Il migrante ha diritto di essere accolto e aiutato

L’opinione del sociologo – Francesco Mattioli riflette sulla condizione degli immigrati dopo la lettera di don Gianni Carparelli

da tusciaweb
– 
La lettera di don Gianni Carparelli sull’atteggiamento di alcuni esponenti politici nei confronti del problema immigrati e sul ministro Kyenge e le repliche di alcuni lettori, per lo più improntate a una dura critica nei confronti del sacerdote e più in generale della posizione della chiesa cattolica, inducono ad alcune riflessioni, possibilmente scevre da qualsivoglia estremismo politico e ideologico.

Il problema delle correnti migratorie è un fenomeno caratteristico del nostro tempo, favorito dalla globalizzazione e dalla recrudescenza delle guerre regionali.

In Italia è molto sentito per almeno quattro ragioni: innanzitutto, perché allo stato attuale le correnti migratorie provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente sono particolarmente forti e trovano proprio nella penisola italiana il ponte più favorevole verso il continente europeo, sottoponendola ad una pressione significativa; in secondo luogo, il nostro Paese non ha una forte tradizione coloniale, come Francia, Inghilterra o Spagna, per cui l’arrivo di masse di “stranieri” è tuttora considerato una vulnerante eccezione; inoltre, le attuali condizioni economiche dell’Italia rischiano di creare una guerra tra poveri che vede in competizione gli immigrati e le fasce sociali autoctone più indigenti; infine, non si può ignorare che la “diversità” genera spesso diffidenza e allarme, a meno che non si tratti di una diversità superiore da imitare (ecco perché la diversità svedese non ha gli stessi effetti della diversità marocchina…).

Detto questo, è chiaro che liquidare il problema in un modo o nell’altro ricorrendo a facili generalizzazioni significa andare incontro ad errori che pregiudicano una serena metodologia di intervento.

In linea di principio, la nostra società democratica deve garantire a chiunque ne faccia uso due cose: che un individuo è da considerare fino a prova contraria una persona onesta; che un individuo in difficoltà va aiutato. Ergo: il migrante che fugge la fame, la malattia, la violenza sociale o la persecuzione politica va aiutato: per i cristiani, in quanto si tratta del prossimo, del fratello, di un figlio di Dio (vedi la parabola del buon samaritano), per chiunque altro viva in una società libera e civile in quanto si tratta di un essere umano che va rispettato secondo i principi etici e giuridici espressi della Dichiarazione dei diritti del’Uomo (1948).

Mentre scrivo, duecento profughi siriani provenienti da un paese in guerra e teatro di efferati episodi di violenza cercano rifugio nel nostro Pese: che altro fare se non accoglierli?

Le migrazioni non coinvolgono soltanto fuggitivi e perseguitati, ma anche gente in cerca di migliori condizioni di vita; lo hanno fatto italiani, irlandesi, polacchi, russi, cinesi negli Stati Uniti, fra ottocento e novecento. Assieme a solerti e onesti lavoratori, arrivavano anche loschi figuri, che fuggivano la legge nei paesi d’origine e cercavano facili guadagni in quello d’arrivo; talvolta anche l’onesto lavoratore, messo alle strette dalla precarietà, dall’usura o dal ricatto, finiva nelle loro grinfie. Così, scattava il pregiudizio: l’italiano, l’irlandese, il russo finivano per essere “tutti” delinquenti.

Per i neri il problema è doppio: perché non solo l’indigenza storica di quelle popolazioni li ha posti ai margini delle società dei bianchi, ma provengono da secoli di sfruttamento schiavista fondato sulla falsa idea di una inferiorità biologica; così, il razzismo nazista e quello nordamericano hanno potuto esprimersi per molto tempo cercando addirittura delle giustificazioni scientifiche.

Gli spazi occupati dagli immigrati in Italia sono spesso quelli lasciati liberi da una società che ha innalzato, con i livelli di scolarizzazione, anche l’asticella delle aspettative; così, sono sempre meno gli italiani che oggi tollerano di lavorare nei campi, di carreggiare mattoni in un cantiere edile, di vendere cappellini al mercato o di accompagnare in bagno un anziano disabile.

Difficile pensare, quindi, che gli immigrati siano una diffusa minaccia per il lavoro degli italiani; più facile supporre che sia semmai l’emarginazione sociale e lo stato di precarietà economica degli immigrati a farli cadere facilmente nelle reti della malavita, con ciò innescando ulteriormente la diffidenza degli autoctoni nei loro confronti, allarmati dal fatto che la metà delle carceri italiane ospiti degli stranieri.

Ma la sociologia americana degli anni ’60 – stimolata dal problema dell’integrazione razziale – aveva già individuato la causa di questo fenomeno, un serpente che si morde la coda: più emargini un soggetto, più lo costringi a vivere precariamente e al di fuori del sistema; se questo è vero per qualsiasi soggetto deviante, ancor più si prefigura per uno straniero che già in linea di principio appare distante e diverso.

Poiché la sociologia è stata sovente accusata di porre il problema ma di non saper indicare la soluzione, mi permetto di suggerire qualche strategia, dettata proprio alla sociologia dalle esperienze maturate nello studio del pregiudizio e della distanza sociale: accoglienza, conoscenza reciproca, inserimento e integrazione sociale, informazione, ma anche partecipazione e responsabilizzazione, controllo e autocontrollo sociale. Sono le regole che noi normalmente applichiamo nei confronti dei nostri ospiti a casa, dei nostri figli, ma anche dei nostri colleghi sul posto di lavoro.

Niente di eccezionale, dunque, semmai un forte richiamo ad un principio etico universale: che l’altro ha diritto al massimo rispetto. Poi, si possono anche applicare considerazioni persino di mero utilitarismo: ad esempio, che integrare e aiutare certe persone sbandate può servire non solo a praticare la giustizia, ma anche ad evitare che si trasformino in devianti emarginati.

Ognuno si potrà regolare
secondo la propria coscienza. Ma un imperativo resta inappellabile: che il migrante, come qualsiasi altro soggetto marginale, ha diritto ad essere accolto e aiutato, senza se e senza ma, senza odiosi confronti, senza scherni incivili. Poi certo, a sua volta, dovrà essere anche la coscienza di costui a regolarsi di conseguenza.

Francesco Mattioli

 
 
 

 
 

  

29 luglio, 2013 – 2.00

 

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *