Osservatorio Nazionale Amianto – No Arsenico

L’Osservatorio Nazionale Amianto, nel proprio statuto, contempla la tutela dell’ambiente e della salute umana rispetto a tutti gli agenti patogeni, tra i quali l’arsenico.

 
 

 
 

 

Osservatorio Nazionale Amianto – No Arsenico

L’Osservatorio Nazionale Amianto, nel proprio statuto, contempla la tutela dell’ambiente e della salute umana rispetto a tutti gli agenti patogeni, tra i quali l’arsenico.

Secondo l’insegnamento del Prof. Giancarlo Ugazio (visita il sito del Gruppo di Ricerca per la Prevenzione della Patologia Ambientale), l’arsenico è l’elemento chimico di numero atomico 33. Il suo simbolo è As. È un semimetallo che si presenta in tre forme allotropiche diverse: gialla, nera e grigia. I suoi composti hanno trovato impiego, in passato, come erbicidi ed insetticidi. È inoltre usato in alcune leghe. sintesi generica, ed è un agente patogeno dannoso per la salute umana.

Spesso si rinviene nell’acqua, ed è ancora più dannoso per l’organismo umano.

L’Osservatorio Nazionale Amianto, attraverso il suo presidente Avv. Ezio Bonanni, memore degli insegnamenti del Prof. Giancarlo Ugazio, ha istituito una sezione No Arsenico, che si prefigge la tutela dell’ambiente e della salute attraverso la prevenzione primaria, e la tutela legale interdittiva, e risarcitoria.

 

L’Associazione ha costituito uno sportello on-line di assistenza sanitaria (con il Dott. Arturo Cianciosi, che può essere contattato all’e-mail: osservatorio amianto@gmail.com), e l’assistenza legale con l’Avv. Ezio Bonanni, che può essere contattato al n. 0773/663593, ovvero all’e-mail avveziobonanni@gmail.com

 

DATI FISICO-CHIMICI

L’arsenico è un elemento del V gruppo della tavola periodica degli elementi. Il suo numero atomico è 33. E’ situato immediatamente a destra della linea spezzata che separa i metalli dai non-metalli. Gli elementi che occupano questa posizione sono detti semi-metalli poichè presentano caratteristiche intermedie fra i primi ed i secondi (Post Baracchi e Tagliabue). Allo stato naturale l’arsenico è un solido grigio, brillante e friabile. Per il suo aspetto è detto arsenico metallico. La sua combustione produce  fumi densi di coloro bianco con un tipico odore di aglio che può essere riscontrato anche nell’odore dell’alito nei casi di intossicazione acuta (Merck Index,1960).

 

Gli effetti citotossici e genetici dei metalli sono  correlati alla posizione nella tavola periodica. Gli effetti clastogenici sono proporzionali all’incremento del peso atomico, dell’elettropositività e la solubilità nei lipidi e nell’acqua. L’indice di mitosi  aumenta con la dose o la durata dell’esposizione. L’entità dell’effetto citotossico dipende dal tipo di misurazioni effettuate, modo di somministrazione, specificità di tessuto, le interazioni con altri metalli e la formazione di complessi con macromolecole. Un’attività mitogenica e clastogenica è stata dimostrata per l’arsenico, ma anche per numerosi altri metalli come sodio, potassio, rame, calcio, stronzio, zinco, cadmio, mercurio, alluminio, tallio, lantanio, cerio, piombo, vanadio, selenio, cromo, molibdeno, manganese, ferro, cobalto e nichel (Sharma e Talukder, 1987).

 

APPROVVIGIONAMENTO

In natura si trova come solfuro: arsenopirite (FeAsS) e realgar (As4S4). I composti più importanti sono l’arsina (AsH3), l’acido arsenioso (H3AsO3, l’acido arsenico (H3AsO4) e i relativi arseniati (Post Baracchi e Tagliabue).

 

MODI DI ESPOSIZIONE  

Per le sue proprietà tossiche è un costituente fondamentale di parecchi composti chimici per l’agricoltura. Infatti, le fonti di inquinamento più importanti sono gli insettici, i rodenticidi, i fungicidi, i prodotti per la protezione del legno. Nei lavoratori del settore primario  in genere l’incidenza di tumori è inferiore ai residenti nelle aree industrializzate. Tuttavia questa statistica viene smentita quando gli agricoltori sono costretti ad usare pesticidi e erbicidi dato che si osserva un netto incremento dei tumori del sangue, della prostata, dell’encefalo, della pelle e dello stomaco (Vineis et al., 1990).  Impieghi di rilievo sono anche quelli per la manifattura del vetro, la lucidatura e la rifinitura dei metalli, la galvanizzazione  e l’incisione, la placcatura con piombo, la produzione di microchip in silicio. In passato l’arsenico aveva un uso farmacologico nella terapia della sifilide, dell’amebiasi, della psoriasi e dell’epilessia (Harrison, 1990).

Per considerare i potenziali rischi connessi con l’esposizione sia lavorativa che extralavorativa bisogna osservare l’estrema diffusione dell’elemento nell’ambiente a causa delle lavorazioni dell’uomo. La tabella I che consiste in un elenco sintetico delle possibili esposizioni correlate alla produzione industriale e allo smaltimento dei rifiuti, evidenzia proprio il potenziale pericolo per la salute e per l’ambiente. Inoltre i nomi delle fabbriche e degli impianti sono soltanto quelli noti perchè presenti nella National Priorities List. Le modalità di contatto sono molteplici come l’ingestione di acque contaminate, i cibi contaminati, la violazione dei divieti di accesso. Inoltre da parte del personale delle fabbriche  è necessaria una piena consapevolezza e una sufficiente conoscenza del comportamento fisico e degli effetti tossici di sostanze pericolose allo scopo di usare  metodi sicuri di lavorazione, accumulo e smaltimento. Deve diffondersi una coscienza civica capace di tutelare l’ambiente, di comprendere il diverso grado di pericolosiità di una contaminazione organica e inorganica soprattutto per quanto riguarda le possibilità di metabolizzazione da parte dei batteri e infine il ciclo  della catena alimentare. Dal punto di vista disciplinare bisogna ancora tener presente la difficoltà nell’attribuire le responsabilità dell’inquinamento.

