La storia di Santa Rosa di Viterbo narrata da Mauro Galeotti

da lacitta.eu

 
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Mercoledì 04 Settembre 2013 01:43
 
 

 
 
 
 

 

Santa Rosa di Viterbo in un dipinto di Ciro Ferri, della seconda metà del ‘600, che si trova a Perugia

Viterbo STORIA Voglio donare questa volta, ai miei concittadini la Storia di santa Rosa di Viterbo, tratta dal mio libro “L’illustrissima Città di Viterbo” che ho dato alle stampe nel 2002. Ma ripeto la raccomandazione a tutti, non ricordiamo santa Rosa solo il 3 Settembre, Lei è presente in Monastero e tra di noi, tutto l’anno, tutti i mesi, tutti i giorni, tutte le ore, tutti i secondi, ma molti, dopo il 4 Settembre, la dimenticano facilmente, ignorano i problemi che hanno le Sorelle Clarisse, come il deperimento degli affreschi e della immensa struttura muraria, ed anche lo scarso finanziamento per affrontare le spese del Monastero, tantissime, irrinunciabili, indispensabili.

Ho detto alle autorità comunali, si può vedere in un video che ho pubblicato sul quotidiano (clicca qui se lo vuoi vedere), che sono orgoglioso di essere Viterbese solo il 3 Settembre, perché dal 4 Settembre, pur essendo il giorno di Rosa, i Viterbesi dimenticano la ragazzina che tanto amore ebbe per la sua città. 

Mi vergogno perché non esiste una indicazione stradale per raggiungere il Monastero e Chiesa di santa Rosa, unica entrata è da Porta della Verità, Via Mazzini, Via casa di santa Rosa e, finalmente, Via santa Rosa. 

Un percorso impossibile per chi non conosce le strade di Viterbo. Quanto sarebbe più facile arrivare a santa Rosa, rendendo Via santa Rosa a doppio senso? Ma qual è la difficoltà per attuare tale opportuno cambiamento?

Offro questa storia a te che mi leggi, storia che mi è costata sacrifici, nottate, controlli, confronti, correzioni, dubbi, certezze, costata venti anni della mia vita per l’intero libro composto di mille pagine e cinque chili di peso, ma che mi ha donato immenso amore e desiderata pace nel cuore, perché dedicati a una ragazzina, che credette amorevolmente nel Crocifisso, nella Carità, quella Carità di cui riempire la valigia e presentarsi al Signore, come disse Giovanni Paolo II.

Non pongo nessun divieto, copia pure il mio testo, fanne tesoro, divulgalo a modo tuo, ma ricorda di aiutare le Suore Clarisse di santa Rosa, perché solo loro sono le custodi della piccola Rosa, piccola e già Santa.
Ciao.

Mauro Galeotti

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La storia di santa Rosa di Viterbo
di Mauro Galeotti

Santa Rosa nacque a Viterbo, secondo alcuni studiosi, il 15 Maggio 1233 da Giovanni e Caterina, agricoltori, e morì, secondo la tradizione, il 6 Marzo 1251.

Sin dalla tenera età operò miracoli come: il risuscitamento della zia morta, la trasformazione del pane in rose e la brocca rotta, poi risanata. Nemica di Federico II, il quale voleva sottomettere Viterbo all’Impero, riuscì a farlo desistere dall’assedio della Città, grazie alla volontà di resistere trasmessa ai suoi concittadini. 

Su ordine del podestà Mainetto Bovoli, fiorentino, luogotenente dell’imperatore Federico II, fu esiliata il 4 Dicembre 1250, per il continuo esercizio di apostolato, proibito ai laici da papa Gregorio IX sin dal 1234. Trovò rifugio a Soriano nel Cimino, dove il 5 Dicembre 1250 profetizzò la morte di Federico II († 13 Dicembre 1250). 

Nel Dicembre 1250 Rosa si trasferì a Vitorchiano e restituì la vista a Indelicata e convertì Coria, un’eretica bavarese, alla quale aveva predetto che avrebbe affrontato volontariamente il rogo, senza che ne fosse offesa e così fu. 

