisogno di agire su due terreni, uno è quello dell’abbattimento del debito (ridimensionamento della burocrazia, riduzione delle tasse, dimissioni e privatizzazioni, riforma del mercato del lavoro), ma l’altro è quello di sapere che il 50 per cento della nostra crisi sopraggiunge dall’Europa e da come l’Italia sta in Europa. Ad minima, ovvero il “minimo sindacale” che deve essere negli impegni del governo, è la volontà di sforare il 3 per cento per le spese relative agli investimenti produttivi. Ripeto, questo è un “minimo sindacale” che il governo deve ottenere in Europa.
Il problema vero, invece, è quello relativo a come l’Italia sta in Europa. Se si vuole mettere in piedi un governo, addirittura di legislatura, è evidente che il ruolo dell’Italia deve essere incisivo, innanzitutto in Europa,  capace di portare a dei risultati concreti nel campo della costruzione dell’Europa politica, della democrazia europea e non solo della moneta. O il governo saprà dare un’accelerata alla costruzione democratica europea, oppure sarò lo stesso governo a fallire il suo obiettivo nei confronti della capacità di uscire dalla crisi ed non afferrerà le opportunità della ripresa. Ripeto: il 50 per cento della nostra crisi è importata dall’Europa. Questa non è una crisi di “congiuntura lunga”, è una crisi di sistema, una crisi economica dalle origini politiche. L’Europa non ha uno status politico, non è né una federazione, nè una confederazione, ma un’Unione basata su trattati con una Banca centrale e una moneta unica. Non sta in piedi. Uno status politico dell’Unione Europea è indispensabile  anche ad una capacità di autonomia politica  monetaria, come l’hanno gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, i paesi dell’Asia, la Russia ecc. Se il governo dovesse fallire l’obiettivo della riforma politica dell’Europa, avrebbe fallito anche contro la crisi. La crisi vince, il governo perde. E la crisi non vincerebbe solo in Italia, ma anche in Germania, dove si sentono già degli scricchiolii, o in Francia, che è messa come noi, anche se non se ne parla come noi.

Nel mondo è in corso da anni un processo di trasformazione dei rapporti dei poteri e della loro natura. Questo è il cuore del problema che deve essere nella consapevolezza e nella capacità di reazione del governo.Non bastano i compiti a casa sull’austerity, c’è ben altro e ben di più da fare.

 

Il quadro politico e le prospettive

 

In Germania ci hanno messo due mesi per fare il programma di governo, e in Italia sembrano essere troppi due giorni. Comunque, credo che nell’arco di una settimana si potrà costruire un programma serio. Renzi deve capire che adesso non si gioca più, il governo non è la segreteria del PD, il governo è una cosa seria. 

Occorre dunque un programma condiviso nei dettagli, occorre una maggioranza certa, e Renzi deve capire che nel momento in cui chiude un accordo sul programma e si definisce il profilo della maggioranza, questi due elementi devono avere per lui un valore “sacrale”.

Perché se sarà così, avremo di fronte una legislatura di quattro anni e spero di successo. Se invece così non dovesse essere, sarebbe un fallimento per tutti noi, ma anche per lui, per Renzi. Non pensi di salvarsi da un fallimento, qui non siamo di fronte ad una normale fase di crisi, qui siamo di fronte ad una crisi di sistema. Questa è l’ultima possibilità che le forze politiche responsabili hanno ancora per salvare il Paese e anche se stesse. E’ l’ultimo treno. Se il treno dovesse deragliare la prospettiva per il Paese sarebbe drammatica perché a quel punto ci sarebbe una reazione di protesta e di populismi dalla quale non si salverebbe nessuno. Nemmeno Renzi. (nella foto: Sergio Pizzolante)

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