Inoltre, mettere in pratica le conoscenze di chimica industriale per ottenere produzioni più sicure è un investimento economico a lungo termine perchè lo smaltimento dei rifiuti potrebbe trasformarsi in una spesa eccessiva per le fabbriche. Ultima considerazione di carattere generale è che il processo di industrializzazione dei paesi del terzo mondo, se attuato senza tener presente la tutela dell’ambiente, comporterebbe un notevole  rischio per la salute (Nriagu, 1990). Infatti un indicatore evidente degli effetti dell’inquinamento è la prevalenza dei casi di tumore nella popolazione generale.

 

ESPOSIZIONE LAVORATIVA.

Un composto cristallino contenente gallio e arsenico è utilizzato nelle fotocellule solari. Per i lavoratori addetti a questa produzione la respirazione di questo composto può essere un pericolo e per questo motivo sono stati svolti studi su topi e ratti (Mast et al., 1990).

 

ESPOSIZIONE EXTRALAVORATIVA.

Bisogna concentrare gli sforzi di prevenzione sul tipo di esposizione più frequente e pericolosa che è l’ingestione di acque e di cibi contaminati. Fra questi ultimi, i pesci e i crostacei sono stati oggetto di numerosi studi allo scopo di misurare la concentrazione dell’arsenico e valutarne la pericolosità per l’uomo (Ashraff, 1988). Una ricerca condotta in Florida ha evidenziato che nel tessuto muscolare della coda di alligatore è possibile misurare i livelli di ben otto metalli come rame, zinco, ferro, mercurio, cromo, piombo, cadmio e arsenico. Il consumo di questo tipo di carne non rappresenta una minaccia per la salute pubblica, ma altri prodotti alimentari ricavati sia da acque dolci che marine sono esposti allo stesso tipo di contaminazione (Delany,1988). Infatti l’individuazione di arsenobetaina, un metabolita dell’arseniato presente nell’oceano, prima nell’aragosta, poi in molte altre specie marine che fanno parte della dieta dell’uomo ha destato molto interesse. Il reperimento di ribofuranosidi contenenti arsenico nelle alghe e la produzione di dimetil-arsinoil-etanolo dalla loro. La tossicità nei confronti della madre era valutata con il peso corporeo fra l’ottavo ed il 19 giorno di gestazione. I composti studiati non erano fetotossici e solo debolmente teratogeni quando somministrati separatamente ma fortemente fetotossici e teratogeni in combinazioni come dicromato/arsenato e dicromato/arsenato/rame. Gli effetti fetotossici erano una diminuzione del peso fetale medio e un incremento del riassorbimento fetale. Quelli teratogeni consistevano nel ritardo della crescita scheletrica e in emorragie interne e sottocutanee. Secondo gli autori questi effetti rispecchiano una necrosi cellulare generalizzata causata dai metalli in dosi inferiori a quelle richieste per provocare malformazioni d’organo (Mason et al., 1989).

La decomposizione anaerobica ha permesso di disegnare un ciclo biologico marino degli arseniati (Edmonds, 1987). Anche l’avvelenamento  del bestiame può cosituire un pericolo. La carne di animali accidentalmente avvelenati con l’arsenico non può essere distribuita per la nutrizione della popolazione (Egyed, 1987).

Tuttavia, non bisogna dimenticare l’importanza nella dieta dell’arsenico e di altri elementi presenti in tracce come il boro, il nichel e il vanadio. Per comprendere la relazione fra questi nutrienti e le funzioni biochimiche dell’organismo umano sono state eseguite ricerche su animali nutriti con diete il cui contenuto di questi elementi era attentamente controllato e variato. I risultati hanno dimostrato che ad esempio il boro è fondamentale per la normale attività del paratormone. Il nichel infuenza l’attività di un enzima vit.B12-dipendente, la metilmalonnilmutasi. Ma per quanto riguarda l’arsenico, nel ratto l’interazione fra questo semimetallo ed il magnesio (elemento indispensabile per il funzionamento del paratormone e di molti altri segnali cellulari in quanto interviene nelle reazioni catalizzate dalle G-proteins) ha un ruolo nella crescita, nella concentrazione di emoglobina e nell’ematocrito. La deprivazione di arsenico dalla dieta provoca una riduzione del numero di globuli rossi e diminuisce la concentrazione plasmatica della taurina. I ricercatori hanno tentato di spiegare questo fenomeno con il fatto che entrambi gli elementi intervengono nel metabolismo della cisteina e della taurina (Hunt, 1991).

Tecniche di cristallografia a raggi-X che sfruttano l’emissione di radiazioni indotta dai protoni e di fluorescenza indotta da radioisotopi permettono di quantificare la concentrazione di elementi presenti in tracce nei più comuni alimenti. Così, è stato possibile reperire As in alcune varietà di riso alla concentrazione di 0,2 mg/Kg e piombo nel tuorlo d’uovo di gallina (1,7 mg/Kg). Questi sono dati importanti per gli esperti della nutrizione.

In modo simile uno spettrofotometro ad assorbimento atomico ed uno spettrometro ad emissione di argon sono indicatori della presenza di metalli pesanti negli alimenti. Indagini sul merluzzo e sul pescecane hanno dimostrato la presenza di arsenico e di mercurio. Di particolare interesse è il comportamento di quest’ultimo perchè le normali procedure di lavorazione e di lavaggio del pesce provocano una diminuzione del contenuto di arsenico ma non di mercurio (Mogami,1989). In Germania, è stato vietato il consumo di carni, latte e uova provenienti da determinate fattorie. Le misurazioni effettuate  hanno fornito le seguenti indicazioni: i cereali non sembrano essere un sensibile bersaglio dell’inquinamento da metalli pesanti così come il latte e il muscolo degli animali da allevamento; al contrario il fegato e il rene contengono concentrazioni pericolose di arsenico, cadmio e piombo. La concentrazione in questi tessuti aumenta con l’età dell’animale (Schwarz, 1991).