Ritornata a Viterbo, sembra nel Gennaio 1251, chiese alle monache di san Damiano di essere accolta tra loro, ma netto fu il rifiuto della superiora, alla quale predisse, che se non l’avessero accolta da viva, lo avrebbero fatto da morta. 

La scusa della negazione fu che non vi era più posto nel monastero, ma in realtà Rosa, nel conflitto tra cattolici ed eretici, era considerata da molti una ribelle verso l’imperatore ed i nemici della Chiesa, occorreva quindi usare la massima prudenza.

Rosa morì a poco più di diciassette anni e fu seppellita, nella terra senza cassa, sotto il pavimento, a sinistra della Chiesa di santa Maria in Poggio, essendo quella la parrocchia nella quale era compresa la sua abitazione.

Nel 1258 papa Alessandro IV, residente a Viterbo, dopo aver ricevuto in sogno più volte il desiderio che Rosa aveva di entrare nella Chiesa di santa Maria, presso il monastero delle monache di san Damiano, il 4 Settembre, avendola disseppellita e trovata incorrotta dopo sette anni dalla sepoltura, la condusse trionfalmente, con un corteo di quattro cardinali e numerosi fedeli, dalla Chiesa di santa Maria in Poggio a quella di santa Maria.

Questo evento straordinario e miracoloso fu l’origine del culto della Santa e del trasporto della Macchina di santa Rosa, avvenimento di folclore religioso spettacolare ed unico al mondo, che si svolge la sera del 3 Settembre di ogni anno, alle ore 21. 
Fu venerata da gente povera, da nobili, da imperatori e da pontefici, i quali lasciavano al monastero elemosine e doni, tra questi numerose erano le offerte dei ceri, che venivano accesi attorno all’urna. 

Forse proprio uno di questi, nel 1357, cadendo, incendiò la cappella e l’urna, facendo correre il pericolo di carbonizzare la Santa. Miracolosamente riuscì a salvarsi, per non privare Viterbo né della sua protezione spirituale, né della presenza del suo santo corpo.

Canonizzazione di santa Rosa

Per quanto riguarda la canonizzazione di santa Rosa trovo che grazie alle suppliche del vescovo Scambio (de’ Scambi) Aliotti, eletto il 15 Giugno 1245, del Clero, del Consiglio e del popolo viterbese, papa Innocenzo IV, con Bolla Sic in Sanctis Suis mirabilis del 25 Novembre 1252, ordinò al priore Rolandino dei frati Domenicani di santa Maria in Gradi e all’arciprete di san Sisto, Samuele, di cercare testimonianze legittime e veritiere circa la vita ed i miracoli della vergine viterbese Rosa. 

Papa Alessandro IV concesse al Clero e al popolo viterbese di festeggiare santa Rosa ogni 4 Settembre, giorno della famosa traslazione dalla Chiesa di santa Maria in Poggio.
Anche papa Eugenio IV (1431 – 1447) si interessò, nel 1443, alla canonizzazione di Rosa tanto che firmò il Breve per l’introduzione della causa, ma non riuscì ad arrivare ad alcuna conclusione anche dopo le istanze avanzate dal Comune nel 1446. 

Il papa Niccolò V, con sua Bolla del 3 Aprile 1449, chiama Rosa santa e stabilisce l’indulgenza per la Festa della Purificazione, della Visitazione di santa Chiara e di santa Rosa.

Con Breve del 16 Giugno 1456 papa Callisto III, che aveva ricevuto, come visto, una grazia da santa Rosa, ordinò che venisse riaperta la causa ed espletato il processo relativo a Rosa. Furono incaricati i cardinali Bessarione, Domenico Pantagale, conosciuto col nome di Capranica, e Colonna, i quali deputarono in loro vece i vescovi di Siracusa, di Arezzo e di Sutri, che riversarono l’incarico su Giovanni Cecchino dei Caranzoni vescovo di Viterbo e il vescovo di Orte. 

