“Braccialetti rossi”: lottare per la vita

Pubblicato il 27-01-2014 da avantionline

Braccialetti rossi

Nel Giorno della Memoria segnaliamo una splendida e commovente fiction, la cui prima puntata è andata in onda ieri sera su Rai Uno che insegna e sensibilizza sulle tematiche del rispetto per la sofferenza dei più deboli: “Braccialetti rossi”. In realtà coloro che, apparentemente, sembrano i più vulnerabili, sei ragazzi malati che si ritrovano ricoverati in “un ospedale diverso pieno di vita e di storie da raccontare, proprio come nelle favole, proprio come nella vita”, si dimostreranno quelli più forti, capaci di sorridere e di provare dei sentimenti veri, pur nelle dure prove a cui li sottopone quotidianamente la loro patologia. E se è “strano il silenzio che si forma non appena parli della malattia”, loro sono in grado di rompere quel silenzio, quel muro di omertà, come si dovrebbe fare con l’Olocausto, per gridare la loro voglia di vita, che si può essere persone vitali, in grado di sentire l’animo umano con una sensibilità speciale, nonostante i loro handicap.

E la diversità per problemi fisici non è né debolezza, né deve essere ghettizzata o discriminata, altrimenti può essere “fatale” e “mortale” per l’intera società. La voce narrante della fiction è Rocco, Lorenzo Guidi, “una specie di istituzione qui dentro, gli vogliono bene tutti; è qui da 8 mesi”, da quando è entrato in coma a seguito di un tragico incidente. Si trovava in vacanza in piscina con la mamma, che lo ha invitato ad andare a giocare con altri coetanei, dei bulli che lo hanno indotto a tuffarsi da un trampolino ad un’altezza spaventosa: quel tuffo gli è stato fatale. Crediamo che la figura di questo bimbo possa essere visto quale l’emblema di ciò che è stato fatto agli ebrei: il bullismo odierno, (associato agli atti di antisemitismo, di razzismo e di xenofobia) soprattutto nelle sue forme più estremizzate, non è molto lontano dalle conseguenze a cui portò la persecuzione di un intero popolo considerato “inferiore”; ma, come Rocco non è morto, ma è solamente in coma, si tende sottolineare più volte nella fiction, nella società ci sono ancora i germi, non solamente negativi, ma anche quelli positivi da cui ripartire e da cui trarre esempio per far sì che non si ripetano più tragedie simili: quella di Rocco e quella del genocidio.

Quest’ultimo, infatti, è un po’ come un “cancro” che annienta qualsiasi umanità nella società; un po’ come il tumore alla tibia che ha colpito l’altro protagonista della fiction: Valentino, interpretato da Brando Pacitto, che tutti chiamano Vale. Estirparlo, come è stato fatto nel giovane amputandogli la gamba, purtroppo, è però possibile. Soprattutto grazie al supporto di amici veri, quali Leo, Lorenzo Guidi, e Cristina, detta Cris, che ha il volto di Aurora Ruffino. Anche Leo ha perduto una gamba, mentre Cris, ragazza sensibile alla ricerca di un affetto sincero, dopo una delusione amorosa, è diventata anoressica: la reazione di una giovane che soffre di fronte ad un mondo spesso caratterizzato dal cinismo, egoismo, ipocrisia, arrivismo, in cui agli affetti si preferisce il lavoro, la carriera, come il papà di Valentino. I tre si uniranno spontaneamente riconoscendosi in quell’empatia sincera, che spesso nasce negli ospedali, che è la solidarietà, che diventa quasi altruismo e fratellanza.