Un rischio più elevato di esposizione è ovviamente legato ai residenti nelle vicinanze di impianti che lavorano l’arsenico. Ricercatori dell’Università di Washington hanno compiuto importanti studi sull’esposizione all’arsenico negli abitanti di una comunità vicino ad una fonderia di rame inattiva. Il campionamento ha riguardato 121 famiglie (435 persone) che abitavano entro 8 miglia dalla fonderia. Dieci altre famiglie (31 persone) di una area non contaminata sono servite per il confronto delle misurazione. Gli indici di esposizione sono la concentrazione di arsenico nelle urine, nei capelli e nell’acqua usata per lavarsi le mani. La concentrazione media nelle urine è la seguente: residenti a 0,5 miglia = 11,4 ppb, residenti a 3 miglia = 9,1 ppb, confronto = 9,5 ppb. Quando stratificati per età e sesso, i campioni di urine evidenziavano concentrazioni molto più alte per i bambini di età inferiore ai 7 anni (bambini = 48 ppb, bambine = 24,5). L’acqua di lavaggio delle mani mostrava che le concentrazioni rispettivamente a 0,5, 6,3 miglia e confronto erano 2,5, 0,2 e 0,1 µg per mano. Le concentrazioni nei capelli a 0,5 e 6,3 miglia erano 3,7 e 0,4 ppm. La concentrazione nella frutta e nei vegetali era di 1,8 ppm. Il valore nell’acqua potabile variava fra 0,4 e 1 ppm. Le concentrazioni medie del suolo a 0,5 e 6,3 miglia erano rispettivamente 215 e 18,5 ppm. La regressione lineare e l’analisi di questi dati indicano che la più importante fonte di esposizione è il suolo e ovviamente la stessa fonderia. Le concentrazioni nelle urine erano significamente superiori solo nei residenti entro le 0,5 miglia e per i bambini i valori nelle urine sono correlati a quelli dell’acqua di lavaggio delle mani. Pertanto la via di ingresso principale è l’ingestione che nei bambini è incrementata dalla cattiva abitudine di portare le mani alla bocca. L’inquinamento aereo e la risospensione nell’aria di particelle sparse sul suolo non sembra avere importanza (Polissar et al., 1990). Al contrario in 53 dei 79 membri di 17 famiglie che abitavano nei pressi di una fabbrica che usava acetoarsenito di rame furono evidenti i segni di intossicazione cronica da arsenico poichè nelle acque i valori di concentrazione dell’elemento variavano da 5 a 58 mg/l. (Mazudmer et al., 1992).

 

LIVELLI DI INQUINAMENTO

I limiti di esposizione del NIOSH sono: OSHA PEL ((h-TWA,carcinogen) = 0,01/ m3; NIOSH REL (fino a 15 min = 0,002 mg/m3; ACGIH TLV (8h-TWA, A2 carcinogen) = 0,2 mg/m3 (Anon. 1988).

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il limite di concentrazione dell’arsenico nelle acque è 0,05 mg/l. (Mazudmer et al., 1992).

Un’assunzione media che varia da 10 a 45 µg/die è inevitabile. Anche per l’EPA lo standard corrente è di 50 µg/l. nelle acque potabili. Lo standard della Royal Commission di Londra elaborato nel 1903 è di circa 100 µg/die. Bisogna tener presente che fonti di inquinamento come il trattamento inadeguato dei rifiuti industriali possono portare a concentrazioni nelle acque potabili fino a 60 mg/l (Mazumder et al., 1992). L’azione cancerogena dell’As sembra dipendere dall’induzione di oncogeni virali e presenta una relazione lineare con la dose somministrata. L’arsenico induce ipo- ed iperpigmentazione cutanea (importanti indicatori biologici di danno), ipercheratosi palmari e plantari, Bowen’s disease, tumori del polmo-ne,  della vescica e della pelle. Studi epidemiologici e 50 casi di tumore del polmone e 250 di tumore della pelle causati dall’esposizione lavorativa nel 1980 negli Stati Uniti indicano che la dose soglia necessaria è di 400 µg/die (Stohrer, 1991).

La DL50 per l’arsenico è 130-300 mg (Harrison, 1990).

Esistono programmi che permettono di calcolare le concentrazioni di sostanze chimiche e di simulare il livello di esposizione massimo raggiungibile in una determinata area e nelle acque. Questo tipo si software seguendo dati di salute pubblica è in grado di prevedere un impatto ambientale inaccettabile (Whetzel, 1989).

Per fortuna, quando cessa l’immissione di inquinante nell’ambiente, l’arsenico viene rapidamente eliminato (Mossop,1989).

 

VIE DI INGRESSO E METABOLISMO  

L’assorbimento dell’arsenico avviene attraverso la pelle, i polmoni e il tubo digerente. Quest’ultimo è responsabile dell’introduzione dell’80% della quantità che quotidianamente assumiamo. L’assorbimento è più efficace per i composti inorganici che si concentrano elettivamente nei globuli bianchi.

La distribuzione a tessuti come la cute, il fegato, i reni, i polmoni e la milza avviene entro 24h. L’accumulo nel tessuto osseo, nei capelli e nelle unghie richiede due settimane. L’arsenico inorganico attraversa la barriera placentare ma non quella ematoencefalica.

Le vie di escrezione sono le urine (90-95%), le feci (4%), la  bile e la saliva (Harrison, 1990).     

Tuttavia secondo uno studio di Mossop, ci sono indicazioni che l’arsenico non passa dalla madre al feto o al bambino, nè attraverso la barriera placentare nè attraverso il latte materno (Mossop, 1989).        

Le cellule di molti mammiferi, comprese quelle di uomo, sono capaci di metilare l’arsenico inorganico ad acido  metilarsenico e acido dimetil-arsenico. Studi di genotossicità, che includevano la frequenza in metafase di scambi di cromatidi fratelli, per nove composti organici e tre inorganici hanno dimostrato che i composti inorganici e soltanto il di-metil-arsenico fra quelli organici, inducono cromosomi tetraploidi e arresti mitotici. Questo indica che l’arsenico svolge la sua attività cancerogena sia prima che dopo attivazione all’interno dell’organismo (Endo et al., 1992).

La cirrosi epatica influenza il metabolismo dell’arsenico. Uno studio condotto  su 13 soggetti normali, 18 con malattie di vario tipo e 38 con cirrosi epatica ha preso in considerazione la quantità di composti metilati dell’arsenico escreti nelle urine attraverso la spettrometria ad assorbimento atomico dopo la somministrazione di una piccola dose di arsenico inorganico. Nei controlli e nei soggetti con malattie di vario tipo la quantità di metil-arsenico e di dimetil-arsenico era simile, mentre nei cirrotici c’era una netta prevalenza di dimetilarsenicato (Geubel et al., 1988).