L’inchiesta iniziò il 6 Marzo 1457 e il processo si tenne dal 26 Marzo al 16 Giugno di quell’anno e si chiuse il 4 Luglio 1457, ben duecentosessantatre furono le persone interrogate testimoni dei più svariati miracoli. 

La canonizzazione non seguì a tale processo poiché, forse, fu ritenuta superflua dal papa, o chissà per quale altro motivo. Ancora altre suppliche furono avanzate invano a papa Pio II nel 1460, che ne discusse nel concistoro del Dicembre di quell’anno. 

Nel 1476 il Comune fece in modo che se ne interessasse papa Sisto IV, poi nel 1509 fu sollecitato anche papa Giulio II, i successivi pontefici ritennero chiusa la causa. 

Comunque nel Martirologio Romano del 1583, a cui collaborò Cesare Baronio, il 4 Settembre è menzionata Viterbii, Beatae Rosae virginis. Fu quindi un altro miracolo di santa Rosa quello di essere accolta tra i santi per approvazione divina, senza l’autorizzazione terrena, dopo i consueti processi.

Visitatori al cospetto di santa Rosa

Molti sono i pontefici e gli uomini illustri che vennero a venerare e far visita a santa Rosa, tra loro ricordo, nel Duecento:
il 4 Settembre 1258, Alessandro IV papa.

Nel Trecento:
il 2 Maggio 1312, Enrico VII; nel 1320, san Rocco confessore, che si recava a Roma.

Nel Quattrocento:
dal 6 Agosto 1405 all’11 Marzo successivo, papa Innocenzo VII; dal 18 al 26 Settembre 1420, papa Martino V; l’8 Maggio 1433, l’imperatore Sigismondo con millecinquecento nobili tra i quali diversi Ungheresi; il 16 (altri il 23) Settembre 1433, papa Eugenio IV con cinque cardinali tra i quali il Bessarione; nel Luglio del 1439, san Giovanni da Capistrano; nel 1446, Eugenio IV; nel 1449 (altri nell’Estate 1450), papa Niccolò V; il 26 Marzo 1459, papa Pio II, lo stesso nel Settembre – Ottobre 1460 e dal 7 Maggio 1462; nel 1452 e il 11 Gennaio 1469, l’imperatore Federico III con la consorte Eleonora; il 13 Giugno 1473, la principessa Eleonora, figlia del re Fernando di Napoli, in occasione del passaggio da Viterbo per andare sposa ad Ercole d’Este, marchese di Ferrara e duca di Modena. 
Alla fine del 1479 e inizi 1480, il duca Federico d’Urbino ed il duca di Calabria, ivi Federico ricevette in dono dal papa lo stocco e il cappello ducale; nell’Ottobre 1481, papa Sisto IV; il 28 Ottobre e il 6 Dicembre 1493, papa Alessandro VI con 18 cardinali; nel 1494, il re di Francia, Carlo VIII.

Nel Cinquecento:
il 27 Settembre 1509, papa Giulio II con ammissione alle monache al bacio del piede; varie volte papa Leone X (1513 – 1521); nel Giugno 1528, papa Clemente VII; papa Paolo III più volte tra il 1535 ed il 1547; nel Giugno 1553, papa Giulio III; il 15 Settembre 1578, papa Gregorio XIII; il 25 Aprile 1597, papa Clemente VIII.

Nel Settecento:
nel 1700, il granduca di Toscana Cosimo III (1639 – 1723); il 18 Maggio 1724, il re d’Inghilterra Giacomo III e la moglie Maria Clementina Sobiescki; il 10 Novembre 1727, papa Benedetto XIII; il 6 Novembre 1727 Violante Beatrice di Baviera, principessa di Toscana, che avendo dormito nel convento, a ricordo, sopra alla porta della sua camera, fu posta la seguente epigrafe:
Violantes Beatrix ex Bavariae ducibus / Ferdinandi olim magni Hetruriae principis / uxor / cum e Florentia Viterbium venerit / mansiones hasce suo illustravit hospitio / moniales omnes clementia / pietate humilitate aliisque / principe muliere dignis virtutibus / singulari per plures dies beneficio / cumulavit / anno Domini MDCCXXVII.