Appena uscito dalla sala operatoria, infatti, Leo dirà a Vale: “Coraggio fratello”. La malattia unirà i tre che saranno in grado di creare una profonda storia di amicizia e di amore al contempo, in un triangolo sentimentale e passionale che aggiunge un tono di romanticismo che non guasta alla fiction; in contrasto coi genitori di Valentino che non sanno più né abbracciarsi né parlarsi. Ed è dall’esempio di Leo, Vale e Cris che occorre ripartire anche nel mondo oggi per insegnare anche a quelli come Davide, altro ragazzo ricoverato per uno svenimento improvviso sul campo di calcetto, probabilmente per problemi al cuore, a voler bene all’altro e non a deriderlo perché è un po’ più paffuto o più “sempliciotto”, poiché spesso quelle sono le persone più sincere che sanno dare più affetto e vicinanza; il compagno che tanto ha denigrato, anche pesantemente, sarà l’unico ad andarlo a trovare in ospedale portandogli dei cioccolatini e lui lo caccerà via a malo modo. Le persone così sono quelle più sole: Davide non smette un minuto di stare al telefono, quasi che le relazioni per lui passino solamente attraverso la tecnologia e non con rapporti umani diretti e personali sinceri.

Sono i piccoli gesti quelli che contano di più e fanno sentire meno soli: “quando rimani solo in ospedale è un dolore che non è dolore è una sorta di malinconia”, spiega Rocco. Malinconia che Toni, interpretato da Pio Piscicelli, giovane napoletano caduto da una moto che aveva sistemato, supera con la sua simpatia aggiunge un po’ di colore comico a una fiction che non manca di fare citazioni ad un’altra sul genere: Dr. House. Rispetto a quest’ultima, però, ed a un’ulteriore simile quale ed “ER, medici in prima linea”, ha il merito di raccontare la malattia in modo più gradevole. Ognuno la vive in modo diverso: chi, come Leo (perfettamente a suo agio in sedia a rotelle), che ha fatto una festa dopo l’operazione; e chi la rifiuta come Valentino e la mamma. C’è chi fugge via e chi, come la mamma di Rocco, si impronta clown therapist per sostituire le lacrime coi sorrisi, per reagire allo sconforto della malattia: “Se non moriamo di cancro moriamo di noia”, afferma Leo.

Una fiction di successo anche grazie a una colonna sonora brillante composta da nove inediti di Niccolò Agliardi interpretati, tra gli altri, da Francesco Facchinetti, e da cinque canzoni di Vasco Rossi, Laura Pausini, Tiziano Ferro, Emis Killa ed Emma Marrone. Eccezionale anche il cast, sebbene siano i giovani talenti a contraddistinguersi con: Giampaolo Morelli, Laura Chiatti, Ignazio Oliva, Carlotta Natoli.

Una fiction tratta dall’omonimo romanzo di Albert Espinosa (Salani editore), coprodotta da Rai Fiction e Palomar e diretta da Giacomo Campiotti. La fiction tv – sceneggiata da Sandro Petraglia – è basata sul format spagnolo di Polseres Vermelles che ha saputo diventare ununicum aggiungendo molta italianità che non guasta. Il colore che la contraddistingue è il rosso: del cuore, della passione, dell’amore e dei braccialetti rossi, appunto, che vengono consegnati ai ragazzi ad ogni operazione che subiscono. Per loro sono come medaglie al valore, come quelle del padre di Leo, militare. Sicuramente loro si meritano tutti questi riconoscimenti, così come la fiction. Ci piacerebbe poterle assegnare alla sanità pubblica, che vacilla nonostante qualche caso idilliaco; alla società, dove purtroppo si registrano ancora troppi atti di violenza; alla politica, che dovrebbe fare di più per la tutela dei più deboli, in primis con leggi contro l’antisemitismo e anti-xenofobia.

Rosso in contrasto con il nero dei nazisti e delle macchie sulle radiografie di un malato di cancro. Sostituire i braccialetti rossi alle medaglie di tutti quei nazisti che hanno sterminato il popolo ebreo. Per non dimenticare …. che “Con te guardare dalla stessa parte .. Fino a riempire la stanza della luce più bella che c’è ….era già quello uno spettacolo…poiché…. Non c’è il forte .. non il debole”, come canta Laura Pausini in “Mi tengo” nella colonna sonora. Non soli, ma insieme. Si può.

Barbara Conti 
 

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