Akram Khan, danza meticcia di un genio fluido. Oriente e Occidente in un eterno mix

 Akram Khan, danza meticcia di un genio fluido. Oriente e Occidente in un eterno mix

da romarepubblica.it

Prendete un uomo sgusciante, destinato alle contaminazioni, depositario di intrecci di sapere, fisicamente ben piantato nel suolo in virtù della tradizione della danza del Bangladesh (leggi: il Kathak) per via di profonde radici famigliari ma anche assai incline all’elevazione e al linguaggio aereo delle performance europee e della breakdance in virtù di una definitiva sua naturalizzazione londinese. Fate i conti con un artista cosmopolita di questo genere (sfuggente a forme, scuole, tendenze, barriere etniche e distinguo coreografici), misuratevi con Akram Hossain Khan più sinteticamente noto come Akram Khan, oggi quasi quarantenne, un fluido e inclassificabile genio che accosta la cultura religiosa dell’Oriente del suo imprinting alle dinamiche della fisicità del suo Occidente d’approdo, e che come niente abbina la sua espressione motoria a quella della danzatriceétoile Sylvie Guillem (InI), o a quella dell’attrice Juliette Binoche (Sacred Monsters), arrivando a plasmare un memorabile capolavoro della sincronia ballata e parlata con il collega belgamarocchino Sidi Larbi Cherkaoui (Zero Degrees).Proprio questa vocazione per un’arte di confine, di meticciato, di transfert da condizione umana a sublimazione visionaria ha trovato in Akram Khan l’ideale artefice di un omaggio alla centenaria Sagra della primavera di Igor Stravinskij, e il risultato, intitolato iTMOi (in the Mind of Igor), in scena martedì 18 e mercoledì 19 all’Auditorium nell’ambito del festival “Equilibrio”, è una produzione internazionale che vede sostenitori il Sadler’s Wells di Londra, l’MC2 di Grenoble, Dresda e Lussemburgo. “Ho cercato di entrare nel processo mentale di Stravinskij, nel suo complesso percorso che rompeva i canoni, rivisitando la sua giovinezza, decostruendo con lui le convenzioni esistenti afferma il coreografo che è direttore artistico della compagnia di 11 elementi battezzata col suo nome e sono arrivato al punto di voler demolire anch’io vecchi modelli della danza di tempi recenti. Perché ogni ricordo-prototipo di rigore è una piccola morte. E così con iTMOi mi sono messo una volta di più alla prova, ideando immagini e movimenti inesplorati, confrontandomi coi miei limiti”.

Tiene a sottolineare che il lavoro portato avanti col costante e decisivo apporto di tre compositori, Nitin Sawhney, Jocelyn Pook e Ben Frost, permette pure di scoprire mondi sonori diversi usando Stravinskij come chiave d’accesso a una creazione elaborata come un concept più contemporaneo. E Ruth Little, che firma la drammaturgia dello spettacolo, ridefinisce questa fabbrica delle emozioni un'”opera musicale coreografica, un qualcosa di inseparabile dalla danza altrettanto iconoclasta e barbarica creata un secolo fa da Nijinskij”. Se ne deduce che se ne La sagra della primavera il principio animatore dell’universo era il caos, con sistemi governati da sconcertante imprevedibilità, ora iTMOi di Akram Khan sarà, come dice Conrad della mente dell’uomo in Cuore di tenebra, “capace di qualsiasi cosa, perché vi è tutto, tutto il passato e tutto il futuro, una verità spogliata della maschera del tempo””. E c’è aspettativa, per vedere come l’artista anglobengalese farà muovere corpi, suono, energia, furia. E amore.

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