Cianchella voleva il rapporto diretto con il pubblico

Mercoledì 04 Settembre 2013 19:43 da lacitta.eu

 

 

 

La Macchina di santa Rosa del Centro storico, la prima della serie la ideò proprio Armando Cianchella negli anni ’60

Viterbo CRONACA Perché Armando Cianchella, nonostante le continue proposte, non ha mai voluto accettare di fare il doppiaggio cinematografico? Perché le sue partecipazioni alle fiction televisive sono state rare e marginali?

Ciò che egli voleva, così diceva, era il rapporto diretto con il pubblico, prendere da questo i motivi per stare sulla scena, avvertire la sua presenza, intuire l’approvazione o la disapprovazione e, di conseguenza, dare tutto se stesso. 

Per questa ferma convinzione, per la serietà con la quale portava avanti la sua professione, dopo due o tre anni di prime esperienze (inizio anni settanta), Armando approdava alle Compagnie primarie, calcava il palcoscenico accanto ai più grandi attori italiani e affinava la sua arte interpretativa sotto la direzione dei più bravi registi italiani, fatta eccezione per Giorgio Strehler.

Il suo ultimo impegno, che ormai risale a quindici anni fa, fu l’interpretazione del personaggio, tutt’altro che secondario, del Dottore in “Anna dei miracoli” accanto a Mariangela Melato, una messinscena che fu, con le opportune accortezze, ripresa  e trasmessa dalla RAI.

Quel contatto con il pubblico non era altro che la volontà di stare di fronte e con il prossimo.

Si era impegnato come volontario nel commercio eco-solidale; aveva, come tante altre persone, un’adozione a distanza, ma a differenza di altre persone, egli andò in Uganda a conoscere il “Suo bambino”. E poiché il prossimo per lui non aveva né età, né colore, giunto nel villaggio e accolto dai bambini ugandesi che danzavano in suo onore al suono dei tamburi, poco stette a guardare, perché, ce lo mostrano le immagini, si porta al centro  dello spazio e comincia a danzare; i bambini ugandesi sono sorpresi e meravigliati, poi ballano anche loro: loro con lui e lui con loro.

Armando è morto il tre settembre, il giorno del trasporto della Macchina di Santa Rosa. Ogni anno, tranne che il lavoro non glielo avesse impedito, egli era a Viterbo, per stare in mezzo alla folla, quasi sempre nei pressi di Fontana Grande, perché abitava lì vicino. 

Ma stava tutt’altro che a capo chino: aveva sempre un motivo per protestare contro qualcuno, perché qualunque cosa avesse mostrato una pecca, portava un’offesa alla sua Santa. Pochi sanno che la prima Minimacchina (fine anni sessanta), quella della Chiesa di San Giovanni in via Mazzini è una sua ideazione, divenuta realtà, in collaborazione con altri, nel retrobottega del suo negozio di generi alimentari. Pochi sanno che, senza nulla togliere a chi l’ha progettata e a chi l’ha realizzata, la Spirale di fede è una sua intuizione.

Ciao Armando

Rino Galli

 

 

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