Una serie di esperimenti e campionamenti è servita per delineare la biotrasformazione dell’acido dimetilarsinico nel topo, nell’hamster e nell’uomo. I topi e gli hamsters hanno ingerito una singola dose di 40 mg/Kg di questo composto e dopo 48 h campioni di feci ed urine sono stati raccolti. L’unico uomo che faceva parte dello studio ha ingerito una quantità di sostanza per produrre una dose di 0,1 mg/Kg di peso corporeo. (La quantità di metaboliti nelle urine e nelle feci è stata valutata impiegando tecniche di cromatografia a scambio ionico, elettroforesi su carta, cromatografia su strato sottile, gas-cromatografia a generazione di arsina, spettrometria ad assorbimento atomico  e la spettrometria di massa gas-cromatrografica). Meno dell’1% dell’arsenico somministrato era ancora presente nell’organismo degli animali dopo 48 h. L’eliminazione fecale ammontava al 42% per gli hamsters e al 29% per i topi. L’escrezione dell’acido dimetil-arsenico era per l’80%-85% in forma non metabolizzata,  per il 13-15% in forma complessa (nelle urine il 3,5-6,4% come ossido di trimetil-arsina). Nell’uomo i risultati sono simili (Marafante et al., 1987).

 

Per conoscere il metabolismo e l’escrezione dell’arsenico sono stati effettuati studi che hanno evidenziato evidenti correlazioni fra esposizione ed escrezione urinaria. I volontari che hanno preso parte alla ricerca dovevano astenersi dal consumare fonti conosciute di arsenico con la dieta e dovevano ingerire una singola dose di arsenico con una quantità prestabilita di pesce e altre dosi ripetute di arsenico  pentavalente . I tre volontari hanno  ingerito nel primo esperimento gamberi che contenevano arsenico alla concentrazione di 13,9 mg/Kg che corrispondeva ad un consumo totale di 541 µg per il soggetto A, 538 µg per il soggetto B e 537 µg per il soggetto C. Nel secondo esperimento due volontari hanno bevuto un litro di acqua minerale che costituiva una singola dose di 200 µg di arsenico inorganico. Nel terzo esperimento un volontario assumeva per tre volte al giorno 100 ml di acqua minerale per 10 giorni in modo tale da ingerire una dose quotidiana di 66 µg. Tutti questi modelli di somministrazione hanno causato un netto incremento  dei valori di arsenico riscontrato nelle urine  ed un ritorno ai valori basali solo parecchi giorni dopo. Nel primo studio l’arsenobetaina era il principaòle metabolita eliminato secondo una cinetica che prevedeva due tempi di dimezzamento, uno di 6,9-11 h ed un secondo di 75,7h. Gli altri due studi hanno dimostrato che l’arsenico pentavalente viene immediatamente ridotto in forma trivalente  ed in seguito trasformato in acido metil-arsenioso e dimetil-arsenico (Johnson e Farmer, 1991). In ogni modo rimane fondamentale la via di ingresso dato che esperimenti su animali hanno dimostrato che questi sopravvivono bene in atmosfere ricche di arsenico purchè i cibi siano non contaminati. Se invece  il cibo proviene da aree contaminate essi muoiono rapidamente (Mossop, 1989).

 

CONCENTRAZIONI NEI TESSUTI DELL’ORGANISMO

(Indicatori biologici di esposizione) 

Numerosi studi mettono in evidenza che la quantità di arsenico assorbita dall’organismo si riflette nella quantità escreta nelle urine (ohnson e Farmer, 1991), tuttavia non è possibile ricavare alcun vantaggio dal punto di vista clinico sulla previsione della tossicità. Infatti, sintomi di tossicità sono già evidenti ad una concentrazione di 0,25 ppm, mentre altri soggetti possono eliminare arsenico alla concentrazione di 1 ppm senza nessun sintomo o segno (Mossop). Comunque i valori delle urine devono orientativamente mantenersi al di sotto dei 5 µg/die (Harrison, 1990).       

La misurazione della concentrazione di arsenico nei capelli  è un valido indicatore dell’esposizione al tossico. Fra il 1971 ed il 1987 in una regione del sud-est dell’Ungheria 25648 persone hanno usato acqua “potabile” la cui concentrazione di arsenico eccedeva il limite di 0,1 mg/l. 20.836 persone di un’area con livelli di As nelle acque inferiore, hanno fornito 230 campioni di capelli per il confronto. Furono analizzati in totale 2.059 campioni di capelli che dimostrarono concentrazioni di arsenico superiori alla norma nei casi corrispondenti ad aree dove le acque erano più inquinate (Boerzsoenyi et al., 1992). Tuttavia Mossop fa notare che la polvere di arsenico caduta sui capelli viene assorbita e non può più essere lavata via. Questo fatto può essere fuorviante se si intende usare il campionamento dei capelli per l’esposizione correlata con l’inquinamento atmosferico (Mossop, 1988).

In una facoltà di medicina giapponese sono stati raccolti 104 campioni di urine  e 100 campioni di capelli. In entrambi i tipi di campioni sono stati ricercate quattro specie chimiche dell’arsenico, la forma inorganica, l’acido metil-arsenioso, l’acido dimetil-arsenico, i composti trimetil-arsenici e poi l’arsenico totale. I composti metilati costituivano il 90% dell’arsenico presente nelle urine. Nei capelli invece la maggior parte dell’arsenico presente era inorganico e l’arsenico trimetilato era completamente assente a causa della sua rapida eliminazione dall’organismo. I valori di arsenico inorganico rappresentano nel soggetto normale la quota normalmente assunta con la dieta e sono importanti per il confronto con l’esposizione lavorativa (Yamato, 1988).

Una significativa ricerca ha confrontato la concentrazione di arsenico in vari tessuti per individuare una correlazione fra la concentrazione di metalli pesanti nei capelli e nei vari organi. I dati riguardanti l’arsenico hanno evidenziato un’associazione fra arsenico presente nei capelli e nella corticale del rene (Zhuang G et al., 1991).

Le unghie sono un altro tessuto nel quale è possibile reperire tracce di arsenico come di molti altri elementi. Concentrazioni variabili da 40 a 800 ppm sono state trovate per il calcio, magnesio, fosforo, sodio, potassio,ferro, zinco e alluminio. Sono state trovate tracce di altri elementi non superiori a 0,5-5 ppm  In particolare le abitudini di vita e dietetiche sembrano essere responsabili delle differenze riscontrate in diverse aree geografiche come Giappone, India, Polonia, Canada e Stati Uniti. Così i campioni di unghie ottenuti da giapponesi contengono alti livelli di mercurio, ferro e alluminio a causa forse dell’elevato consumo di pesce. Le donne di giovane età hanno valori superiori a quelli degli uomini per i seguenti metalli: arsenico, nichel, rame, cadmio e cromo. Tuttavia, la differenza fra i due sessi si riduce con l’età (Takagy et al., 1988).

E’ stato osservato che nei roditori l’esposizione all’arsenico modifica l’escrezione di porfirinuria. Per verificare se un fenomeno simile si verifica anche nell’uomo sono stati misurati i valori di uroporfirina, coproporfirina e arsenico totale nelle urine. I campioni sono stati raccolti da 21 individui esposti cronicamente all’arsenico a causa dell’acqua potabile (0,390 mg/l) e 19 controlli esposti a 0,012 mg/l. I soggetti esposti avevano concentrazioni di arsenico totale nettamente più alti. L’escrezione della porfirina urinaria non era aumentata sebbene il rapporto coproporfiri-na/uroporfirina fosse diminuito a causa di una diminuzione della coproporfirina e di un aumento dell’uroporfirina.  Molti soggetti esposti cronicamente all’arsenico hanno un rapporto coproporfi-rina/uroporfirina inferiore all’unità (Garcia-Vargas et al., 1991).

 

SPERIMENTAZIONE TOSSICOLOGICA E OSSERVAZIONE CLINICA         (Indicatori biologici di danno)

L’arsenico, una volta ingerito, si lega all’emoglobina e provoca un’emolisi a cui fa seguito entro 3-4 h emoglobinuria, ematuria e anemia. Compare anche ittero grave. I segni di intossicazione  nausea, vomito, diarrea, paura, malessere, tachicardia e dispnea. La dose letale è di 130-300 mg (Harrison, 1990). La tossicità dell’arsenico dipende dalla dose assorbita e dal rispetto dei limiti di sicurezza esposti nel paragrafo dei livelli di inquinamento. Gli effetti più frequenti dell’arsenico sono disordini dell’apparato gastroenterico, irritazione degli occhi e della pelle, sensibiliz-zazione cutanea, ulcerazioni e perforazioni del setto nasale, neuriti, neuropatie, anemie, cancro della cute, dei polmoni e del sistema linfatico (Anon, 1988).

Per conoscere e quantificare il potenziale danno genotossico dell’arsenico fibroblasti umani in coltura sono stati esposti a diverse concentrazioni dell’elemento. L’arsenico trivalente e quello hanno entrambi la capacità di inibire la sintesi del DNA, ma il trivalente a parità di dose molare è nettamente più potente dopo due ore di trattamento. L’arsenico trivalente esercita il suo effetto di inibizione della sintesi del Dna alla dose di 50 µM e inibisce il 50% delle cellule alla dose di 32 µM. L’arsenico pentavalente richiede una dose superiore a 100 µM. Inoltre, l’arsenico trivalente rallenta l’entrata nella fase S del ciclo cellulare. Alle concentrazioni di 2, 5 e 10 µM esercita una minima inibizione della sintesi del DNA e non induce UDS (Unscheluded DNA synthesis = sintesi di DNA non codifica-to). Invece a 25 µM induce lo scivolamento del centromero in circa il 25% delle colonie di fibroblasti umani im metafase. La quantificazio-ne dell’inibizione della sintesi di DNA si ottiene con l’autora-diografia che misura l’incorporazione di timidina triziata all’in-terno delle cellule. Il blocco della replicazione semiconservativa del DNA  attraverso l’idrossiurea permette di determinare la sintesi di DNA non codificato. Inoltre, il trattamento con antiossidanti come il dimercaptoetanolo e ditiotreitolo non antagonizzano l’effetto inibente dell’arseniico. Infine, le aberrazioni cromosomiali sono state valutate microscopicamente dopo blocco delle cellule in metafa-se con colcemide (Chang, 1987).

La malattia del piede nero è una vasculite obliterativa che colpisce i vasi periferici endemica negli abitanti della costa sudoccidentale di Taiwan. Questa vasculopatia è simile alla malattia di Buerger. La patologia dimostra una tromboangioite obliterante e  un’arterioloscerosi obliterante. L’elevata concentrazione di arsenico nelle acque dei pozzi artesiani della zona sembra essere la causa di questa malattia. Allo scopo di chiarire l’eziopatogenesi del danno vascolare, cellule endoteliali di vena ombelicale di uomo sono state esposte a diverse concentrazionei di arsenico. L’esperimento comprendeva saggi di crescita cellulare, saggi di rilascio di un isotopo del cromo e l’evidenziazione di un antigene correlato al fattore VIII, e di un recettore  per un tipo particolare di agglutinina (Ulex europaeus agglutinin I) . I dati così ottenuti hanno permesso di concludere che l’arsenico alla concentrazione di 100 ng/ml inibisce la sintesi dell’antigene e del recettore e che l’arsenico esercita un effetto di inibizione della crescita delle cellule endoteliali dose-dipendente. Già a 50 ng/ml l’arsenico inibisce la proliferazione cellulare e a 100 ng/ml blocca anche la sintesi delle glicoproteine (Chen et al., 1990).

Il piombo, il cadmio, l’arsenico, e il mercurio esercitano indubbi effetti tossici. Gli effetti ultrastrutturali di questi metalli sulle cellule endoteliali in funzione della permeabilità ionica della barriera placentare  sono stati osservati attraverso quattro parametri come il rapporto fra il volume dello spazio intercellulare, dei microvilli, dei podociti e del nucleo rispetto al volume cellulare. Il cadmio, l’arsenico e il cadmio provocano una diminuzione dello spazio intercellulare. Cadmio e arsenico aumentano il volume dei microvilli. Il volume dei podociti non è influenzato, mentre solo l’arsenico causa un aumento del volume del nucleo. Tuttavia l’aggiunta di magnesio al bagno di coltura antagonizza alcuni effetti ma ne attiva altri. Infatti Il magnesio antagonizza gli effetti del cadmio sullo spazio extracellulare, del piombo sui microvilli e dell’arsenico sul nucleo. Al contrario, stimola gli effetti del piombo sullo spazio intercellulare e del cadmmio e dell’arsenico sui microvilli (Quiet-Bara et el., 1991).

