Intervista a Claudio Martelli sui Referendum radicali

da avantionline

Claudio Martelli

d Mauro Del Bue

Io che intervisto lui. Non l’avevo messo in conto. Dopo quarant’anni di amicizia, di frequentazione, di condivisione. Siamo stati entrambi socialisti autonomisti quando i nostri coetanei erano lombardiani, siamo stati riformisti quando erano di moda i rivoluzionari.
Claudio Martelli è stato per decenni il mio punto di riferimento culturale e politico. Ho tentato di imparare da lui la tecnica della comunicazione per ragionamento e non per frasi ad effetto. Stimolando il consenso e l’apprezzamento più che non l’applauso e l’ovazione. E siamo ancora qui, insieme, dopo una vita, a ragionare di referendum perché Claudio è stato il primo dirigente socialista ad utilizzarli. Sì, perché a quelli su divorzio e aborto siamo stati costretti da altri. Si deve a Claudio l’iniziativa referendaria congiunta del 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati e sul nucleare. A Martelli e a Pannella, insieme. Ed è sintomatico che ventisei anni dopo ancora lo stesso binomio sia in qualche misura protagonista dei dodici referendum per i quali si stanno raccogliendo in tutta Italia le firme. Mi viene così spontanea la prima domanda, proprio riferita al passato.

Nel 1986 si pensava, mi ricordo una testimonianza al tal proposito di Federico Mancini, alla responsabilità del pubblico ministero, poi si dovette ripiegare su quella del giudice. Perché?

È vero, esitammo a lungo. L’intento era di responsabilizzare il piemme. Ci sottoposero obiezioni di natura costituzionale. Ripiegammo sulla magistratura giudicante e si formò un fronte molto ampio, una vasta area laica, con la sola eccezione del Pri. Il tema era la responsabilità di un potere che la Costituzione definisce come “autonomo e indipendente”, ma non irresponsabile. Il referendum fu vinto alla grande con l’80 per cento dei voti favorevoli. Forse anche per effetto di trascinamento di quello sul nucleare che avveniva a un anno di distanza dalla tragedia di Chernobyl.

Poi però si approvò una legge che divise i promotori del referendum. I socialisti votarono a favore e i radicali contro.

La legge capovolse il significato del voto. La verità è che il ministro della giustizia Vassalli era contrario al referendum e fece approvare una legge che lo svuotava, Craxi lasciò fare per ragioni politiche e si approvò una legge che evirò il referendum. La responsabilità venne trasferita allo Stato, che avrebbe dovuto risarcire il cittadino dal torto subito ed eventualmente rifarsi poi sul singolo magistrato. Avevano ragione i radicali a votare contro.

Certo in questi due decenni anche Berlusconi ne ha avuto di tempo per approvare una organica riforma della giustizia…

Certo. Ma Berlusconi attribuisce la colpa ora a Fini ora a Bossi ora a Casini e Follini. Credo che qualche brusca frenata l’abbia data anche la presidente della commissione giustizia della Camera, la finiana Giulia Bongiorno. La verità è che è mancata una visione complessiva dei problemi della giustizia. In questo senso i referendum sono necessari. È inutile ormai inseguire il sogno di una riforma globale. Come diceva il premio nobel Amartya Sen nel suo libro “Sull’ingiustziia”, piu che perseguire una strategia della giustizia è assai meglio affrontare e risolvere una alla volta le ingiustizie. E il sistema italiano è colmo di ingiustizie e di paradossi. È il più elefantiaco d’Europa e il 90 per cento dei reati resta impunito. Siamo l’unico paese europeo in cui le carriere dei magistrati sono unificate. Anche Falcone sosteneva che la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante era opportuna e mi confessava che sono troppo lontane e diverse le due professionalità per poterle tenere unite.

Il referendum sulla custodia cautelare ci rimanda all’abuso che tuttora viene praticato a fronte di una legge che già prevede il carcere preventivo solo in caso di pericolo di fuga, possibile reiterazione del reato e rischio concreto di manomissione della prove.

Il referendum mina la possibilità di rifarsi in ogni situazione alle tre norme richiamate. La verità è che la legislazione italiana in materia risente ancora delle norme eccezionali adottate durante la lotta al terrorismo e alla mafia, ma quelle dovevano essere applicate solo in quei casi e invece sono state generalizzate e utilizzate a tutto tondo. In particolare si è utilizzata la custodia cautelare a fini di confessione del reato e questo modo di procedere ha un nome: tortura.

Mi interessa la tua opione sull’ergastolo.

Noi sostenemmo già la sua abolizione assieme ai radicali. L’ergastolo è incostituzionale. La pena eterna non può mai essere riabiltativa. È una condanna che non prevede ravvedimento.

Sul finanziamento pubblico si svolse un referendum nel 93 e, dopo l’abolizione, si decise di optare per i rimborsi elettorali, che hanno comportato un maggior esborso di risorse da parte dello Stato.

Una truffa. Oltretutto adesso che i partiti sono divenuti simulacri imbiancati svuotati di significato, ora dominati da monarchie, come il Pdl, ora in preda ad anarchie, come il Pd, un sostegno dello Stato è senza motivo.

Il referendum per abolire il reato di clandestinità rimanda alle tue intuizioni sul tema dell’immigrazione e anche alla prima legge che porta il tuo nome e che noi alla Camera approvammo all’alba di un lontano giorno del 1990.

Il reato di clandestinità è un controsenso. La clandestinità non è un reato, è una tragica condizione di vita. Spesso dovuta all’esigenza di fuggire dalla morte, dalla fame, dalla persecuzione. I disperati che si gettano in mare per tentare di abbracciarci in qualche approdo occasionale non sono delinquenti, ma sfollati e seguendo il dettato costituzionale noi abbiamo il dovere di assisterli. Poi c’è anche una palese contraddizione. Se uno straniero si presenta alla frontiera senza permesso di soggiorno viene respinto, mentre se entra in Italia e dopo sei mesi viene rintracciato diviene un reprobo e va condannato. Al primo si applica una sanzione amministrativa al secondo se ne applica un’altra di ordine penale.
Ma voglio concludere con una considerazione politica. Siamo di fronte alla paralisi riformatrice del governo e del parlamento e anche ad una acuta crisi di democrazia e di partecipazione. È il momento del ricorso al popolo. È il momento di toglierci i denti guasti cavandoli uno alla volta. Con determinazione. Per rigenerarci.

Mauro Del Bue

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