L’incredibile polemica sulle armi chimiche a Gioia Tauro

FerPress – Agenzia di informazione

In Italia a volte si stenta addirittura a credere che certe polemiche siano possibili. L’unica giustificazione è quella di un paese esasperato da mille sopraffazioni, che in ogni occasione si ritrova a rivivere come un mantra il ruolo di vittima.
L’ultima polemica sull’approdo delle armi chimiche a Gioia Tauro ha dell’incredibile e sta dando la stura alla peggiore demagogia da parte di alcuni che, in buona o mala fede, finiscono per svolgere il ruolo degli “untori” di manzoniana memoria, non rendendosi conto che non c’è niente di peggio che alimentare le paure irrazionali della gente.
Questa opera di mistificazione – che non vogliamo definire con aggettivi per rispetto di chi legge – non si ferma neanche di fronte all’estrema nobiltà dell’obiettivo che l’operazione di trasporto deve realizzare: distruggere, cioè, uno dei più infami e pericolosi arsenali di armi chimiche dalla fine della seconda guerra mondiale. E neanche si può parlare di “effetto Nimby”: le armi non si seppelliscono nel giardino della Calabria, devono solo transitarvi per passare da una nave all’altra.
Non basta: il trasbordo è effettuato dalla comunità internazionale con la responsabilità (e i soldi) dei più grandi della terra; non a caso, per lo smaltimento dei pericolosi rifiuti sono stati chiamati i danesi e i norvegesi, non solo specializzati in questo genere di operazioni, ma anche letteralmente ossessionati dalle questioni della sicurezza e dell’ambiente.
Alza la voce l’Italietta che protegge col segreto militare il destino di scorie nucleari e altro; che ha tollerato per anni che interi territori venissero avvelenati probabilmente per sempre con lo sversamento (sotto gli occhi di tutti) di tonnellate di rifiuti tossici e, in generale, una quantità di delitti ambientali e contro la salute che non ha paragoni nel mondo  occidentale.
E anche le preoccupazioni degli amministratori locali hanno un che di ipocrita e di artificioso: sono gli stessi amministratori che hanno consentito di costruire le case o i campeggi sul greto di fiumi in secca o sotto i crinali di pendii franosi (per non parlare di intere navi inabissate in circostanze ancora misteriose, ma comunque senza controllo).
Ma c’è poi un aspetto che riguarda non solo il costume, ma anche il versante economico della faccenda: Gioia Tauro è già un porto alle prese con una riduzione di traffici e con problemi di cassa integrazione, rinunciare ad un’occasione di valorizzazione del ruolo del porto anche in ambito internazionale, come giustamente afferma la CGIL calabrese, significa assestare un altro colpo alla credibilità di un Paese. Il rifiuto “anarchico” e immotivato di movimentare le navi sotto il controllo internazionale spaventa gli operatori seri, non certo i trafficanti che probabilmente fanno passare ogni giorno ogni genere di merce, anche le più pericolose. Ma lo fanno di nascosto, e questo salva la coscienza di questo sfortunato Paese.

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