Spesso nella studio della tossicologia ambientale ed occupazionale, i patologi scoprono effetti sinergici fra sostanze tossiche presenti contemporaneamente nell’ambiente. Un esempio di questo sinergismo è fornito dall’arsenito di sodio che stimola ulteriormente gli agenti alchilanti nell’induzione di aberrazioni cromosomiche. (Per simulare l’esposizione contemporanea ad entrambe le sostanze chimiche metil-nitrosourea e metil-etan-sulfonato sono stati diluiti nel mezzo di coltura e ancora, etil-nitrosoureaera predisciolta in acido acetico, ed etil-metan-sulfonato in dimetil-sulfossido. L’arsenito di sodio dopo essere stato disciolto in acqua distillata era ancora diluito con il mezzo di coltura. Le cellule di ovaia di hamster cinese erano coltivate in un mezzo supplementare costituito da siero fetale di vitello, streptomicina, penicillina, L-glutamina in un incubatore umidificatore allo scopo di far crescere le cellule in un mezzo contenente farmaci. Veniva aggiunta anche colcemide due ore prima dell’osservazione. I fibroblasti di cute umana subivano lo stesso tipo di trattamento e venivano esposte per 2 ore a etil-metan-sulfonato. Era aggiunta colcemide nelle ultime 4 ore di incubazione. I vetrini dei cromosomi in metafase erano preparati con tripsinizzazione, trattamento ipotonico, fissazione e lavaggio). I dati dimostravano un chiaro sinergismo che dipendeva dalla concentrazione e dal tempo di somministrazione (Jan et al., 1991).

E’ ancora importante evidenziare il ruolo della via di ingresso nell’organismo. Dati derivati sia dalla sperimentazione su animali sia dall’epidemiologia indicano che l’inquinamento atmosferico è meno pericoloso di quello degli alimenti e delle acque, forse in relazione alla diversa frazione di assorbimento dell’albero respiratorio e dell’apparato digerente (Mossop, 1989).

Il rene è un organo molto sensibile agli inquinanti come l’arsenico; pertanto le indagini di laboratorio usate per valutare la funzionalità renale e il valore della pressione arteriosa possono rappresentare in ambito lavorativo dei validi supporti per sospettaare una condizione di esposizione lavorativa pericolosa (Rosenman e Brown, 1987).

L’arsenico interferisce con il metabolismo del selenio e sembra aumentare la tossicità di quest’ultimo elemento. In particolare i composti dell’arsenico aumentano l’efficacia del selenio nell’indurre una depressione della crescita nei pulcini (Baker e Layman, 1987).

L’arsenito di sodio potenzia l’effetto citotossico della bleomicina in cellule di ovaio di hamster cinese, fibroblasti di cute umana e cellule HeLa. Quando l’arsenico viene somministrato prima della bleomicina riduce l’inattivazione cellulare delle bleomicina ( Jan et al., 1990).

I fibroblasti di cute umani sono dieci volte più sensibili delle cellule di ovaio di ratto all’effetto citotossico dell’arsenito di sodio. E’ da sottolineare che la DL50 sia per le cellule umane che per quelle di hamster dipendeva dalla concentrazione intracellulare di glutatione. Però il verapamil potenziava l’effetto tossico solo nell’hamster e non nell’uomo. Ciò ha permesso di ipotizzare la presenza di canali verapamil-sensibili atti ad eliminare l’arsenito nelle cellule di hamster Lee et al., 1989).

Però, la tossicità dell’arsenico non si limita a provocare malattie infiammatorie o intossicazioni acute perchè questo elemento è un potente agente cancerogeno. L’Environmental Protection Agency (EPA) ha classificato l’arsenico nel gruppo A delle sostanze cancerogene (Levine et al., 1989). Fino al 1980 negli Stati Uniti 300 sono i casi di cancro la cui eziologia è stata chiaramente identificata con l’esposizione lavorativa all’arsenico. Di questi 50 erano tumori del polmone e 250 tumori della pelle. Inoltre, ci sono numerose evidenze che indicano che l’arsenico è in grado di indurre una proliferazione neoplastica solo quando l’assunzione quotidiana supera i 400 µg (Stohrer, 1991).

L’ingestione di arsenico è correlata ad un rischio elevato di cancro della pelle (Anon, 1987).

Barrett ha condotto  una serie di esperimentti su cellule di embrione di hamster siriano al fine di conoscere il danno cellulare provocato da varie sostanze cancerogene come dietilstilbestrolo, arsenico, asbesto e benzene. L’arsenico sotto forma di arsenito di sodio e di arsenato di sodio non è un mutageno con specifici geni bersaglio, bensì un potente induttore di trasformazione cellulare, di aberrazioni cromosomiche e di amplificazione di geni (Barrett, 1990).

Test di genotossicità con una sensibilità e specificità superiore al 70% come il saggio di Ames con le salmonelle e il saggio di genotossicità sul midollo osseo di roditori non hanno evidenziato nessun effetto mutageno (Shelby, 1988).

Secondo Stohrer, l’arsenico è un cancerogeno indiretto poichè è in grado di indurre geni coinvolti nella regolazione della proliferazione, ricombinazione e amplificazione e può attivare genomi virali (Stohrer, 1991). La capacità di amplificare geni è stata dimostrata con l’arsenito e l’arseniato di sodio. Questi due sali sono in grado di indurre un’alta frequenza di resistenza al methotrexate in  cellule 3T6, nelle quali erano presenti copie amplificate del gene per la diidrofolato-reduttasi.    

L’arsenito di sodio ha anche evidenziato la capacità di aumentare la frequenza di scambi fra cromatidi fratelli (Sahu et al., 1989).

Inoltre, bisogna notare le difficoltà di mettere in evidenza la cancerogenicità dell’arsenico sui topi e sui ratti in contrasto all’ormai acquisita nozione della pericolosità dell’arsenico per l’uomo.(Lee et al., 1988).