Il 22 Febbraio 1798, venne papa Pio VI, come da iscrizione nel parlatorio. Per l’occasione fu anche stampata una lastra in rame riproducente il papa che solleva la mano sinistra della Santa e la bacia, il corpo di Rosa è collocato al contrario di come si vede solitamente, ossia con la testa verso destra, la stampa è stata delineata da Luigi Scotti e incisa da Pietro Bonato a Roma. Le suore furono ammesse al bacio del piede.

Nell’Ottocento:
il 22 e 23 Febbraio 1802 l’arciduchessa Marianna d’Austria; il 18 e 21 Novembre 1803 Carlo Emanuele IV re di Sardegna, a cui fu donata una statuetta, in cera, di santa Rosa; il 3 Novembre 1804, papa Pio VII di passaggio per andare ad incoronare Napoleone imperatore, poi venne ancora il 23 Marzo e il 5 e 6 Giugno 1815; il 15 Maggio 1812, il re di Spagna Carlo IV con l’infante Maria Luisa, regina del Portogallo e col principe Carlo Lodovico.

Il 2 Aprile 1819, l’imperatore d’Austria Francesco I, la consorte Carlotta Augusta di Baviera e la figlia principessa Maria Carolina, giunti a Viterbo il giorno precedente; il 21 Dicembre 1824, scrive Pio Semeria: 
«la Regina di Torino moglie del defunto Vittorio Amedeo, che si era abdicato dal trono, con due sue figlie».
Il 3 e 4 Ottobre 1841, papa Gregorio XVI; il 4 Settembre 1857, papa Pio IX, come da iscrizione nel parlatorio; nel 1857 e 1862, Morlot, l’arcivescovo di Parigi.

Nel Novecento:
il 27 Maggio 1984, papa Giovanni Paolo II e i presidenti della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il 13 Dicembre 1994, e Carlo Azeglio Ciampi, il 25 Febbraio 2002.

Le più antiche memorie scritte su santa Rosa

Sulla vita di santa Rosa i documenti più antichi sono suddivisi in Vita I, Vita II e Vita III.

La Vita I di anonimo, quasi sicuramente contemporaneo a santa Rosa, probabilmente si può individuare in Pietro detto Capotosto, come ho già scritto: Vita S. Rosae Viterbiensis, è un frammento pergamenaceo della seconda metà del XIII secolo, non completo, conservato nell’archivio del monastero. 

E’ qui la narrazione assai semplice degli avvenimenti della vita di santa Rosa. Sul retro della pergamena è tracciata, a penna, una immagine di santa Rosa col volto beato, i capelli lunghi, vestita con una tunica, nella quale sono evidenziati i seni, sostenente nella mano destra una palma e nell’altra un libro. 
La datazione della raffigurazione non è certa, ma potrebbe risalire tra la fine del XIV secolo e gli inizi del seguente.

La Vita II sempre di anonimo, Vita Santae Rosae Viterbiensis, che si fa risalire agli inizi del XV secolo, tra il 1406 ed il 1418, ove sono riferiti tra l’altro i miracoli della verginella viterbese, viene considerata la vita ufficiale della Santa. Fu pubblicata dagli eredi dell’editore Antonio Blado, nel 1568, con il titolo: 
Vita, Miracula et Missa propria S. Rosae ordinis fratum minorum.
La Vita III, anche questa di anonimo, Vita, Miracula et Missa propria Santae Rosae ordinis fratrum minorum cuius almum corpus conditum est in alma civitate Viterbii, che sembra potersi riferire tra gli anni 1510 e 1520, si trova in originale nel British Museum di Londra, riedita poi, come ho già scritto, nel 1568, di cui una copia è nella Biblioteca comunale degli Ardenti.

Vestito di santa Rosa

Il vestito di santa Rosa nella metà del XIV secolo era di color cremisi, scrive Giovanni Selli (1828): 
«In quel tempo [1357] fu rinnovata l’arca ossia cassa di legno [andata in fiamme], e fu rivestita con abito conforme al primo». 