La superossido dismutasi e la catalasi sono due enzimi che neutralizzano i radicali tossici dell’ossigeno e sembrano proteggere linfociti umani in coltura dal danno del DNA indotto dall’arsenico (Nordenson e Beckman, 1991). Tuttavia questa protezione non è sufficiente da sola. Infatti, il saggio del DNA con timidina triziata ha evidenziato che altre sostanze oltre che i radicali dell’ossigeno partecipano alla rottura delle eliche del DNA. Cellule alveolari di tipo II embrionali sono state esposte a 0,2 mmol di acido dimetil-arsinico e bromuro di sodio. Un metabolita intermedio di questi due composti, la dimetil-arsina può reagire con l’ossigeno molecolare e dare origine a dimetil-arseni-perossidi (Yamanaka et al., 1990).

La capacità di indurre trasformazioni cellulari è stata studiata anche su fibroblasti umani  di cute. Sia l’arsenito che l’arsenato di sodio ma non l’arsenato di potassio aumentano la frequenza di colonie che hanno perso l’inibizione da contatto e l’ancoraggio. La frequenza aumentava fino a 11-14 giorni di coltura e poi diminuiva progressivamente. Tutti i sali però erano in grado di indurre gruppi di cellule che dimostravano una maggior efficienza nel rivestire lo strato di agar. L’indipendenza dall’ancoraggio era indotta nei fibroblasti indipendentemente da altri markers di trasformazione cellulare in vitro come mutazioni della oubaina-resistenza e della 6-tio-guanina resistenza (Biedermann e Landolph, 1987).

Durante le prime fasi dello sviluppo dell’embrione le Gap Junctions hanno un ruolo fondamentale nella comunicazione e differenziazione cellulare. Se si considera che l’arsenico fa parte di quelle sostanze (dieldrina, etileneglicol-monometil-etere, etanolo, piombo, mercurio e zinco) in grado di alterare il normale funzionamento di questa comunicazioni giunzionali, si comprendono facilmente i potenziali rischi di conseguenze avverse sulla riproduzione. Sono state usate tre linee cellulari: la linea V79 derivata da polmone di embrione di hamster cinese, la linea HT proveniente da teratocarcinoma umano e la linea SK-UT-1 di un leiomiosarcoma umano dell’utero. In almeno una di queste linee cellulari ogni sostanza era in grado di inibire il funzionamento delle gap junctions. Questo stesso esperimento ha permesso di evidenziare un ruolo importante del c-AMP nel modulare il funzionamento di queste comunicazioni cellulari forse con la sintesi di nuove proteine (Caruso, 1988).

L’esposizione di cellule fetali di trachea umana e di ratto in coltura  a dosi note di arsenico ha fornito risultati molto importanti. Nella trachea fetale umana 1 µmol di arsenico induce iperplasia dell’epitelio, 3-9 µmoli inducono iperplasia e atipia nell’epitelio e iperplasia e metaplasia squamosa nell’adenoepitelio. Il medesimo tipo di esposizione nelle cellule di ratto non ha provocato gli stessi effetti, pertanto l’arsenico può essere cancerogeno per il tratto respiratorio umano ma non per quello di ratto (Dong J., 1990).

La complessità dello studio delle sostanze tossiche è accentuata dal fatto che composti diversi, contenenti lo stesso elemento oggetto di studio, possono manifestare comportamenti differenti. Così fra nove composti organici e tre inorganici dell’arsenico solo l’acido dimetil-arsenico, in un ambito di concentrazione fra 0 e 250 µg/ml, stimola la formazione di cellule tetraploidi sia sulla linea V79 di hamster cinese sia su linfociti umani. Le cellule tetraploidi presentano la caratteristica di essere meno abili nella divisione cellulare  e di possedere un ciclo cellulare più lento. Questo composto potrebbe essere un importante fattore della tossicità dell’arsenico (Endo et al., 1992).

In effetti anche altre ricerche hanno evidenziato che l’esposizione cronica all’arsenico può alterare la stimolazione e la proliferazione dei linfociti umani. In realtà linfociti in coltura prelevati da soggetti esposti cronicamente all’arsenico presentano una cinetica del ciclo cellulare più lenta di quella di linfociti prelevati da soggetti normali. Allo stesso modo, in linfociti esposti in vitro a concentrazioni di arseniti e arseniati dell’ordine di 100, 10 e 1 nM (valori simili a quelli del sangue intero degli esposti), si poteva osservare un’inibizione della proliferazione dose-dipendente (Gonsebatt et al., 1992).    

Un composto che sembra rivestire un ruolo importante nella genesi dei tumori polmonari è l’arsenito mentre il trisolfuro di arsenico anche a grandi concentrazioni nel sangue è inattivo. Per ricavare informazioni a proposito è molto utile il test dei micronuclei di midollo osseo di topo. Il midollo osseo prelevato dai femori degli animali uccisi dopo un trattamento con di 10 mg/Kg di arsenito di sodio, arsenito di potassio o triossido di arsenico  evidenzia micronucei policromatici e micronuclei normocromatici (Tinwell et al., 1991).

Anche l’epidemiologia presenta difficoltà notevoli soprattutto nella scelta dei parametri da usare per quantificare l’esposizione ad una sostanza tossica. Infatti per quanto riguarda l’arsenico, la relazione fra tumore del tratto respiratorio e arsenico nell’aria presenta una curva con concavità verso il basso mentre la correlazione fra lo stesso tipo di tumore e l’arsenico urinario è lineare. Questi risultati evidenziano la netta differenza fra concetti come la concentrazione dell’arsenico nell’aria e la biodisponibilità dello stesso. I dati che hanno permesso di ottenere questa impportante informazione sono stati ottenuti da una ricerca di mortalità per cancro condotta su 2802 uomini che hanno lavorato per almeno  un anno nel periodo 1940-1964 in una fonderia di rame in Tacoma, Washington (Interline et al., 1987).

L’inibizione della riparazione del DNA è un’altra via attraverso la quale l’arsenico può esercitare i suoi effetti cancerogeni . L’esposizione di cellule HeLa all’arsenico produce gli stessi effetti della deplezione dei tioli non proteici. Infatti, sperimentalmente con la butionina sulfossimina o col dietil-maleato si possono ridurre le riserve cellulari di tioli non proteici fino al 92% del totale. Questa deplezione comporta una maggior sensibilità delle cellule al danno indotto dai raggi X. L’esposizione all’arsenito provoca lo stesso tipo di sensibilizzazione. Inoltre, l’arsenico come altri metalli pesanti inibisce completamente la riparazione del DNA in cellule che hanno già una deplezione di tioli (Snyder e Lachmann, 1989).

Il dicromato di sodio, l’arseniato di sodio ed il solfato di rame hanno dimostrato un effetto sinergico nell’indurre malformazioni in feti di femmine di ratti-Wistar. Ogni composto è stato esaminato separatamente e in combinazione. All’ottavo giorno di gestazione, gruppi di 5 ratti ricevevano iniezioni intraperitoneali di 2 mg/Kg di cromo, come dicromato di sodio, 5 mg/Kg di arsenico come arseniato di sodio o 2 mg/Kg di rame, come solfato di rame. Dieci controlli ricevevano acqua deionizzata. Al diciannovesimo giorno di gestazione, gli animali erano sacrificati e quattro feti da ogni animale venivano fissati, sezionati ed esaminati per le anormalità dei tessuti molli. Un secondo gruppo di quattro feti era esaminato per le anormalità del tessuto scheletrico. I composti erano studiati in varie combinazioni per la teratotossicità e la fetotossicità

 

PATOLOGIA CONCLAMATA

L’intossicazione acuta da arsenico coinvolge numerosi apparati ed organi. A livello del sistema gastroenterico i sintomi e i segni sono bruciore alla gola, disfagia, nausea, vomito, diarrea, alitosi col tipico odore di aglio, dolori addominali. La compromissione dell’apparato cardiocircolatorio è evidenziata dalla cianosi, dalla difficoltà nel respiro e dall’ipotensione. Può verificarsi una miocardite chimica. A livello del sistema nervoso centrale i segni sono confusione, convulsioni e coma. Il rene è colpito da una necrosi tubulare acuta. L’arsenico provoca una depressione del midollo osseo che provoca anemia ed eosinofilia.

L’intossicazione cronica da arsenico si manifesta 2-8 settimane dopo l’ingestione. La pelle e le unghie presentano lesioni infiammatorie: eritrodermia, ipercheratosi, iperpigmentazione, dermatite esfolia-tiva, malattia di Bowen, linee di Aldrich-Meesche che sono strie bianche trasversali nelle unghie. Le mucose della laringe, della trachea e dei bronchi sono colpite da infiammazioni. Si può verificare anche una polineuropatia sensitiva e motoria. La pelle, i polmoni possono sviluppare carcinomi (Harrison, 1990). Bisogna tener presente il possibile ruolo dell’arsenico nella genesi di vasculiti obliteranti come già evidenziato in precedenza a proposito della “blackfoot disease” (Chen et al., 1990).

 

PREVENZIONE, DIAGNOSI E TERAPIA

La prevenzione si può realizzare solo mantenendo i livelli di esposizione entro i limiti consentiti dalla legge dato che sia le lesioni infiammatorie che quelle neoplastiche richiedono valori di assunzione  superiori a 400 µg/die. La diagnosi si avvale di un’accurata anamnesi lavorativa e dei segni clinici e di laboratorio (test di funzionalità epatica e renale,  l’ematocrito e la formula leucocitaria. Sono indispensabili dati di laboratorio come i livelli di arsenico nelle urine i quali possono presentare rapide oscillazioni. I valori nei capelli e nelle unghie possono evidenziare un’esposizione avvenuta mesi prima.    

Il trattamento dell’intossicazione acuta da arsenico richiede l’iduzione del vomito con l’ipecacuana. Se il pazienze non è vigile bisogna ricorrere alla lavanda gastrica. Si può in seguito somministrare un chelante dell’arsenico come il dimercaprolo, il quale provoca l’escrezione del composto a livello renale. La dose prevista è di 2-3 mg/kg intramuscolo ogni 6 ore per 24 h e poi ogni 12-24 h per i successivi dieci giorni in modo tale da raggiungere alla fine della terapia livelli urinari di arsenico inferiori a 5 µg/dl/die. Dosi più elevate sono tossiche , ma nelle intossicazioni molto gravi, si possono somministrare dosi di 5 mg/kg. Il succimero DMSA ( acido 2,3-dimercaptosuccinico), analogo idrosolubile del dimercaprolo è meno tossico e più efficace. (Harrison, 1990). E’ importante conoscere anche il metabolismo dei ditioli utilizzati per eliminare l’arsenico dai tessuti dell’organismo poichè sono farmaci inusuali dei quali non sono del tutto noti i possibili effetti tossici. Usando la spettrometria ad emissione è possibile studiare la struttura dei composti che vengono escreti nelle urine. Con lo stesso tipo di indagine però applicata direttamente al plasma saranno individuati i tipi di metalli pesanti per i quali questi farmaci sono efficaci. Si deve inoltre studiare l’effetto di questi ditioli esogeni sulla sintesi e sulla ossidazione dei tioli endogeni e del glutatione (Aposhian, 1990). E’ importante rispettare i tempi di somministra-zione perchè un ritardo nella somministrazione del DMSA potrebbe impedire gli effetti positivi sull’organismo. Esperimenti condotti su femmine di topo gravide hanno evidenziato che questo antidoto riduce la letalità embrionale e le alterazioni morfologiche. Riduce inoltre i danni scheletrici (Bosque et al., 1991).

Il trattamento dell’intossicazione cronica comporta la somministrazione di d-penicillamina per via orale alla dose di 100 mg/kg pro die, quattro volte al giorno per cinque giorni. La dialisi permette di ottenere una clereance dell’arsenico pari a 80-90 ml/min che corrisponde a 20-100 mg/die. Plasmaferesi ed emodialisi nel caso di scompenso renale sono il trattamento d’elezione (Harrison, 1990).

 

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PATOLOGIE DEI TESSUTI COLPITI

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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(TRATTO DA “Trattato di Patologia Ambientale” del Prof. Giancarlo Ugazio, già professore di patologia generale presso l’Università di Torino e membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’ONA Onlus).

 

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