Anche nella metà del XV la Santa indossava un abito di velluto cremisi ricamato a fiorami in oro circonfuso da perle e gemme. Ne possedeva anche un altro di velluto fiorato, costarono entrambi ottanta ducati. 
In quel tempo era usanza cambiare spesso il vestito della Santa, lasciando aperta l’urna che la conteneva in modo da permettere ai fedeli di poter toccare quel corpo e poterlo baciare. 

Il 18 Settembre 1615, per volere del vescovo di Viterbo Tiberio Muti, quel vestito tanto pomposo, fu sostituito con altro più semplice e non poteva essere scelto altro che l’abito francescano, infatti il corpo della Santa fu vestito con una tonaca di lana di color grigio scuro e con cordone alla vita, come in effetti era in uso tra le terziarie di san Francesco. In quell’occasione le fu posto anche il velo bianco.
Ancora Giovanni Selli:
«Ivi spogliato [il corpo di santa Rosa] dalli suddetti abiti fu rivestito con candidi panni di lino e con tonica d’armesino color bigio, con cordone, soggolo ed ogni altra cosa che sogliono portare le monache dell’ordine di S. Chiara».

Il 13 Ottobre 1658, per ordine del vescovo di Viterbo, il cardinale Francesco Maria Brancaccio, fu mutato il vestito a santa Rosa e fu messo sul capo della Santa il velo nero. Il corpo rimase esposto per vari giorni. Per disposizione del vescovo Stefano Brancaccio, in seguito, il 22 Aprile 1675 fu vestita di nuovo. 

Nel 1697 il vestito fu cambiato in occasione della realizzazione della nuova urna (1699), poi, nel 1750, fu di nuovo sostituito. Il 2 Novembre 1760, alla presenza di monsignor Egidio Mengarelli, santa Rosa fu rivestita «da capo a piedi». Il colore della tunica era il nero, come quello delle Clarisse, e leggo ancora da Giovanni Selli:
«Il cordone che le pende al fianco è tutto formato di perle insieme intrecciate. Ha una ghirlanda in testa ed una ai piedi: la prima è d’oro interziata con diamanti, l’altra è lavorata con varj e vaghi fiori. Così ritrovasi al giorno d’oggi [1828] l’incorrotta salma della gloriosissima nostra Santa».

Polemiche sorsero nel 1777 sull’abito che copriva il corpo della Santa «in sostituzione dei paludamenti profani di velluto e broccato». 
Padre Flaminio Annibali da Latera, nel suo Manuale de’ Frati Minori (1776), sostiene che fosse mutato con una tonaca nera: 
«Nel Pontificato di Clemente XIV il Corpo di Santa Rosa fu spogliato dell’Abito suo cenerino, che aveva portato per 500 e più anni, e per suggestione de’ PP. Conventuali fu vestito d’un’altro di color nero». 

Invece il Panacca afferma «risultare, da attestato delle monache, essere ciò avvenuto di loro iniziativa, conformando l’abito della verginella al loro».

Prima della ricognizione del 1921 la Santa vestiva un abito monacale color nero, con al collo un velo bianco e in testa la corona delle vergini. Fu poi vestita con un abito color cenerino e al posto della corona fu posta una aureola in metallo.

Nell’Ottobre 1946, fu mutato l’abito in seta con altro del medesimo colore. L’ultima vestizione è del 13 Febbraio 1990, con l’abito usato vennero confezionate le reliquie per i fedeli, autenticate con sigillo del monastero, come avveniva negli anni passati. 

In quell’occasione monsignor Fiorino Tagliaferri, nominato vescovo di Viterbo il 14  Marzo 1987 ed in carica fino al 1997, ha presieduto la cerimonia della ricognizione del corpo di santa Rosa, nonché la pulitura della cassa e dei vetri.

Storia tratta dal mio libro “L’illustrissima Città di Viterbo”, Viterbo, 2002
Mauro Galeotti

 
 
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